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Di cannabis non si muore, di proibizionismo sì

Un altro morto di Stato, un altro ragazzo ucciso dal proibizionismo e dalla stigmatizzazione sociale e familiare di chi fuma erba. E poi il solito circo mediatico, proprio mentre si avvicina la discussione del nuovo disegno di legge in materia di detenzione e consumo di sostanze.

Succede pochi giorni fa, nei pressi di Genova. Un ragazzo di sedici anni, uscendo dal proprio liceo, incappa in un controllo antidroga della Guardia di Finanza e viene trovato in possesso di qualche grammo di “fumo”. Immediatamente scatta la perquisizione a casa del giovane, che darà poi esito negativo. Fin qui una storia, purtroppo, vista troppe volte in Italia. Ma stavolta succede altro. Stavolta quella perquisizione, quelle frasi dette ai genitori ed al ragazzo e quella paura hanno spezzato una vita di appena sedici anni. Possiamo solo immaginare la pressione psicologica fatta sull’adolescente genovese, trattato con buon probabilità come un pericoloso criminale, un deviato, un tossico.

Nei giorni successivi alla tragedia si scopre poi che l’intervento delle Forze dell’Ordine è stato effettuato a partire da una richiesta della madre stessa del ragazzo che, preoccupata per la condotta del figlio, qualche brutto voto a scuola e magari un litigio di troppo, aveva deciso di rivolgersi al commissariato di zona. Una fiducia che viene inoltre ribadita a gran voce durante il funerale, tramite il lodevole ringraziamento rivolto all’operato delle Fiamme Gialle, mentre si punta il dito contro la menzogna proposta dal “mondo di fuori”, che vuol far passare uno spinello come qualcosa di innocuo.

Non spetta certo a noi ricostruire gli eventi, indagare le cause di questo gesto drammatico quanto radicale o esprimere giudizi di valore su quanto accaduto, specialmente su dinamiche familiari che non conosciamo e che non è nostro compito giudicare. Quello che invece ci preme è ribaltare l’ordine del discorso che, a partire da questi fatti, si sta producendo attraverso il sempre egregio lavoro dei media mainstream. Un discorso che nell’ultimo decennio abbiamo sentito agitare centinaia di volta. che sta lì, sottocoperta, e che ad ogni occasione “utile” torna a galla con prepotenza e violenza, un discorso che è causa e conseguenza della legge Fini-Giovanardi e delle politiche proibizioniste.

Ma quello che a nostro avviso dovremmo immediatamente chiedere alle illustri penne dei quotidiani ed ai ridicoli cinguettii di politici lungimiranti è il seguente quesito: è mai morto qualcuno per aver fumato uno “spinello?” Si può davvero morire di cannabis? La risposta noi la conosciamo bene e la costruiamo da anni attraverso le nostre pratiche di socialità, quelle che “oh fai fumare pure me!” oppure “chi l’arriccia l’appiccia!”. Con queste poche righe non vogliamo addentrarci nella semplice giustificazione del consumo delle cosiddette “droghe leggere”, sicuramente meno pericolose di alcool, tabacco e psicofarmaci, venduti legalmente o sotto prescrizione del medico di base con ricetta bianca.

Ciò che piuttosto vogliamo affermare è che il fattore scatenante di queste tragiche situazioni, degli abusi di potere, delle sanzioni amministrative e di tante altre oscenità è rappresentato esattamente dal proibizionismo.

C’è innanzitutto un problema di tipo culturale. La narrazione che in questi giorni sta tornando in voga ci mostra chiaramente che la volontà è quella di chiudere nel recinto della devianza qualsiasi tipo di comportamento non conforme alla norma, compreso l’utilizzo di cannabis. Tante le parole spese da Repubblica e non solo, sul problema delle droghe tra i giovani, accompagnate da appelli al dialogo e al confronto. Emblematiche le parole pronunciate dalla madre del ragazzo di Lavagna con cui, nel ringraziare l’operato della Guardia di Finanza, si rivolge ai ragazzi dicendo: “Là fuori c’è qualcuno che vuole soffocarvi facendovi credere che sia normale fumare una canna”.

I dispositivi di controllo ormai sono sempre più capillari e invasivi. Da qualche anno, addirittura, i numerosi controlli delle unità cinofile all’interno degli istituti superiori rientrano quasi nella normalità. Cresce sempre di più il numero di presidi che autorizzano controlli a sorpresa proprio in quei luoghi dove gli studenti dovrebbero avere la possibilità di informarsi ed acquisire strumenti utili a costruire pensiero critico rispetto alle sostanze, alla loro differenziazione, ai loro effetti e rischi ed alla distinzione fondamentale tra “uso” e “abuso”.

C’è da dire che, negli ultimi 10 anni, questo ruolo di diffusione di pratiche di prevenzione e riduzione del danno è stato svolto quasi esclusivamente dalle decine di esperienze autogestite che si sono mosse nel panorama antiproibizionista. Progetti che sono cresciuti in spazi sociali, occupati o autogestiti, come nell’ambito del privato sociale, e che hanno promosso iniziative ed interventi in una miriade di contesti diversi (dalle scuole, ai rave); cercando di diffondere visioni differenti del consumo di sostanze. Nel mentre, l’occhio vigile e il naso imbiancato dello Stato, erano impegnati a far passare sotto silenzio la legge Fini-Giovanardi, a riempire le carceri di piccoli spacciatori e ad ingrossare le tasche delle narcomafie. Ma il fallimento di questa legge infame è stato ampiamente riconosciuto anche dalla Corte Costituzionale, tant’è che in questi mesi si discute in Parlamento il nuovo disegno di legge in materia di detenzione e consumo di sostanze (su cui, tra l’altro, il dibattito è ancora aperto). E non sarà allora che questa ignobile “operazione mediatica”, che fa sciacallaggio di una tragedia, non sia agita ad hoc anche per preparare il terreno alla discussione su questa normativa?

Dal canto nostro vogliamo ribadire ogni qual volta possiamo che farsi le canne non induce in maniera diretta e irrimediabile alla tossicodipendenza e che chi là fuori ci vuole davvero strappare via sogni e futuro ha un’identità ben precisa che si palesa nella dismissione dell’università pubblica, nei tornelli che limitano l’accesso alla biblioteche, nell’obbligo all’alternanza scuola-lavoro, nei voucher e di certo in due finanzieri arroganti che irrompono in una scuola in cerca di chissà quali pericolosi criminali.

In tempi nefasti come questi, in cui santi ed eroi esistono solo nei racconti falsati dei giornali e dei tg, non accettiamo lezioncine di vita da nessuno!

A chi accusa, giudica e reprime rispondiamo dicendo che vogliamo far crescere una pianta di marijuana in ogni casa ..

.. PERCHE’ DI CANNABIS NON SI MUORE MA DI PROIBIZIONISMO SI

Con Stefano Cucchi sempre nel cuore.

Fonte: liberauniversitàroma