EUROPA
Dalla Polonia all’Albania, la battaglia attorno alla toponomastica femminile
In vari paesi, i movimenti sociali per la difesa dei diritti femminili agiscono anche sul piano simbolico chiedendo una risignificazione dello spazio urbano. Ma la risposta dei governi è quella di un “arroccamento conservatore”
Joan Didion scriveva che un luogo appartiene a chi lo reclama nella maniera più forte, lo forma, lo plasma, lo ama fino a farne la sua stessa immagine. Sostenute da questa consapevolezza, le donne polacche del movimento pro-aborto stanno tentando di ribattezzare la toponomastica di Varsavia; al contempo, altrettanto conscio delle conseguenze sull’immaginario collettivo, il governo sta provando in tutti i modi a evitarlo.
In particolare, già a fine novembre 2020 i membri dell’organizzazione Akcja Demokracja (Azione Democrazia) avevano presentato un’istanza formale per chiedere di modificare il nome dell’attuale rondo Dmowskiego, intitolato a Roman Dmowski, in rondo Praw Kobiet, ovvero rondò dei Diritti delle donne. Sul finire del 2021 il Consiglio comunale di Varsavia ha approvato la mozione; tale atto formale, tuttavia, non significa ancora la modifica definitiva del nome, ma semplicemente che si vuole continuare a valutarne l’opportunità. Intorno a quel luogo specifico, infatti, è appena iniziata una battaglia che pare difficile si risolva in pochi giorni.
Durante le proteste contro l’introduzione della nuova legge sull’aborto, nell’ottobre del 2020, rondo Dmowskiego assurge a punto di incontro dei manifestanti. In occasione della giornata che vede le strade di Varsavia riempirsi di oltre 100.000 persone, 30 ottobre 2020, il grande incrocio di fianco al Palazzo della cultura viene designato come il luogo in cui tre enormi cortei confluiranno l’uno nell’altro.
Per la prima volta, in tale cornice, le targhe ufficiali che indicano rondo Dmowskiego vengono sostituite da quelle (false, ma assolutamente plausibili per le fattezze) che riportano la dicitura di rondo Praw Kobiet.
Dal punto di vista di chi sostiene la causa delle donne polacche in favore dell’aborto, la richiesta della modifica alla toponomastica non si giustifica semplicemente con il fatto che quello sia divenuto il luogo in cui il movimento ha riconosciuto se stesso e le potenzialità della propria azione. In questa battaglia dei segni, infatti, pesa altrettanto che Roman Dmowski venga associato dalla maggior parte dei manifestanti a un’idea del Paese spinta verso il nazionalismo e il fascismo. Dmowski (1864-1939) è considerato il padre del nazionalismo polacco; le sue idee vengono tacciate di razzismo e anti-semitismo, mentre la sua visione delle donne ribadisce un’impostazione patriarcale e maschilista del pensiero. Scalzarne il ricordo in favore delle istanze delle donne polacche avrebbe, dunque, una valenza sociale e politica fortissima.
Dal canto suo, il governo conservatore del PiS, i cui rappresentanti in Consiglio comunale si sono schierati contro la mozione, all’inizio dell’anno nuovo ha annunciato di voler presentare una legge in Parlamento con cui vietare la ridenominazione di strade, ponti e piazze i cui patroni siano santi, sovrani storici e “figure di riguardo nella costruzione e nel rafforzamento dello stato polacco”: Dmowski rientrerebbe, appunto, in quest’ultimo caso.
A Cracovia, intanto, dove il Comune ha risposto con sollecitudine alle richieste delle rappresentanti del movimento per l’aborto, skwer Praw Kobiet (piazzetta dei Diritti delle donne) esiste già dal febbraio del 2021. Si tratta di un piccolo spazio all’inizio di un giardino nascosto tra gli edifici; tuttavia, il valore simbolico è molto alto: poco distante, infatti, c’è proprio la sede locale del PiS, dove i manifestanti si radunavano con costanza nell’autunno del 2020 per protestare contro le nuove restrizioni in tema di aborto.
(Francesco Brusa)
Il fatto che in Polonia si sia giunti all’ipotesi di una legge specifica per contrastare dei cambiamenti toponomastici poco graditi al governo centrale la dice lunga su quanto questo fenomeno abbia aumentato la propria rilevanza simbolica.
Anche in Italia, di recente, si è dibattuto sul tema, seppure a partire dalla prospettiva dell’attribuzione femminile nella toponomastica delle nostre città. Dal luglio 2021 Osservatorio Balcani e Caucaso porta avanti un progetto denominato “Mapping diversity“, che punta proprio ad analizzare la questione di genere sulla base delle denominazioni stradali. Nei ventuno capoluoghi di regioni presi in esame, su 24.625 vie o piazze intitolate a delle persone solo il 6,6% è intitolato a una donna: all’interno di questa percentuale, per il 41% si tratta di sante. Le persone chiamate in causa globalmente nella toponomastica italiana sono 11.643: a fronte di 10.962 uomini, le donne sono appena 681 (il 5,8% del totale). Le donne a cui è dedicata una strada in almeno metà delle città considerate sono solamente cinque: la Madonna, Sant’Anna, Santa Chiara, Santa Lucia e Santa Margherita; mentre quelle laiche con più intestazioni risultano Grazia Deledda, Eleonora Duse, Mafalda di Savoia, Margherita di Savoia, Maria Montessori, Ada Negri e Matilde Serao. Nel rapporto tra presenze femminili e maschili nella cornice della toponomastica cittadina, sul gradino più basso si situa Aosta con il 2,7% delle strade dedicate a delle donne; mentre su quello più alto (se così si può dire!) troviamo Bolzano con il 13,5%.
La questione delle diseguaglianze di genere nel campo della toponomastica in Italia non ha coinvolto solo gli analisti. Ultimamente, infatti, si è assistito ad azioni simili a quelle avvenute in Polonia, con la sostituzione dei nomi di vie pre-esistenti in favore dei nomi di alcune donne vittime di femminicidio.
A fine novembre, a Cassina de’ Pecchi le attiviste del gruppo Donne Martesana hanno re-intitolato le strade principali del paese a Valentina Jessica Faoro, a Manuela Alves Rabacchi e altre provenienti dal territorio circostante; ma tra queste ha trovato spazio anche Saman Abbas, la diciottenne di origine pakistana scomparsa nell’aprile scorso da Novellara. Le intenzioni delle rappresentanti del gruppo sono quelle di chiedere al Comune di ribattezzare alcuni spazi cittadini, declinandoli “al femminile”: tra le proposte, c’è anche quella di sostituire la centralissima via Roma con via Rita Levi Montalcini.
Sull’esempio di quanto accaduto a Cassina de’ Pecchi, pochi giorni fa in Albania le attiviste del Collettivo femminista di Tirana hanno sostituito i nomi di venti vie cittadine con quelli delle venti vittime di femminicidio dell’ultimo anno. Le attiviste denunciano come, nel Paese, la realtà patriarcale contribuisca a fare delle donne spesso delle vittime sacrificali senza giustizia, laddove si tende invece a giustificare le violenze maschili. Nella lotta per i diritti delle donne, in favore dell’aborto o contro la violenza di genere, in tutta Europa la ri-denominazione pare dunque voler giocare un ruolo diverso dalla cancellazione culturale: in questo ambito, il passaggio da un’intitolazione ad un’altra pare contenere un significato simbolico più elevato di quella di una “semplice” rimozione.
Immagine di copertina da commons.wikimedia.org
Articolo pubblicato originariamente su EastJournal