ROMA

Diciamo no alla privatizzazione di Atac: per un trasporto pubblico democratico e gratuito

Diciamo no alla privatizzazione di ATAC, lottiamo per un trasporto pubblico, democratico e di qualità

Domenica 3 giugno, le romane e i romani saranno chiamati ad esprimersi in un referendum consultivo sulla «liberalizzazione del trasporto pubblico locale» tramite un bando di gara per l’appalto del servizio. Questo referendum è stato proposto da chi ancora pensa che i disservizi e il malfunzionamento del trasporto pubblico della nostra città, che sono sotto gli occhi di tutti, siano dovuti al fatto che ATAC sia pubblica, e che privatizzandola si garantirebbe una vita migliore a tutti coloro che ogni giorno sono costretti a subire le inefficienze delle varie amministrazioni. Questo è falso, ed è per questo che nei prossimi mesi DecideRoma, insieme a tante altre realtà, intende lanciare per i prossimi mesi una campagna per votare NO al referendum su ATAC del 3 giugno, e per rilanciare una grande battaglia per un trasporto pubblico accessibile a tutti, democratico e di qualità. Ecco perché.

Il problema sono i soldi!

Il principale motivo del malfunzionamento di ATAC sta innanzitutto nel fatto che il trasporto pubblico a Roma è sempre stato sistematicamente sottofinanziato. Per fare un esempio, basti sapere che il capitale sociale di ATAC è di appena 179 milioni, mentre quello del suo omologo di Milano, l’ATM, è di 700 milioni. Si stima che entrambe le aziende avrebbero bisogno, per lavorare con efficienza, di un capitale sociale di almeno 1 miliardo di euro. Questo sottofinanziamento ha reso indispensabile, negli anni, ricorrere ad un indebitamento sistematico, ormai giunto a livelli insostenibili. A ciò va aggiunto il fatto che la spesa media del Comune di Roma per la voce di bilancio «Viabilità e trasporti», negli ultimi anni, è stata pari a € 453 per abitante, mentre quella del Comune di Milano è stata quasi il doppio, € 873 per abitante. La liberalizzazione (cioè, di fatto, la privatizzazione) non garantirebbe, di per sé, un aumento della dotazione finanziaria, che al contrario è indispensabile per un miglioramento anche minimo del servizio.

Un debito insostenibile

A causa di questo sotto-finanziamento strutturale, e anche a causa di una gestione corrotta e sconsiderata da parte dei successivi Sindaci di Roma, negli anni ATAC ha prodotto un enorme indebitamento, pari attualmente a 1 miliardo e 300 milioni di euro circa, i cui creditori sono principalmente banche, ma anche fornitori, la Regione Lazio e lo stesso Comune di Roma. Questo debito ha generato un circolo vizioso: più debito, meno investimenti in mezzi e percorsi, meno introiti dai biglietti, e soprattutto meno retribuzione da parte dello stesso Comune di Roma, che “paga” ATAC in base alla quantità di kilometri percorsi. Quando la situazione si è fatta insostenibile, ossia quando l’azienda ha rischiato concretamente il fallimento, la Giunta Raggi ha preso una decisione assurda e inaccettabile: anziché rifinanziare ATAC e istituire un audit pubblico sul suo debito, per capire chi lo avesse causato e quale parti di debito siano eventualmente illegittime e non vadano pagate, la Giunta Raggi ha scelto la via del concordato preventivo. Questo “concordato” è in buona sostanza un fallimento guidato da un giudice: sarà un giudice, e non più l’amministrazione democraticamente eletta, a decidere le sorti di ATAC, il taglio o la ristrutturazione del servizio offerto (cioè le linee di autobus che tutti i romani utilizzano), il destino di centinaia di lavoratori. Una scelta che, tutto sommato, ha il sapore di una resa. Va tra l’altro segnalato che, per far fronte al pagamento di questo debito, ATAC sta immaginando la svendita di una parte consistente del suo patrimonio immobiliare, mettendo così a disposizione della speculazione finanziaria immobiliare pezzi consistenti della nostra città, per l’ennesima volta. Oltre al danno, la beffa: fanno parte del piano di alienazioni non solo immobili in disuso, ma anche immobili attualmente utilizzati per garantire servizi pubblici essenziali. Al parti di tutto il patrimonio pubblico, DecideRoma si oppone alla svendita del patrimonio di ATAC, e ne rivendica al contrario una destinazione comune, sociale e culturale.

Privato è meglio?

Ciò che non si dice mai è che una parte consistente del trasporto pubblico locale romano è già gestito da una società già privatizzata nel 2011, la Roma TPL, che gestisce quasi il 25% dei kilometri percorsi dagli autobus che circolano a Roma, quasi tutte tra l’altro linee di periferia. L’esperienza della TPL, in questi anni, ha dimostrato che non c’è nessuna convenienza della gestione privata rispetto a quella pubblica. Intanto le linee di Roma TPL non sono affatto più efficienti di quelle di ATAC. E soprattutto, dai pochi dati che sono resi disponibili, emerge che ogni autobus dell’ATAC costa al Comune di Roma 2,17 € al chilometro, mentre per quelli di TPL si passa a 3,95 € per chilometro coperto. Tanto dovrebbe bastare a dimostrare la falsità di chi dice che “il privato conviene”. A tutto questo si aggiunge, come è stato ampiamente dimostrato da tutti gli studi sull’argomento, che quando un servizio pubblico viene affidato a un privato, si crea un’asimmetria nel possesso delle informazioni sul funzionamento del servizio a favore del gestore privato, che usa a suo vantaggio questo potere allo scopo di massimizzare la sua rendita: insomma, con un servizio appaltato ai privati, i margini di controllo pubblici sarebbero strettissimi. In generale, è scontato il fatto che – quando un privato gestisce un servizio pubblico – lo fa esclusivamente per ricavarne un profitto:I ma l’unico “profitto” che deve essere garantito dalla gestione del trasporto pubblico locale è quello degli utenti, di chi ogni giorno deve prendere l’autobus o la metro, e non il guadagno di un privato a spese dei contribuenti. In ogni caso, occorre ribadire che contro la privatizzazione di tutti i servizi pubblici si è già espressa la stragrande maggioranza dei cittadini italiani in occasione del referendum del 2011, che riguardava non soltanto l’acqua e il servizio idrico, ma appunto tutti i servizi pubblici.

E i diritti dei lavoratori?

L’altra grande preoccupazione che l’ipotesi della privatizzazione-liberalizzazione porta con sé è l’abbassamento dei salari e dei diritti dei lavoratori del trasporto pubblico. Già oggi, i lavoratori di TPL (società privatizzata) guadagnano meno dei loro colleghi di ATAC, e molto spesso percepiscono gli stipendi con mesi e mesi di ritardo. Come chiunque può capire facilmente, un servizio pubblico di qualità può essere garantito solo laddove i lavoratori abbiano ritmi adeguati, condizioni di lavoro degne e salari puntuali e sufficienti. La privatizzazione peggiorerebbe, evidentemente, tutto questo: se ATAC perdesse l’appalto, centinaia di lavoratori rischierebbero il loro posto di lavoro, migliaia di famiglie verrebbero messe sul lastrico, in una città che già ha visto tante, troppe crisi occupazionali. Nelle aziende appaltatrici del servizio, inoltre, sarebbe difficile controllare il rispetto dei contratti collettivi e impedire il ricorso alle peggiori forme di precarietà, come sa bene chiunque lavori nei settori del pubblico esternalizzato e del privato convenzionato (dalla sanità, alla manutenzione del verde, alle multiservizi). Infine, va detto con chiarezza che l’esternalizzazione del servizio è un attacco diretto al diritto di sciopero, che nel privato è garantito assai meno che nel pubblico, pur essendo un diritto costituzionale. In generale, gli studi dimostrano che più della metà dei disservizi di ATAC sono dovuti alla carenza strutturale di autisti: una carenza che la privatizzazione non può che aggravare.

Un trasporto pubblico gratuito e democratico

Difendere ATAC com’è oggi è impossibile. In quella municipalizzata si sono addensate, negli anni, corruzione, clientele politiche, mala gestione, incompetenza, sciattezza e speculazione finanziaria. A farne le spese sono state le romane e i romani, che ogni giorno soffrono i disagi di un trasporto pubblico inefficiente, con gli autobus che non passano mai, con le metropolitane sovraffollate, con le linee che vengono soppresse, con la lentezza dei tram, con l’impossibilità di spostarsi velocemente tra una periferia e l’altra. La privatizzazione non è la risposta: anzi è l’aggravamento perfettamente conseguente di questa situazione. Come DecideRoma difendiamo ATAC pubblica, ma non basta. In primo luogo, bisogna invertire la rotta del concordato preventivo: non si può immaginare che sia un giudice a stabilire come e se l’azienda municipalizzata sopravvivrà. Serve immediatamente un audit pubblico sul debito di ATAC, e in generale una sua complessiva ricapitalizzazione. Nel paese di cui si stanziano 20 miliardi per salvare le banche, portate al fallimento dagli speculatori privati e dai giochi della finanza, si può certo spendere 1 miliardo per salvare l’azienda pubblica dei trasporti della capitale d’Italia. In secondo luogo, serve costruire meccanismi di trasparenza, in cui siano messe a disposizione tutte le informazioni e sia possibile, per chiunque, controllare il modo di gestione di ATAC, e meccanismi di partecipazione, che prevedano la consultazione congiunta dei lavoratori e degli utenti sulla gestione e sugli investimenti. In terzo luogo, occorre mettersi sulla via di un trasporto pubblico veramente accessibile a tutti, che contrasti l’utilizzo delle auto private, con notevoli guadagni sia dal punto di vista ecologico che da quello del traffico, anche costruendo proposte di gratuità totale del trasporto pubblico per tutti i residenti a Roma, finanziato tramite una tassazione speciale fortemente progressiva, che riguardi anche chi sceglie di utilizzare l’auto al posto del trasporto pubblico. Su queste proposte, da oggi al 3 giugno, lavorerà DecideRoma, per dire NO alla privatizzazione di ATAC ma per immaginare, insieme, un trasporto pubblico davvero democratico e di qualità.