MONDO

Dentro le lotte per i diritti delle persone LGBTQ+ in Africa

In Kenya la commissione nazionale per i diritti delle persone Lgbtq+ ha trovato finalmente riconoscimento ufficiale come ONG, ma le organizzazioni locali e la maggioranza delle politiche governative proibiscono e condannano l’omosessualità. Le comunità come “Trans and Queer Fund” non si lasciano scoraggiare creando un sistema di mutuo soccorso ed educazione politica

Lo scorso 24 febbraio, la National Gay and Lesbian Human Rights Commission (NGLHRC) ha ottenuto una vittoria storica alla Corte Suprema del Kenya è stata finalmente in grado di registrarsi come organizzazione non governativa (ONG) ufficiale, dopo una battaglia legale durata dieci anni in un paese dove l’omosessualità è bandita.

Tuttavia, i festeggiamenti della comunità LGBTQ+ sono stati interrotti da un’ondata di contro proteste. Il giorno seguente le organizzazioni locali hanno segnalato un aumento immediato di «attacchi verbali e fisici» e nelle città sulla costa si sono svolte grandi manifestazioni anti-LGBTQ+.

Attualmente battaglie su quali siano i modi legittimi di amare e quali possano essere perseguitati sono in corso in tutta l’Africa. La retorica queerfobica è usata dai politici per meri scopi elettorali. L’attivista ghanese anti-LGBTQ+ Sam George ha affermato che «la cultura ghanese proibisce l’omosessualità» e il deputato keniota Farah Maalim ha definito l’esistenza di una persona LGBTQ+ come «peggiore dell’omicidio».

Colonialismo e neocolonialismo

Le vecchie leggi coloniali che criminalizzavano le relazioni tra persone dello stesso sesso e la varianza di genere sono rimaste invariate dopo che i paesi africani hanno ottenuto l’indipendenza. Molte persone non conoscono cosa fosse l’Africa precoloniale, dove la querness era presente e celebrata, perché quelle storie sono state dimenticate e screditate. Oggi le leggi dell’era coloniale sono ancora utilizzate per opprimere le persone LGBTQ+ in diversi paesi africani, che sono esclusi dai sostegni statali e sono ostacolati dal sostenersi a vicenda dal fanatismo diffuso.

Nel XXI secolo, in Africa l’influenza occidentale ha intensificato l’omofobia delle istituzioni statali. Questa forma di neocolonialismo riprende i metodi del primo periodo della colonizzazione dell’Africa attraverso le missioni cristiane. Dal 2007, le chiese statunitensi di destra hanno inondato il continente con almeno 54 milioni di dollari per combattere «contro i diritti LGBT e l’accesso all’aborto sicuro, ai contraccettivi e a una completa educazione sessuale». Importanti politici anti-LGBTQ+ come David Bahati, il ministro ugandese per il commercio, l’industria e le cooperative, hanno ricevuto 20 milioni di dollari per organizzare una campagna pervasiva per fare approvare una legislazione draconiana anti- LGBT+. A questo punto potrebbe non sorprende che in Uganda il 21 marzo sia stata approvata una nuova legge che «renderà gli atti omosessuali punibili con la morte».

Tuttavia altre risorse riescono a essere raccolte per sostenere le persone LGBTQ+. Il Trans and Queer Fund (TQF) è un esempio promettente di organizzazione di base fondata sui valori socialisti e abolizionisti a Nairobi, in Kenya. Il fondo è stato fondato nel marzo 2020 da Mumbi Makena, una scrittrice e attivista femminista con cui ho parlato due giorni dopo la vittoria del NGLHRC. Ha formato TQF con i suoi amici durante la pandemia di COVID-19.

Tra i movimenti della classe operaia di sinistra a Nairobi, alcuni membri del team TQF hanno notato come molti considerano «i problemi delle persone LGBTQ+ come una distrazione» da altre questioni socioeconomiche più importanti, e hanno riscontrato una ripetuta ostilità nei confronti delle attiviste donne e LGBTQ+. Se la crisi economica in Africa colpisce tutte le persone, le organizzazioni tradizionali kenyote non sono pronte ad affrontare il fatto che le persone LGBTQ+ sono maggiormente marginalizzate, né ad attivare programmi specifici per supportarle.

Organizzarsi dal basso

In ogni caso TQF si è impegnata nella sua causa e per prima cosa ha istituito un sistema di mutuo soccorso per fornire fondi di supporto alle persone LGBTQ+ i cui mezzi di sussistenza sono scomparsi a causa dei ripetuti lockdown. Makena ha spiegato che molti kenioti queer e transgender lavorano nel settore dei servizi e dell’ospitalità dove sono più accettati. Durante la pandemia, le ONG amiche delle persone LGBTQ+ sono state vincolate dai donatori e non hanno potuto riallocare i fondi precedentemente stanziati per il sostegno durante la pandemia di COVID-19. Tuttavia, TQF è stata in grado di essere flessibile e reattiva fin dall’inizio, lavorando in modo non burocratico e non gerarchico. TQF lavora su base volontaria online tramite account Twitter e Instagram e distribuisce fondi tramite mobile money.

In tre anni, TQF ha raccolto ed erogato ben 50.000 dollari e ha assistito oltre 1000 persone. Supporta la sua comunità in modi creativi, coprendo le tariffe degli autobus per le persone che partecipano alle marce e gestendo le donazioni di mobili per coloro che creano case sicure per le persone transgender.

La facilità di accesso a TQF significa che le persone LGBTQ+ hanno un posto dove rivolgersi se vengono ripudiate dalle loro famiglie o hanno bisogno di denaro per cure mediche dopo aver subito violenze omofobiche. L’aiuto reciproco si basa su contributi provenienti in gran parte da individui all’interno del Kenya, ma anche da Canada, Stati Uniti e Gran Bretagna. TQF descrive la sua iniziativa come «lavorare verso un futuro in cui tutte le persone siano libere dall’imperialismo, dal capitalismo, dal ciseteropatriarcato e dall’etnonazionalismo». Incoraggia tutti coloro che entrano in contatto con TQF a cercare di comprenderlo come un bene comune, una risorsa collettiva.

Il prossimo passo per il gruppo, afferma Makena, è l’educazione politica, in modo che sia le raccolte fondi che i beneficiari possano «iniziare a formare analisi radicali di ciò che sta accadendo nel mondo».

Le ONG sono state di grande aiuto per raggiungere alcune vittorie per le persone LGBTQ+ in Africa. Ad esempio, hanno guidato la difesa che ha portato alla depenalizzazione dell’omosessualità in Botswana e Angola, rispettivamente nel 2019 e nel 2021. Ma la legge ha i suoi limiti, senza un cambiamento nei comportamenti sociali, società come il Sudafrica, sede di quella che viene descritta come «la costituzione più progressista del mondo», soffrono ancora per atteggiamenti violenti e discriminazioni omofobiche. Nel 2019, le ONG hanno cercato di convincere la Corte suprema del Kenya a dichiarare incostituzionali le sezioni 162 e 165 del codice penale, che criminalizzano l’omosessualità, ma la petizione legale non ha avuto successo.

La solidarietà è fondamentale

Come sottolinea Makena, il solo cambiamento della legge non rende automaticamente le persone LGBTQ+ più sicure. Per questo mette in guardia dall’intendere la liberazione queer solo a un quadro di diritti liberali che non prendono in considerazione le realtà quotidiane affrontate dalle persone LGBTQ+ della classe operaia. Makena osserva: «Dobbiamo creare maggiore solidarietà all’interno dei movimenti di sinistra in Kenya, ma anche con le persone LGBTQ+ all’estero, che spesso sono particolarmente silenziose sulle intersezioni tra l’antimperialismo e la lotta per la dignità e la sicurezza queer».

Un effetto a catena delle leggi omofobiche è che possono eliminare il sostegno per le persone affette da HIV/AIDS e alle lavoratrici del sesso, due gruppi che a volte si sovrappongono alla comunità LGBTQ+. Qualsiasi attività di sensibilizzazione può essere travisata come promozione dell’omosessualità e, nel caso della nuova legge ugandese, chiunque «favoreggi l’omosessualità» sarà punito. Con un continente che sta già affrontando le ripercussioni della global gag rule[1]che ha ridotto i finanziamenti per la salute e i diritti sessuali e riproduttivi, cosa che influirà sicuramente sull’assistenza sanitaria sia per le persone LGBTQ+ che per quelle eterosessuali.

Date le pesanti conseguenze dell’ingerenza straniera sugli stati africani, diventa sempre più importante per questi paesi finanziare i propri sistemi di welfare e, se persiste l’intolleranza nei confronti delle persone LGBTQ+ in Africa, non si fermano gli sforzi per autorganizzarsi per soddisfare i propri bisogni attraverso iniziative di mutuo soccorso. TQF incoraggia altri a istituire fondi comuni simili per rafforzare la comunità. «A lungo termine – afferma Makena – non vogliamo che le persone LGBTQ+ siano solo beneficiarie passive dei fondi e poco radicali; vogliamo che le persone riflettano sul TQF e partecipino attivamente alla propria liberazione, definendone collettivamente l’agenda».

Le comunità africane stanno imparando ad accettare la diversità e stanno riconoscendo che tutti i nostri destini sono collegati. Vale la pena “tornare alla fonte” per riscoprire le tradizioni culturali indigene africane sulle transizioni di genere e per consentire oggi risposte più aperte verso le persone LGBTQ+. La libertà nel suo senso più pieno include il diritto alla riservatezza e il diritto di amare e costruire strutture familiari di propria scelta. Le persone LGBTQ+ in Africa, come ogni altro gruppo, dovrebbero potersi organizzare per la propria libertà. Noi continueremo nonostante le sfide quotidiane alla nostra stessa esistenza.

[1] [Questo provvedimento è stato in vigore durante l’amministrazione Trump, e impediva alle ONG che ricevevano fondi statunitensi a non fornire informazioni, riferimenti o servizi per l’aborto legale o a sostenere la legalizzazione dell’aborto nel loro paese anche con i propri fondi. Sebbene questa politica non sia più in vigore, il suo impatto sulla salute sessuale e riproduttiva e sull’accesso all’assistenza sanitaria continuerà a persistere perché nel frattempo molti programmi e progetti sono stati chiusi, ndr]

Questo articolo è stato prodotto da Globetrotter

Efemia Chela è editor e ricercatrice presso Tricontinental: Institute for Social Research e gestisce la pubblicazione presso Inkani Books.

Immagine di copertina di Alisdare Hickson