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ITALIA
Dalle accampate nelle università si alza un grido contro il genocidio a Gaza
Da Torino a Napoli, da Pisa a Bari, passando per Firenze, Padova e Milano, sono ormai tantissime le Università dove le e gli studenti stanno dando vita a una nuova protesta in solidarietà con la Palestina. Appuntamento in assemblea a Roma il 2 e 3 giugno
Come fiori, da inizio maggio le tende in solidarietà con la Palestina sbocciano nelle università di tutta Italia. Il movimento, che si rifà a quello partito dagli Stati uniti, ha preso piede in decine di atenei, sia in forma temporanea che permanente. La mobilitazione è sfaccettata e spontanea. All’inizio si è articolata nei contesti locali senza avere un coordinamento nazionale, ma sta testimoniando la volontà di mettersi in gioco di una intera generazione studentesca. Le e gli studenti che stanno animando queste proteste si sono mobilitate già negli scorsi mesi per chiedere alle governance dei loro atenei di interrompere gli accordi con le università israeliane e con le aziende belliche italiane come Leonardo. È un movimento che con il passare delle settimane ha acquisito man mano più respiro, nonostante da parte degli atenei non ci sia stata nessun tipo di presa di posizione netta. La protesta ha visto anche momenti di tensioni con le forze dell’ordine, come è successo a Roma il 16 maggio, dove la polizia ha più volte caricato un corteo universitario. Alla fine della giornata due persone sono state arrestate e denunciate nell’ambito delle proteste.
Proprio a Roma, nel pratone dell’Università “La Sapienza”, incontro Dario, studente di fisica e attivista del Coordinamento dei collettivi, che racconta come è iniziata la protesta. «Abbiamo montato le tende la sera del 6 maggio», ma «l’iniziativa ha le sue radici in un percorso che va avanti da molto più tempo», spiega. «Abbiamo pensato di fare questo tipo di mobilitazione per la gravità della situazione a Rafah e ovviamente anche perché in tutto il mondo sono aumentate le proteste per la Palestina. Vogliamo unirci a una mobilitazione internazionale che forse ha la possibilità di creare effettivamente una pressione».
Come ha rimarcato Dario, le tende sono solo una nuova espressione della protesta studentesca che a La Sapienza negli ultimi mesi ha chiesto più volte, e senza successo, un’interlocuzione con la rettrice Antonella Polimeni.
«Aver messo le tende è un gesto che crea una pressione mediatica, ma dal rettorato e dalla governance di ateneo continua ad arrivare un muro di gomma. Le nostre rivendicazioni non cambiano, chiediamo lo stop degli accordi tra La Sapienza e le università israeliane, complici del sistema di apartheid che la popolazione palestinese vive da più di 75 anni e del genocidio che sta avvenendo a Gaza negli ultimi sei mesi. Riteniamo che collaborare con quelle università sia del tutto incompatibile con la natura del nostro ateneo».
Una buona notizia sembra però venire dalla Facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali. «C’è stata un’assemblea informale a cui hanno partecipato molte e molti docenti e una buona parte della comunità studentesca – racconta Dario – c’erano all’incirca 250 persone in presenza e 80 connesse via streaming. È stato molto bello. Ci si è trovati abbastanza d’accordo sul boicottaggio accademico come forma di presa di posizione e da questo incontro abbiamo ottenuto la convocazione di un’assemblea formale, quindi con poteri di delibera, in cui si voterà una mozione sul boicottaggio accademico, che porteremo noi in quanto studenti. Questa assemblea di Facoltà dovrebbe tenersi il 6 giugno».
A Bologna, l’accampamento universitario in solidarietà con la Palestina è nato a piazza Scaravilli, una traversa di via Zamboni, a pochi passi da piazza Verdi. Le tende, i cui colori verde pastello risalgono sul marmo bianco della piazza, spuntano all’improvviso in mezzo al reticolo del centro città. «Noi abbiamo scelto di mobilitarci a partire dal percorso che abbiamo avviato con la governance dell’Università dopo l’incontro del 24 aprile – racconta Mattia – abbiamo espresso la nostra contrarietà agli accordi che l’ateneo ha con le università israeliane, senza ricevere risposte esaustive. Da quando è cominciato l’accampamento, con la governance non c’è stato praticamente dialogo, anzi il rettore non ha pronunciato parola rispetto alla nostra azione». Inoltre, tra le altre rivendicazioni, la protesta chiede di creare un ethical agreement su tutti i progetti di ricerca stipulati dall’università, per impedire rapporti su progetti di natura militare o che hanno implicazioni con la repressione del popolo palestinese.
Vivere l’accampamento non è solo un’esperienza di confronto con la controparte accademica, ma un vero e proprio esperimento sociale in cui prendono vita nuove forme di vivere insieme. «Da quando siamo qui si è creato un forte senso di comunità tra le persone che animano la protesta e chi invece vive in queste strade», racconta Daria, del collettivo LUnA.
«Proviamo a garantire almeno un pasto al giorno per chi sta vivendo piazza Scaravilli. Viviamo insieme, e questo perché la causa palestinese è compresa e conosciuta da persone che vengono da orizzonti anche molto diversi».
Dopo che a inizio aprile le università di Bari e di Torino e la Normale di Pisa avevano espresso delle mozioni contro il genocidio a Gaza, non ci sono stati altri atenei che hanno replicato l’esempio, ma solo alcune mozioni annacquate e generiche come quella espressa dal Senato Accademico di Bologna lo scorso 21 maggio. Dalle governance di ateneo e dai rettorati delle università dove si sono verificate mobilitazioni in forma di accampamenti, non si ha notizia di tavoli di confronto che stanno avendo successo. Inoltre, già dopo la mozione adottata dalla Scuola Normale di Pisa, la ministra dell’Università e della ricerca Bernini aveva criticato gli atenei che avevano preso posizione, lanciando un monito. Un attacco più diretto è avvenuto nelle scorse settimane, quando il ministro degli Interni Piantedosi ha incontrato Bernini per parlare di un “rischio di infiltrazioni” nelle proteste studentesche. Dichiarazioni volte per lo più a delegittimare la protesta e a ignorare le rivendicazioni della mobilitazione, perché totalmente scollegate con la realtà delle mobilitazioni.
In questi giorni si concretizza una ricaduta nazionale del movimento, che nel fine settimana del 1, 2 e 3 giugno si incontrerà a Roma. Il primo giorno è stata lanciata una giornata di mobilitazione, anche dislocata nei territori, mentre il 2 e il 3 giugno saranno dedicati a un confronto assembleare studentesco, con un evento di confronto tra le e gli studenti che si sono mobilitate in queste ultime settimane.
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La foto di copertina è di Daniele Napolitano