ITALIA
Il decreto che di “clima” ha solo il nome
Arriva in Consiglio un provvedimento bandiera del governo Conte, elaborato dal ministro Costa, ma dietro alla retorica si nasconde l’inadeguatezza e la non volontà di affrontare l’emergenza climatica
Dopo essere stato promesso a gran voce fin dall’insediamento del governo Conte Bis, il Decreto Clima del ministro dell’Ambiente Costa più volte rinviato è arrivato finalmente all’esame del Consiglio dei Ministri. Su Dinamo già varie volte avevamo denunciato quanto la retorica pseudoambientalista del governo fosse solo un paravento dietro cui nascondere la poca consistenza e la poca capacità di rinnovamento rispetto ai grigi tempi del governo lega-pentastellato. Abbiamo pure fatto notare che neppure parlare di greenwashing sarebbe appropriato, perché si tratta di pura retorica e mistificazione della realtà e perché quei provvedimenti ambientali che permetterebbero di nascondere altre nefandezza non ci sono proprio.
Il decreto Clima è la conferma di questa linea governativa, si potrebbe proprio dire che di clima ha soltanto il nome.
Esso include una serie di provvedimenti a pioggia, dagli incentivi per la rottamazione di auto e motorini, a quelli per favorire la diffusione di prodotti alla spina, nonché per costruire corsie preferenziali per i bus, ma il cuore della questione climatica nel nostro paese cioè la quantità di emissioni dovute a combustibili fossili impiegati nel settore energetico è stata evitata. Si è deciso infatti di trattare la questione di una ipotetica riduzione dei sussidi attualmente forniti all’industria energetica basata sul fossile solo all’interno della futura legge di bilancio. Considerando quante forze e lobby sono in campo quando si tratta di determinare provvedimenti di quella legge possiamo quanto meno dubitare che ci si muova verso il taglio ai sussidi varie volte promesso.
Eppure l’Italia continua ad aumentare le proprie emissioni di Co2 ogni anno, anche a causa della riduzione di investimenti e sostegni alle rinnovabili, praticati da tutti i governi, da Monti in poi.
La scienza è unanime nel ritenere che per sopravvivere il pianeta deve arrivare nel più breve tempo possibile e, al massimo in 30 anni, a emissioni zero; quindisi deve procedere rapidamente verso quel risultato estremamente complesso da raggiungere (basta pensare a quanto sarebbe sconvolta la nostra vita quotidiana passando anche solo una giornata senza emissioni di Co2). Il decreto Clima va in tutt’altra direzione.
Il quadro è ancora più preoccupante se ricordiamo che è in dirittura di arrivo la versione finale del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) che deve definire la strategia energetica dei prossimi anni. Questo piano, da presentare a Bruxelles entro il 31 dicembre, è in linea con i governi precedenti e continua a centralizzare l’approvvigionamento energetico nei fossili, in particolar modo nel cosiddetto gas naturale di cui l’Italia dovrebbe diventare hub internazionale, senza nessun provvedimento che possa realmente dare priorità alle energie rinnovabili, l’unica via per decarbonizzare in breve termine il paese
Non a caso forse, il decreto Clima è stato commentato da Patuanelli (Ministro dello Sviluppo Economico) nell’ambito di un convegno sull’idrogeno organizzato da Snam, una delle imprese più entusiasticamente interessate alla “gassificazione” della produzione energetica Italiana. Sempre in linea con la scelta dei combustibili fossili, questo governo ha convalidato la decisione del precedente di stabilire un “Capacity market” ossia una sorta di asta in cui ogni impianto offre la quantità di energia che mette a disposizione della rete, un provvedimento molto iniquo verso le rinnovabili e che ha permesso, tra l’altro, a Enel di convertire in impianti a gas tutte le centrali a carbone che si era impegnata a dismettere.
Alla luce di questo contesto è a dir poco ridicolo sentir parlare Di Maio di una Italia leader nella decarbonizzazioneinEuropa, per non parlare dell’abuso del termine Green New Deal in bocca ormai a tutti i membri dell’esecutivo.
L’Italia è stato il secondo paese europeo per quantità di manifestanti durante lo sciopero per il clima del 27 settembre, con un milione di persone scese in piazza in più di cento città. Questo dirompente movimento chiede ben altro che ingannevoli provvedimenti che si ha l’ardire di chiamare decreto Clima.