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Diaz, il senso di giustizia dello Stato

La violenza di Stato durante il g8 del 2001 è impressa nella coscienza di milioni di uomini e donne, al di là delle sentenze dei tribunali: “Il punto è che Genova non è finita perché per Jimmy, Marina, Fagiolino e Luca non è ancora finita”.

Già sono stati scritti fiumi d’inchiostro in questi giorni sulle condanne ai domiciliari, tredici anni dopo, dei super poliziotti Spartaco Mortola, Giovanni Luperi e Francesco Gratteri per la mattanza alla scuola Diaz nella notte tra il 21 e il 22 luglio 2001 a Genova.

Vale la pena ribadire alcune cose sottolineate in ordine sparso in questi giorni. Prima di tutto la mitezza della pena (non che siano le condanne in tribunale a scrivere la “sentenza” della storia e la coscienza diffusa sulle vicende del g8 genovese): otto mesi di domiciliari per Spartaco Mortola, da dirigente della Digos di Genova a questore dal pugno di ferro a Torino, un anno per Giovanni Luperi, ex dirigente Ucigos nel 2001 ora pensionato, nonché per Francesco Gratteri, terza carica della poliza italiana. Non può poi che balzare l’ennesima volta agli occhi la folgorante carriera di tutti gli uomini coinvolti nella gestione dell’ordine pubblico genovese, nonostante le inchieste e i giudizi di ogni tipo di organismo internazionale in difesa dei diritti umani. In ultimo le motivazioni della sentenza: i giudici hanno rifiutato le misure alternative a questi fedeli servitori dello Stato perché questi non si sono mai pentiti, non hanno mai risarcito, neanche parzialmente, le vittime massacrate di botte e torturate.

Di fatto la “macelleria messicana” avvenuta alla Diaz non avrà mai dei veri responsabili, certo qualche uomo con il manganello e lo scudo è stato condannato a pene lievissime, alcuni alti papaveri ormai a fine carriera sono stati condannati per lesioni gravi e per aver dichiarato il falso, ma la catena di comando e le responsabilità politiche rimangono fuori dalle sentenze. Ecco perché questi uomini sono stati sempre promossi e trattati come “fedeli e indispensabili servitori”, come sono stati a più riprese definiti.

L’impunità sostanziale dell’operato delle forze dell’ordine non riguarda solo il g8 genovese ma tutti quei casi di malapolizia che abbiamo denunciato in questi anni, senza bisogno di fare il triste elenco in questa sede degli omicidi in strada, nelle carceri, delle violenze nelle caserme, nei commissariati, nei Cie.

Poi c’è l’altra faccia della medaglia. I processi ai manifestanti condannati a pene durissime grazie a un reato da ancien regime, devastazione e saccheggio, eredità del Codice Rocco, che punisce con pene altissime reati contro la proprietà o addirittura la sola “compartecipazione psichica” ai fatti di piazza. Questo è il punto: Genova non sarà finita non fino a quando i poliziotti saranno condannati e puniti, ma fin quando questi compagni e queste compagne non saranno fuori dal carcere. Genova non è finita perché per Jimmy, Marina, Fagiolino e Luca non è ancora finita.