approfondimenti
ITALIA
«Dal ghiaccio dei fiordi alla sabbia del deserto» – si levò scrosciante una risata
La pasticciata gestione dell’affare Almasri e la conseguente iscrizione di mezzo Governo nel procedimento presso il Tribunale dei ministri, in concomitanza con la terza bocciatura delle trasferte albanesi, ha offerto a Meloni l’occasione per una furibonda campagna contro i giudici minacciando nuove elezioni
Il 31 gennaio 1933 il presidente Hindenburg, ormai rimbambito e manipolato dal figlio e da von Papen, nominava Hitler cancelliere del Reich, alla testa di un governo di coalizione a maggioranza di conservatori, che peraltro lasciarono mano libera all’avvento della dittatura. In quello stesso giorno, parecchi anni dopo, il Bundestag ha fatto saltare l’accordo Cdu-AfD su una legge contro i migranti che prefigurava una futura coalizione post-elettorale, dunque un pericolosissimo ritorno al passato, benedetto da Trump e Musk. Il fallimento è avvenuto a voto segreto ma è evidente che un ruolo decisivo è stato svolto da Angela Merkel, che il giorno prima aveva bocciato l’accordo imminente e aveva rinfacciato al nuovo leader Cdu Friedrich Merz l’essere venuto meno all’impegno di non allearsi mai con i neo-nazisti. Messa all’angolo dalla guerra ucraina, Angela è resuscitata con la svolta a destra della Cdu e ha ficcato un bastone negli ingranaggi. Per ora con un successo che interrompe l’apparentemente irresistibile deriva reazionaria. Questa è grande politica e difesa dell’Europa contro il trumpismo e il ritorno della svastica. Ma non abbiano noi, come ha slinguato per mesi la stampa mainstream, una nuova Angela Merkel nella persona di Giorgia Meloni? Ebbene, proprio no! Fra Mutti e mamma Gioggia non c’è partita e la cronaca degli ultimi giorni lo fa capire anche alle teste più dure.
Per anticipare schematicamente il giudizio, diciamo che in tutto l’incredibile affaire Almasri il governo in generale e Meloni in prima persona hanno dimostrato: isterica arroganza vittimistica, incompetenza operativa, velato annuncio di campagna elettorale.
Chiagni e fotti
Noi siamo l’Italia e chiunque ci metta i bastoni fra le ruote è un traditore, un nemico della patria. Tutti congiurano contro di noi, all’interno (sinistra, stampa, magistrati) e all’estero (Soros, Corte penale internazionale, Ue). Noi siamo soli ma non siamo ricattabili e andremo avanti a testa alta, perché gli elettori sono con noi e i sondaggi lo confermano.
Operatività
Dieci versioni diverse sul caso Almasri. Non ci hanno detto niente. L’ambasciata in Olanda non ci ha trasmesso nulla. Lo ha fatto in ritardo. Era domenica. Nessuno ha chiamato Nordio. Gli hanno rifilato 40 pagine in inglese con soli tre giorni per decifrarle. Mentre lui traduceva e «studiava le carte» i tempi per l’arresto scadevano e i giudici cattivoni della Corte d’Appello di Roma, non ricevendo notizie dal Guardasigilli (come prescritto dalla legge) hanno scarcerato l’infame e che fai, lasci l’infame scorrazzare per il nostro bel Paese? Certo che no, bisogna espellerlo come pericolo pubblico, lo si acciuffa e lo si mette su un aereo di stato e lo si spedisce a casa, dove l’attende una folla festante. L’Italia è salva (i prigionieri e i bambini in Libia meno).
E domandiamoci pure: ma perché la Corte dell’Aia ha aspettato che il torturatore e violentatore fosse arrivato in Italia per emettere il mandato di cattura? Cosa c’è sotto? Volevano metterci in imbarazzo e trovare un pretesto per condannarci (come poi hanno fatto, supportati dalla Ue)?
A questo punto, mentre l’opposizione parlamentare invocava che fosse fatta luce e venisse qualcuno in Parlamento a riferire (litania e gergo che ascoltiamo almeno da piazza Fontana, dicembre 1969), inopinatamente – su esposto di un avvocato ex-Msi ed ex-Italia dei valori, Li Gotti – il procuratore di Roma Lo Voi, appartenente alla corrente di destra della magistratura e fino allora uomo di fiducia del Governo in quell’incarico chiave, ha trasmesso quell’accusa di favoreggiamento a Meloni, Nordio, Piantedosi e Mantovano (per il mancato arresto su mandato della Corte internazionale) e peculato (per l’uso di aereo di stato) al Tribunale dei ministri, omessa ogni indagine (come recita la legge costituzionale in materia), quindi ritenendola non assurda ma senza pronunciarsi in merito.
Dio ne scampi! Atto dovuto o voluto? Vendetta di Lo Voi perché gli hanno rifiutato i voli di stato a protezione dalle minacce mafiose? Gomblotto in combutta con l’avvocato Li Gotti, uomo di sinistra (falso), vicinissimo a Prodi (che conosce solo in quanto sottosegretario in quota IdV in un suo governo) e per di più difensore di mafiosi pentiti del calibro di Buscetta e Brusca (come se non ci fosse una legislazione premiale bipartisan per la categoria)? Ovvio che nessuno verrà a riferire alle Camere, perché tutti gli interessati sono destinatari di avviso di reato (falso, il Tribunale di ministri deve ancora esaminare il fascicolo trasferito) e quindi tenuti al segreto istruttorio. Segue un diluvio di richieste di provvedimenti disciplinare contro Lo Voi e una furiosa campagna anti-giudici sulla linea “non ci lasciamo intimidire” e “andremo avanti con la separazione delle carriere”.
Entra in scena l’incompetenza
Uno si domanda perché non abbiano sopito il pasticcio invocando, come si usa, il segreto di stato sul provvedimento di mancato conferma dell’arresto ed espulsione, coprendo così, con un coperchio alquanto trasparente, la complicità governativa con Almasri e il ricatto libico (se ci toccate i signori dei lager, vi spediamo carrettate di migranti ivi detenuti in attesa di riscatto nel giro di una settimana)? Risposta disarmante, ma semplice: per totale incompetenza, ignoranza dei precedenti, conflitti fra livelli di partito e di governo. Non avevano consultato neppure la saggia Arianna-sorella-mia-sei-nostro-orgoglio. Fortuna che lo scivolone sulla fuga garantita al trafficante in chief di carne umana era compensata dal trionfale tour saudita di Giorgia (appunto, dai fiordi alle sabbie desertiche) e dalla deportazione in Albania di 49 migranti che avevano avuto la sventura di essere ripescati dai guardacoste italiani invece di arrivare diretti a Lampedusa.
La sorte dei 43 residui, dopo i soliti pasticci su minori e vulnerabili, era affidata ai giudici della Corte d’Appello di Roma, nuova titolare del procedimento secondo un astuto quanto spregiudicato cambio di giurisdizione in corso d’opera.
Peccato che sulla medesima corte era stata scaricata la colpa del mancato trattenimento di Almasri (che invece era responsabilità di Nordio, tutto impegnato nelle sue 40 pagine di inglese) e che il procuratore-capo di Roma fosse oggetto delle furibonde attenzioni di Meloni e dei suoi comprimari di partito e di governo. Incauto, no? E infatti si è visto: i giudici hanno confermato il rinvio al parere della superiore Corte Europe di giustizia. Che si pronuncerà non prima di marzo. I dilettanti allo sbaraglio hanno manifestato “stupore” ripetendo il mantra che i giudici, se vogliono dire la loro, dovrebbero candidarsi alle elezioni.
Dove vogliono arrivare?
La sequela di sviste giuridiche e menzogne calunniose con cui Meloni e follower si sono cimentati non sembrano affatto idonee a difendere le loro scelte sul caso Almasri e non funzionano neppure nell’ottica di più lungo periodo di sostenere la campagna prima parlamentare e poi referendaria sulla separazione delle carriere giudiziarie. Del tutto controproducenti, poi, sul piano dell’operazione Albania. In quel caso, anzi, hanno esasperato le resistenze dei giudici di vario grado a tale costosa operazione di esternalizzazione delle frontiere. E allora a cosa servono i sovratoni da comizio e l’insistenza sui sondaggi che mostrerebbero l’approvazione popolare in crescita?
L’unica spiegazione razionale è che Meloni stia riflettendo (e/o minacciando) un ricorso anticipato alle elezioni, sfruttando un momento mediatico favorevole (forse illusorio o sopravalutato), in concomitanza con l’ascesa di Trump e la disgregazione europea, ma soprattutto per evitare una prova elettorale nella fase economica difficile che si sta prospettando, con una crescita azzerata del Pil, il declino della produzione industriale e l’imminente sopravvenire di dazi Usa che non si vede come potrebbero risparmiare il nostro Paese, malgrado i favori di Trump e Musk. Per non parlare del sicuro svuotamento dei partiti alleati che riverserebbero una parte dei loro consensi sulla leader in assetto di sfida.
Le elezioni coglierebbero infine l’opposizione, per dirla tutta, con le braghe calate, senza campo largo e con il tiro al bersaglio anti-Schlein, di cui l’idea franceschiniana di marciare divisi raggruppandosi solo per i collegi uninominali è l’avvisaglia più insidiosa.
Non si tratta solo di questioni di tattica elettorale, la divisione e l’impotenza della sinistra e in particolare del Pd sono più di fondo: basti ricordare, tanto per restare sulla materia attuale, che il Pd non rivendica la centralità del diritto internazionale e addirittura ha votato in Europa, separandosi da Avs e M5S, contro l’imposizione di sanzioni a Israele e per mantenere il suo trattato di associazione alla Ue. Del sostegno incondizionato all’Ucraina e sulla russofobia alla Picierno nemmeno stiamo a parlare.
Certo, non sarebbe facile spiegare il ricorso alle urne in una situazione tranquilla di maggioranza e Mattarella non concederebbe facilmente lo scioglimento delle Camere, ma intanto Meloni ventila l’ipotesi o meglio crea il clima favorevole a uno scontro “apocalittico”. Compresa l’archiviazione di fatto del premierato con una nuova legge elettorale truffa – anche questo un segnale di fine legislatura.
Male che vada, per qualche mese i problemi veri economici e politici passeranno in secondo piano, riforme e referendum entrerebbero in una zona d’ombra, magari la Santanchè si scollerà dalla poltrona e via con un’altra campagna di allarme sociale. Nel frattempo l’imbroglio giudiziario aperto dalla trasmissione dell’esposto al Tribunale dei ministri finirà nel nulla, per un motivo o per l’altro (l’apposizione del segreto di stato o la valutazione del Tribunale stesso) e Meloni lo spaccerà come un’assoluzione per un’inchiesta mai partita.
Meloni non ha ancora deciso come implementare la tattica d’attacco. Si è sfilata dal conclave di FdI lasciando l’amata sorella a cianciare della Compagnia dell’Anello di tolkeniana memoria, ma il vero problema resta l’impotenza di un’opposizione che appare incapace, vittima com’è della sindrome ucraina, di mettere insieme tattiche contingenti e obiettivi di medio periodo, pur conclamati.
Se non esce dal nodo della guerra, l’attivismo spicciolo e le singole proposte o iniziative mediatiche non trovano un punto di coagulo e non configurano un’alternativa pwr cui valga la pena di mobilitarsi. Gli effetti intorpidenti si estendono in questo modo anche alla sinistra del Pd, dove pure si manifestano fermenti vivaci e suggestivi, ma sporadici. Pertanto non basta rilevare il lato cialtronesco di questa inverosimile settimana di manovre, ma dobbiamo mettere in evidenza i pericoli dell’offensiva meloniana come parte della galassia trumpista e delle tendenze reazionarie in Europa, stoppate al momento solo e a fatica in Germania.
Immagine di copertina: https://commons.wikimedia.org/
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