OPINIONI
Decreto sicurezza. Li chiamano sindaci ribelli ma sono semplicemente coerenti
I sindaci si trovano in prima linea a dover garantire il rispetto dei valori della Costituzione che hanno giurato di osservare. Non applicare tutte quelle norme della legge Salvini che andrebbero a impedire l’attuazione dei diritti fondamentali delle persone è da considerarsi un dovere e non un atto di ribellione.
«Giuro di osservare lealmente la Costituzione italiana»: è la formula con la quale il sindaco si insedia a capo di una amministrazione indossando obbligatoriamente la fascia tricolore recante il simbolo della propria città. Un giuramento che, anche attraverso la forte simbologia, ha il profondo significato di tutelare tutti i componenti della comunità, garantendo loro i diritti inalienabili che sono sanciti dalla Costituzione.
Garante della Costituzione e dei suoi valori è proprio il sindaco.
L’applicazione del Decreto sicurezza invece sembra contrastare la fondamentale funzione del sindaco di garantire il rispetto dei valori della Carta e, nel caso specifico, del diritto inalienabile alla salute costituzionalmente garantito (art. 32). È dovere del sindaco, quale autorità sanitaria locale, garantire l’accesso alle cure a tutti i cittadini, eliminando gli ostacoli che impediscono l’applicazione di un diritto costituzionalmente e moralmente garantito. Nessun motivo può limitare il diritto alla salute, tantomeno il decreto Salvini con le sue disumane articolazioni.
La legge 132/2018 (Decreto sicurezza) sembra pertanto essere in contrasto con alcuni articoli della Costituzione. In particolare, con l’art. 2, dove il rifiuto di residenza anagrafica limiterebbe il cittadino nell’esercizio della partecipazione alle formazioni sociali; con l’art. 14, dove l’inviolabilità del domicilio verrebbe incisa da un provvedimento negativo in materia anagrafica; con l’art. 16, dove la libertà di movimento sarebbe condizionata e limitata; con il sopraccitato art. 32, dove il diritto alla salute potrebbe essere non garantito in ragione della mancata libertà di scelta o della mancanza assoluta di formale residenza.
Nel nome della Costituzione e dell’umanità non applicare tutte quelle norme che andrebbero a impedire l’attuazione dei diritti fondamentali delle persone potrebbe considerarsi un dovere dei sindaci e non un atto di ribellione. Limitare le procedure anagrafiche significherebbe inoltre venir meno al giuramento.
Non siamo di fronte a sindaci ribelli ma a rappresentanti delle istituzioni coerenti con quella carta costituzionale di cui ricorre il settantesimo anniversario e che qualcuno ha definito «la più bella del mondo».