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Dai, passa quella palla!

Sull’ultimo film di Veronesi, L’ultima ruota del carro.

Ci siamo sfiorati per quasi quarant’anni, ma non siamo riusciti a parlarci. Elio Germano, Ernesto nel film di Veronesi “L’ultima ruota del carro”, pone a chi ha vissuto fuori dal gioco una domanda pesante: perché non mi avete mai passato il vostro pallone?

Tuo padre sta li sugli spalti di cemento. Urla al tuo compagno di passarti quel maledetto pallone. Nessuno ti sta marcando. Sanno che non sei pericoloso e nessuno ti tiene. Stazioni davanti al portiere. Stai attento, soltanto, a non finire in off-side. Il tuo compagno ha visto che ai mondiali, solo pochi mesi prima, la “regina d’Inghilterra era Pelè”. S’incaponisce nel dribbling. Lui perde la palla. Tu la chiami inutilmente. Doppio fischio ed alla prossima. Tuo padre s’incazza, ti carica sulla 600 multipla (il leggendario minicaravan della Fiat), ti riporta a casa. Qui le cose non vanno meglio. Tuo padre non ti prende in considerazione. A scuola sei un disastro. Come sugli spalti lui urla e si agita. Visto che in famiglia, nella sua scala gerarchica, sei “l’ultima ruota del carro”, ha deciso: dovrai lavorare. Da domani lo aiuterai a montare tende e mantovane. A girare per le case di Roma con stoffe e scalette. A ingentilire mura e pareti su broccati e stoffe colorate.

Tu, come quando ti muovevi sul campetto di calcio, lo fai portando il tuo corpo, senza entusiasmo. Inizia una storia lunga. Quasi quarant’anni.

Cambierai lavoro, ti staccherai da tuo padre e dal suo lavoro, ti farai la tua famiglia, attraverserai le vicende che hanno costruito la nostra storia recente. Come facevi da ragazzo, su quel campetto, hai in mente un unico schema: non finire in fuori gioco, ma, per farlo, sai che devi seguire l’azione. Sfiorerai, ponendo domande a cui nessuno si degnerà di rispondere, quello che accade intorno a te.

Non riuscirai a capire la costruzione dispotica del consenso democristiano. Incapperai nel ritrovamento del cadavere di Moro, ma lo saprai solo dopo: dalla televisione. Sarai trascinato nel mondo della finanza socialista. Visiterai le icone di cemento del parassitismo immobiliare e le loro trasformazioni per far soldi. Conoscerai le diversità sociali. Scoprirai che l’innovazione politica degli anni 80 è solo contabilità in nero e feste. Perlopiù tristi. La bufera di tangentopoli non ti toccherà: sei l’ultima ruota del carro. La mala sanità ti prenderà in ostaggio per lei sei solo un vetrino insignificante. Ritroverai sempre quel tuo amico che non ti passava la palla che, ora, vuole coinvolgerti nel suo gioco, ma continuerai a sbracciarti, a chiamare una palla per un gioco che tu vorresti si svolgesse con regole certe.

Solo che questo gioco, non sei tu a deciderlo. Sarai sempre spettatore del mondo da quella specie di paese che a Roma è Borgo Pio

.

Le case intorno al Vaticano che, per prime, hanno conosciuto il fenomeno della gentrification. Via famiglie e botteghe e al loro posto: preti e souvenir; papi e rosari. Tu, come altri “miracolosamente” resisti, quasi stupito e divertito, perché il principe dei pittori, quello che insieme costruisce e mischia arte e vita fino a distruggersi, diventa tuo datore di lavoro e soprattutto amico. Capirai come vive, piangerai la sua scomparsa. Come accade per una persona che ti è stata sentire. Perché lui era stato capace di cambiare il campo di gioco. Di lasciare il pallone agli altri. Che giocassero tra loro.

Aveva deciso di disegnare un altro mondo. Lo faceva dipingendo i deserti illuminati da stelle celesti, che tanto ti piacevano, con larghi gesti e mischiando vernici acriliche come pestando in un mortaio. Parole di una nuova grammatica non solo pittorica. A buttarci in faccia che quel nuovo mondo che ci volevano convincere essere innovativo era già estinto. Che all’interno di quei deserti bisognava scovare gli “alberi della vita”.

E’ intorno questa figura che Giovanni Veronesi e i suoi produttori vanno a sbattere. Cercano di raccontarci di un Mario Schifano, è lui infatti il pittore in questione (anche se i quadri appesi alle pareti sono di Mimmo Paladino), genio con un po’ di sregolatezza. Quanto basta. Per poter farlo piacere. Ora. Ora che la memoria si fa debole, che l’ignoranza resta immane, che sono passati anni dalla sua morte e i più conoscono le sue opere per le televendite. Di sregolatezza Veronesi e i suoi sceneggiatori gliene concedono poca. Per carità la droga va tenuta assolutamente fuori. Così come il suo essere sempre “altro” a cominciare dal mercato dell’arte che anch’esso seppe in qualche modo inventare.

Una rimozione perché il racconto deve essere assolutamente pulitino e il film, chi lo può sapere? potrebbe reggere anche per la programmazione natalizia. così sarà possibile infarcirlo di battute e rimandi (scontati) a scene di altri film. Veronesi sembra guardare a Ettore Scola. Solo che Scola non ha mai pesato, né come sceneggiatore né come regista, quello che si poteva o non si poteva dire.

Per fortuna a questa rimozione sembrano sottrarsi gli attori che, passandosi la palla a differenza di quanto avveniva sullo schermo, inventano da soli il loro gioco. Elio Germano e Ricky Memphis si capiscono e si trovano a meraviglia. Ricky – Giacinto ci ricorda qualcuno dei nostri (tanti) compagni che in questi anni ci volevano (ci vogliono) convincere che la storia stava (sta) cambiando. Che c’è sempre una nuova frontiera da raggiungere. Opportunità (parola che per loro vuol dire denaro) da costruire. E’ facile trovare somiglianze, nomi,cognomi e disprezzo.

Elio- Ernesto, al contrario, ci pone una domanda oggi, come mai, molto più complessa.

Perché noi, che abbiamo sempre voluto cambiare le regole del gioco, fatto e disfatto molte squadre e progettati molti schemi, non ci siamo mai accorti di chi chiamava la palla magari da quel paese vicinissimo che è stato ed è Borgo Pio? Dei tanti Ernesto che, come noi sul finire degli anni 70, erano “intorno ai 30 anni” a cui, ma non solo allora, non siamo riusciti a parlare?