ROMA
Il degrado a San Lorenzo: breve storia di un fallimento
Tra i pieni e i vuoti della città, il degrado nasce dove c’è un’assenza. San Lorenzo sarebbe potuto essere un modello di pianificazione condivisa. É diventato l’emblema del disastro prodotto dall’assenza di una guida politica della trasformazione economica.
Tra i pieni e i vuoti della città, il degrado nasce dove c’è un’assenza. Non succede casualmente, e non succede da ieri. A San Lorenzo le continue, ripetute e intenzionali assenze hanno pesato negli anni sulla trasformazione del tessuto produttivo e sociale del quartiere popolare di semiperiferia. Da area a vocazione artigianale San Lorenzo si è specializzato in un «terziario commerciale», diventando un parco-giochi per la speculazione più becera. Quella che spreme, svuota, e crea degrado. Se a San Lorenzo qualcosa ancora resiste alla desertificazione è merito di chi si ostina ad abitare e significare i suoi spazi, con enorme fatica, a costo di occuparli.
«San Lorenzo è ora a un bivio. Di qua c’è l’accelerazione di derive spontanee che, mutando la fisionomia del quartiere, generando un diffuso senso di scollamento emotivo in chi vi abita da più tempo e non riesce più ad adeguarsi alla velocità con cui i flussi (di nuovi abitanti, di studenti, di traffico, di frequentatori serali, di aperture di nuove attività commerciali e chiusure di vecchie botteghe artigianali) atterrano sul quartiere proponendo di plasmarlo sino a farne un parco a tema. É ora necessario progettare un futuro». Questo l’incipit di uno studio di Risorse per Roma, preliminare all’avvio del Progetto Urbano San Lorenzo: dopo decenni di trasformazioni incontrollate già allora, questo strumento avrebbe dovuto determinare assetti e funzioni delle aree del quartiere, per collocare servizi pubblici, verde, luoghi per il tempo libero e per la cultura, in armonia con la realizzazione di nuove residenza. Una sorta di piano generale per il futuro del quartiere, per «progettare un equilibrio sociale più soddisfacente dell’attuale», elaborato all’interno di un assetto urbanistico di iniziativa pubblica, promosso dall’Amministrazione comunale con la partecipazione dei cittadini. Era il 2009. A fine 2014, dopo anni di stop e riprese, riunioni, tavoli tematici, incontri, dibattiti, carte e mappe, si è conclusa la fase di consultazione tra amministrazione e cittadini. Poi, il nulla.
San Lorenzo, con i suoi confini ben definiti, sarebbe potuto essere un modello di pianificazione condivisa. É diventato l’emblema del disastro prodotto dall’assenza di una guida politica della trasformazione economica all’insegna della speculazione selvaggia, che ha eroso gli equilibri tra le necessità di tutti e le funzioni del quartiere.
Sono prevalse le solite ricette: il food e il turismo, i locali, gli affitti brevi e le case locate in nero agli studenti, la rendita immobiliare, i mini-appartamenti e gli studentati di lusso. Via le attività di vicinato, gli artigiani, le officine e i laboratori, le librerie, e anche i residenti, abbastanza stufi. Il costruito si è svuotato, mentre i vuoti fisici sono stati riempiti senza alcun criterio.
A San Lorenzo si è costruito ovunque. A pochi passi da via dei Lucani sta terminando la costruzione di una palazzina di appartamenti, “Residenze Green Life”. Le case affacciano sul benzinaio IP e sull’Ex Dogana. L’ex scalo merci della città, oggi proprietà di Cassa Depositi e Prestiti, è diventata una discoteca a cielo aperto in attesa del progetto dello Student Hotel, catena olandese di studentati di lusso. Grazie ai permessi provvisori rilasciati dal Dipartimento Cultura e il parare favorevole del Municipio sulla proroga dell’orario, qui la musica tiene svegli gli abitanti fino alle 7 del mattino, da tre anni. «Non ci sono problemi con il quartiere» dicono i gestori. «Io sto vendendo la casa» dice Cristiano, che dal primo piano affaccia sull’ex dogana.
Se nessuno più ci vuole abitare, non sarà un problema il fatto che da anni nel quartiere gli spazi verdi, le biblioteche, i centri culturali sono perennemente a rischio chiusura quando non assenti. L’anno scorso i bambini di San Lorenzo non sapevano dove giocare: i giochi a Villa Mercede sono rotti, quelli al Parco dei Caduti erano stati rimossi perché vecchi. Ci sono voluti otto mesi per rimetterli. Il già minuscolo Parco dei Galli è stato tagliato a metà da un recinto che difende un ristorante, dopo un contenzioso legale tra chi – da anni – curava quello spazio abbandonato e il proprietario del ristorante. Un contenzioso in cui ha brillato, di nuovo, l’assenza dell’amministrazione. Il palazzinaro locale ha chiuso con dei cancelli due strade pubbliche, via dei Piceni e via dei Galli, rendendo inaccessibile un’altra area di verde pubblico, la particella 26. Ma questo, a San Lorenzo, è normale.
L’unico campo sportivo del quartiere è il Campo Benedetto XV, gestito dalla Fondazione dei Cavalieri di Colombo. Qui giocano adulti e bambini dell’Atletico San Lorenzo, una polisportiva di sport popolare totalmente autofinanziata dai soci, dal quartiere e dai suoi sostenitori. Fino a poco tempo fa una targa all’ingresso dello spazio recitava il motto «Tutti sono benvenuti, tutto è gratuito». La targa è sparita, il campo è diventato a pagamento, e la Fondazione dei Cavalieri di Colombo intende frazionarlo in campi da calcetto per massimizzare i profitti.
Nella lunga lista di assenze, c’è il caso clamoroso del Cinema Palazzo in Piazza dei Sanniti. Un ex teatro di inizio Novecento, preso in affitto da una società collegata ad Anemone e Balducci per farci un casinò. Non aveva neanche i permessi, ma il casinò stava per aprire. Il quartiere lo ha occupato. Il Comune di Roma avrebbe approvato un regolamento sul gioco d’azzardo 6 anni dopo, quando ormai casinò, sale slot e compro oro avevano già invaso mezza città. Intanto, dal giorno della sua occupazione, non un singolo episodio di spaccio o di violenza si è verificato davanti al Cinema Palazzo.
L’assenza più grave è quella che pesa sul Progetto Urbano San Lorenzo. Fa rabbia rileggere oggi le primissime proposte fatte dagli abitanti per la cosiddetta Area di Valorizzazione B7, che comprende via dei Lucani: servizi (sala assemblee, ludoteca, asilo nido), aree verdi, parchi, case in co-housing, una “scuola di artigianato diffuso” per creare nuove professionalità e opportunità di lavoro, per “non disperdere il grande patrimonio professionale in possesso delle botteghe artigianali di S. Lorenzo”. Fa rabbia immaginare cosa sarebbe potuto diventare quella parte di quartiere dove sorge un’area di costruzioni basse, rimesse e botteghe oggi abbandonate, circondate da rete di cantiere arancione, che si stanno sgretolando sul marciapiede.
E se pretendere una vera e propria pianificazione è troppo, si sarebbe però potuto intervenire su tante situazioni che incidono sul clima generale che si respira a San Lorenzo. Si sarebbe potuto evitare di far aprire un Montadidos in un cortile tra due palazzi abitati, o di rilasciare il permesso a costruire un palazzo dentro un cortile interno, o di trasformare la Ex Dogana in discoteca. Si è scelto un quartiere già stremato per sperimentare la raccolta differenziata porta a porta. Fallita, tra mille disagi e proteste.
A questa lunga lista di assenze, e all’assenza della politica ufficiale, negli anni hanno risposto e sopperito gli spazi culturali e sociali esistenti, tra cui anche gli spazi occupati, ma non solo. Spazi che altrove sarebbero sostenuti e aiutati ma che a Roma faticano a resistere. Il Cinema Palazzo, Esc, Communia a pochi passi da via dei Lucani, il Grande Cocomero, la Palestra Popolare, l’Atletico San Lorenzo, le librerie, Giufà, Assaggi che forniva le sedie per le cene in piazza d’estate organizzate da La Gru, associazione di genitori del quartiere, le iniziative a Villa Mercede, sempre a repentaglio per questioni di permessi, Neuropsichiatria Infantile che anima la piazza a giugno, sempre a rischio chiusura. Le associazioni, i circoli politici, ANPI San Lorenzo, la Parrocchia San Tommaso Moro, l’Esercito della Salvezza, Civico Zero, queste e tante altre realtà locali hanno tenuto in vita, da sole, San Lorenzo. Alcune di queste sono le realtà che Salvini vuole sgomberare, creando un parallelo inesistente tra le occupazioni e la “sacra” proprietà privata, a lui tanto cara, abbandonata, diventata centrale di spaccio, dove è morta Desirée.
La declinazione securitaria della risposta alla lunga lista di problemi irrisolti del quartiere –che ha sì generato un’emergenza legata allo spaccio – non può che generare altro degrado.
Le assenze e i problemi irrisolti hanno creato l’humus ideale per il degenerare di pulsioni fondate sulla paura e dunque strumentalizzabili. San Lorenzo, in questo senso, è stato un vero e proprio laboratorio, ci si chiede quanto intenzionale. Ha funzionato. L’esasperazione è palpabile.
Le realtà sociali l’hanno capito da tempo. Durante la fase consultiva del Progetto Urbano San Lorenzo, La Libera Repubblica elaborò e inviò all’amministrazione “La Volontà di Sapere“, una proposta organica di assetto del quartiere, a partire dagli elementi irrinunciabili per la sua “vivibilità” – caduta anch’essa nel vuoto. Perché il problema non sono i minimarket, gli alcolici, i divieti e le ordinanze. Il problema è la totale assenza di politiche attive, da decenni, in un territorio spremuto al midollo da ricette economiciste. Il problema è l’assenza di alternative, di spazi culturali, di un’offerta che non sia il locale con gli shottini a 1 euro o la discoteca alla Ex Dogana. Il problema è, per citarne uno, il taglio dei fondi per lo sportello di prevenzione delle dipendenze e dell’abuso di sostanze gestito dalla Cooperativa Parsec a San Lorenzo. Il problema, in tutto questo, è il mito dell’iniziativa privata come motore di sviluppo della città, del “trickle-down” dei benefici che dovrebbero discendere dalla realizzazione di progetti di “valorizzazione” del territorio in chiave speculativa. Ma si è visto, senza politiche strutturali a monte anche le grandi imprese private, come i piccoli artigiani e le librerie, e poi gli abitanti, prima o poi abbandonano i territori. Il bivio a San Lorenzo è stato passato da un pezzo, ma invertire il paradigma – prima lo sviluppo sociale, prima i servizi, prima le persone – è ancora necessario e possibile.