EDITORIALE
Il degrado, la ruspa e il cemento: San Lorenzo e il circolo perverso del governo della città
Dopo la morte di Desirée, Salvini dichiara guerra alle occupazioni. Ma dietro la ruspa si nasconde un circolo vizioso che tiene insieme criminalità, controllo securitario e speculazione urbana
In occasione della sua visita di stamattina a San Lorenzo, nel luogo dove si sono consumati lo stupro e l’assassinio di Desirée Mariottini, passerella duramente contestata dai residenti e dal movimento femminista romano, Matteo Salvini ha stilato con grande chiarezza la lista dei nemici e delle priorità. Il problema, secondo il Ministro degli Interni, sarebbero infatti esclusivamente le occupazioni abusive e gli spazi sociali: «da Ministro mi impegno a fare pulizia e a tornare con la ruspa, ci sono cento palazzine a Roma in queste condizioni con delinquenti che difendono le occupazioni abusive e lo spaccio», e ancora «sulla mia scrivania ho quasi un centinaio di richieste di intervento su Roma: mi chiedo nei 10-20 anni precedenti cosa sia stato fatto». Persino superando la tipica retorica razzista che gli sarebbe stata propria, stavolta Salvini sceglie di rilanciare esclusivamente sulla questione degli sgomberi.
Le denunce del quartiere
Ciò che nel racconto di questi giorni viene omesso è che già da tempo i residenti del quartiere e le realtà sociali organizzate, tra cui il comitato Libera Repubblica di San Lorenzo e i centri sociali di zona, avevano ripetutamente segnalato la situazione di pericolosità dell’area in cui si trova lo stabile nel quale è avvenuta la morte di Desirée: un’area per lo più abbandonata dall’incuria dei proprietari privati, dove in tempi recenti erano avvenuti diversi casi di aggressione, anche legati alla densa attività di spaccio di eroina che vi si svolgeva. Di più: l’area di via dei Lucani era stata oggetto di una lunga mobilitazione cittadina, che richiedeva con forza il rilancio di una riqualificazione partecipata e del basso della zona, che evitasse tanto l’abbandono quanto le speculazioni immobiliari che da anni devastano l’intero quartiere. Questa discussione intorno al Progetto Urbano San Lorenzo, tuttavia, si era conclusa nel nulla di fatto, per l’inerzia dell’amministrazione municipale e di quella comunale. A ciò si aggiungono numerose segnalazioni e denunce da parte dei residenti, rievocate anche nel presidio di stamattina, a cui però non ha fatto seguito alcun intervento da parte delle forze dell’ordine. Le istituzioni, insomma, sapevano, eppure non hanno agito.
Il circolo vizioso del degrado
I fatti di questi giorni di San Lorenzo appaiono insomma come un caso esemplare, emblematico eppure diffusissimo, del perverso meccanismo di funzionamento del governo delle città. L’illegalità diffusa e la criminalità vengono tollerate, vengono ammesse, fino al punto in cui i loro effetti drammatici determinano un salto di qualità nella gestione securitaria dei quartieri: allora si procede con il pugno di ferro, con la pulizia, con il ricatto di una “riqualificazione” tanto indispensabile quanto escludente, che consegna interi pezzi della metropoli a nuove forme di valorizzazione economica, segnate principalmente dalla speculazione immobiliare. L’abbandono insomma genera criminalità, la sua tolleranza genera emarginazione, persino morte: a queste segue la ruspa; la ruspa spiana la strada – simbolicamente e materialmente – per il nuovo cemento, per la speculazione, quindi per la desertificazione delle città. Il cerchio si chiude.
È esattamente per questo motivo che la risposta di Salvini ai tragici eventi di San Lorenzo, oltre ad essere un bieco tentativo di sciacallaggio, è anche sostanzialmente paradossale: il nemico individuato – le occupazioni, gli spazi sociali – sono in realtà gli unici presidi territoriali che abbiano posto un argine alle situazioni di abbandono, gli unici che le abbiano denunciate con forza, nel sistematico disinteresse delle istituzioni.
La stretta sugli spazi sociali
La questione degli sgomberi rischia dunque di diventare uno dei più rilevanti campi di scontro politico delle prossime settimane. A Roma, in particolare, la questione è già da diverse settimane al centro di una contesa abbastanza dura tra il Viminale e Virginia Raggi e la sua Giunta, accusata di eccessiva morbidezza nell’esecuzione delle operazioni di “pulizia”. La stessa Giunta che, tra l’altro, ha invece da mesi interrotto qualunque confronto con i movimenti per il diritto all’abitare, rifiutandosi sistematicamente di sfruttare le possibilità e i fondi offerti dalla legge regionale per una qualche soluzione del problema dei senza casa in città, e anzi rilanciando a sua volta sull’inevitabilità degli sgomberi, senza che vengano previste soluzioni alternative strutturali e degne. Alla questione abitativa si somma poi quella degli spazi sociali, ed in particolare di quelli assegnati proprio dal Comune di Roma, che sono stati messi sotto sgombero da Marino e poi da Tronca e rispetto ai quali la maggioranza capitolina a 5 stelle, nonostante le ripetute promesse, non ha mai avuto né il coraggio né la capacità di trovare una soluzione definitiva, capace di riconoscere e promuovere il loro valore sociale. Un valore, quello degli spazi sociali, che si dovrebbe riconoscere come indispensabile proprio in quartieri come San Lorenzo e proprio in occasioni come quelle, drammatiche, degli ultimi giorni.
A Roma, insomma, sembra prepararsi una nuova fase della campagna elettorale permanente che è iniziata il 4 marzo. Una fase che ha a che fare non soltanto con le dinamiche nazionali, con i meccanismi di costruzione del nemico da parte di Salvini, ma anche con gli equilibri specifici del governo cittadino, dentro il clima di instabilità che si respira rispetto alla eventualità – sempre più probabile – di una crisi della maggioranza comunale. La destra, a tutti i livelli, ha già ferocemente iniziato questa campagna elettorale, mettendovi al centro proprio le occupazioni e gli spazi sociali. La campagna per la loro difesa, e l’organizzazione della loro resistenza, dovrà sapersi collocare all’interno di questo scontro più ampio, più politico, che avrà come posta in palio l’esistenza di spazi di agibilità democratica e il rifiuto di modelli autoritari per il governo delle città.