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Il decalogo delle streghe
Fachinelli prende parola sul “caso Braibanti”: tra le figure intellettuali e artistiche più brillanti dell’epoca, omosessuale e comunista (ex partigiano), Aldo Braibanti fu accusato, e poi condannato, nel 1968, a nove anni di reclusione per “plagio” nei confronti di due giovani. Sentenza esemplare, colpo di coda del Codice Rocco, volta a criminalizzare più complessivamente un’epoca e le sue istanze di libertà
Bisogna proprio ammettere che è stato un colpo a sorpresa. Si poteva pensare che Aldo Braibanti fosse stato condannato per un’infinità di ragioni e infatti queste ragioni, nel riassunto della sentenza pubblicato dai giornali, ci sono tutte; ma era difficile pensare che sarebbe stato fatto rientrare nell’ordine dei grandi seduttori d’individui e di masse, e che il suo comportamento sarebbe stato accostato alle tecniche di manipolazione totalitaria. Eppure questo è avvenuto, e con tale evidenza che il Corriere e il Messaggero si sono riempiti di grida d’allarme per la massificazione e reificazione della persona umana. La cosa non sarebbe inquietante, se non si proponesse seriamente di raggiungere due obiettivi.
Il primo, per la verità, è molto generale. Stando al resoconto del Messaggero, la sentenza considera «sempre più attuale la necessità di difendere la persona umana contro tali mezzi di suggestione: e questa difesa è appunto realizzata con l’articolo 603 del codice penale che punisce il plagio».
Qui mi sembra che spuntino varie cose. In primo luogo, evidentemente, l’antica illusione del mondo della legge di poter risolvere con la propria spada problemi che si pongono e si risolvono in tutt’altra sfera; poi, a un altro livello, l’antico fantasma del canonico Filiberto che interviene a sciogliere secundum castrationem il nodo d’amore strettosi fra Pietro Abelardo e la sua allieva Eloisa. Infine, e soprattutto, una tecnica di dissuasione che fatalmente finirà per rivolgersi contro chi persuade e convince a certe cose e a certi comportamenti anziché ad altre cose e ad altri comportamenti. È facile immaginare una punizione per chi seduce all’omosessualità, alle droghe, alla cultura (almeno, ad «alcuni tipi di cultura anticonformisti», secondo la definizione del Messaggero), alla sovversione, al male insomma; difficile immaginarla per chi quotidianamente insuffla il bene. E la difficoltà è che chi possiede i grandi, reali mezzi di suggestione dei singoli e delle masse ha un’ostinata tendenza a sentirsi dalla parte del bene.
Il secondo obiettivo riguarda direttamente Aldo Braibanti. Per quale ragione, per quale logica interna si è tanto insistito non solo sulla suggestione per così dire istituzionale (mass media e così via), ma sulla sua intensità ed efficacia? Un ragionamento molto semplice, il primo che viene in mente, vorrebbe che, se siamo tutti interamente manipolati, allora il povero manipolatore Braibanti risulta essere se non discolpato, certo sacrificato, perché insieme a lui ci dovrebbero essere in prigione i grandi manipolatori di tutti. Dunque questo argomento della suggestione universale sembra qui puramente suggestivo, stretto più da vicino, tende a scagionare Braibanti e non ad accusarlo.
Di questo l’estensore del giudizio si è certamente accorto: ma egli vi ha insistito, mi sembra chiaro, perché l’esistenza accertata e conclamata dei mezzi e dei meccanismi di “controllo” psichico generale gli consentiva di dare aspetto di verosimiglianza alla tesi del “dominio” psichico particolare raggiunto da Braibanti sui suoi amici. È questa veramente la fallacia dell’argomento, quella che rischia di far invecchiare in carcere Aldo Braibanti.
Proviamo infatti a considerare un po’ più da vicino, a sé stante, la situazione di “schiavitù psichica” in cui dopo tutto si configura il reato di plagio. Perché questa situazione si verifichi, perché una persona che non sia già un robot, si schiavizzi davvero, si assoggetti completamente e continuativamente a un’altra persona, diventando “cosa”, come dice la sentenza, occorrono evidentemente condizioni del tutto eccezionali. Condizioni che la fantasia popolare tenderà a vedere nell’ambito del prodigioso stregonesco, del magico con relativi filtri e beveraggi, della ipnosi secondo i modelli ormai mitici dell’avanspettacolo.
Sono concezioni a cui l’estensore del giudizio non è riuscito a sfuggire, anche se ha cercato di apportarvi qualche correzione cautelativa di ordine “scientifico”. Così, di fronte alla difficoltà di far durare l’ipnosi braibantesca mesi e anni – il che farebbe dell’imputato il più grande mago di tutti i tempi, e potrebbe suscitare seri timori per la personalità degli altri carcerati – il giudice ha immaginato (cito sempre dal Messaggero) «una specie di ipnosi in stato di veglia», «una riduzione a certi stati neurotici artificialmente ottenuta con mezzi psichici che funzionano come autentiche droghe», per cui si ha «una regressione del soggetto a una condizione infantile, istintiva, animale».
D’altra parte, messo di fronte all’altro problema, quello della personalità di un cosiffatto stregone, il giudice ha dovuto costruire un ritratto in cui le tesi desunte da qualche testo di Alfred Adler e da qualche sommario di psicanalisi si congiungono nel più scoperto intento persuasorio. «La sua psiche reagisce alla lotta e alle torture con un bisogno inconscio, istintivo, di recupero, di illusione». «Questa sconfitta chiede vendetta; la sua frustrazione esige una rivalsa; la sua sete insoddisfatta di dominio lo spinge a proporsi nuovi campi di potere: egli sarà per pochi, fosse anche per uno solo, il “capo” che non poté essere per tutti. Cesare si farà Don Giovanni, Napoleone Casanova; attitudinalmente, egli sarà Socrate per un novello Alcibiade; non certo un volgare seduttore da strapazzo, ma un diabolico raffinato invasore di spiriti».
Ecco appunto rispuntare, in questi classici brani dell’oratoria forense e della psicanalisi primitiva, gli “spiriti”, per esorcizzare i quali propongo di tener conto dei seguenti punti:
- Che, come ben sapevano i vecchi cultori di ipnotismo, esiste suggestione e suggestione ed esistono vari livelli di suggestione.
- Che anche nella suggestione più profonda, ci si urta sempre con il fatto che l’altro, il soggetto suggestionato, c’è ed è diverso da chi suggestiona.
- Che questo altro, questo diverso, manifesterà ben presto la sua propria individualità, e quindi le sue proprie tendenze e “resistenze”.
- Che dunque chi si appoggia alla suggestione fa poca strada. E infatti la psicanalisi non è, o non dovrebbe essere, una suggestione benefica, così come la suggestione braibantesca non è una psicanalisi maliziosa.
- Che tutti possiamo avere, e anzi abbiamo in qualche momento della vita, il progetto più o meno chiaro di plagiare o di essere plagiati.
- Ma che, ahimè, questo progetto non riesce a nessuno.
- Che dunque la verità del plagio non è di ordine storico ma mitico.
- Che questo mito ha una lunga storia, sia nella realtà che nella finzione.
- Che nella storia di questo mito entrerà senza dubbio lo scontro fra il dottor Falco [1] e il professor Braibanti.
- Che è da sperare che questo incontro sia di breve durata perché, se è giusto scontare i propri miti, è perlomeno discutibile pagare in proprio per quelli altrui.
L’Espresso, n. 2, 12 gennaio 1969.
[1] Il giudice Orlando Franco emise la sentenza di condanna contro Aldo Braibanti.