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Cuba: problemi e (forse) prospettive

Sono evidenti i segni di difficoltà nella sopravvivenza quotidiana dovuti al blocco statunitense contro Cuba e cresce anche un certo scoraggiamento. Tuttavia le contraddizioni scatenate dall’elezione di Trump potrebbero offrire occasioni per chi non vuole tornare al luna-park pre-rivoluzione

Quanto ho provato vivendo Cuba è lontano dagli entusiasmi che aleggiano in certi ambienti della sinistra radicale. Due mesi di permanenza, per quanto fuori dai circuiti turistici grazie a circostanze su cui non mi soffermo, non sono certo sufficienti a coglierne a pieno la complessità. Ma tanto basta per rendersi conto come alcune comode apologie su un ardente socialismo caraibico si scontrino oggi con la realtà di un’isola sfiancata da improvvisi apagones e invasivi piani di razionamento energetico.

Un senso di profonda malinconia investe chi percorre le strade rurali dissestate, dove slogan motivazionali e proclami trionfalistici sbiaditi dal sole scandiscono un paesaggio fatto di erba secca diradata. Lungo questi tratti sconnessi, furgoni stracolmi di persone schivano profonde buche, sollevando nubi di polvere dietro cui il bestiame denutrito mostra le ossa sporgenti. In questo scenario, ogni appello al sacrificio sembra cadere nel vuoto e disperdersi nell’arsura della sopravvivenza quotidiana.

Man mano che ci si avvicina alle aree più densamente popolate, il paesaggio rurale lascia il posto a quello urbano, dove nel tumulto della vita cittadina il parco auto consente di ricostruire le varie fasi del regime rivoluzionario.

Ogni veicolo che attraversa L’Avana racconta una storia, simboleggiando alleanze geopolitiche, periodi di crisi e adattamenti locali. Prima del trionfo della rivoluzione castrista l’isola era un lussuoso parco giochi a uso e consumo della ricca clientela statunitense e di spregiudicati uomini d’affari, e le strade dell’Avana brillavano sotto i cofani cromati di Cadillac, Buick, Chevrolet e Ford.

I veicoli di allora, importati dagli states da magnati, faccendieri e mafiosi ben rappresentati da film quali Scarface, simboleggiavano un’isola che viveva nell’ombra di sfarzo e corruzione, dove le luci dei casinò e degli hotel esclusivi si inserivano in un clima di colonizzazione statunitense. Il rovesciamento del regime di Batista chiuse bruscamente quella fase, inaugurando la fuga precipitosa di tutti coloro che, arricchitisi grazie alla vicinanza al potere e ad attività illecite, temevano ritorsioni da parte del potere rivoluzionario. Gioielli d’epoca continuano così a circolare ancora oggi per le strade di un’Avana trasformata in un museo a cielo aperto, testimone materiale di un’epoca trascorsa.

Le macchine della Cuba pre-rivoluzionaria furono presto accompagnate da quelle del nuovo alleato sovietico, in una sorta di fusione a freddo tra due universi meccanici che, con buona pace di quelli ideologici, risultavano ora conciliabili. Le scintillanti Cadillac e Chevrolet, retaggio di uno sfarzo a stelle e strisce, iniziavano a convivere con le spartane Lada e Moskvič, emblemi di un socialismo sovietico orientato alla pragmaticità e alla durevolezza. In questo strano connubio, l’Avana si trasformava in una galleria vivente dove la cromatura americana e il metallo opaco dell’Est si fondono in un originale affresco, testimoniando il passaggio epocale dall’opulenza dipendente al pragmatismo in isolamento.

All’innesto sovietico seguì quello del Patto di Varsavia. Tra i Settanta e Ottanta fu la Polonia con le sue Polski Fiat, versione locale della casa italiana prodotte su licenza, a integrare il panorama automobilistico cubano. Le polaquitas,pur prive dell’eleganza statunitense e della robustezza sovietica ma facilmente riparabili nel particolare contesto cubano, testimoniarono la complessità del reticolo di alleanze strette da Cuba e l’anello di congiunzione tra il potere sovietico e il più ampio orizzonte socialista europeo.

Infine, la Cina. Con il crollo dell’Unione Sovietica e l’inizio del Periodo Especial, l’alleanza con Pechino si materializzò nell’arrivo dei veicoli elettrici come tentata risposta alla cronica scarsità di carburante. Non tanto le auto BYD, impiegate soprattutto come taxi ufficiali, ma le motorinas inondano oggi le strade di L’Avana.

Ma torniamo a noi. In questo inedito mosaico automobilistico, riflesso di un’isola che persiste e si adatta, prende forma la quotidianità cubana. L’architettura coloniale color pastello si staglia contro un persistente odore di benzina e gasolio mal raffinati, simbolo di una crisi che non risparmia risorse né spirito.

Nei primi nove mesi dell’anno, le forniture di petrolio venezuelano sono calate di oltre il 40% e l’intervento compensativo del Messico non è sufficiente a sorreggere un’economia strangolata dall’embargo statunitense. L’impatto delle sanzioni, rimaste invariate sotto l’amministrazione Biden, ha effetti devastanti sul tessuto sociale cubano e promuove un’inedita criminalità opportunistica cui parte dei cubani reagisce con una certa fascinazione per soluzioni populiste di leader come il salvadoregno Bukele. Ma soprattutto, sta incoraggiando inevitabili risposte liberalizzanti che, per quanto tiepide, favoriscono disuguaglianze tra chi vive di rimesse e chi è costretto a campare vendendo di tutto, incluso naturalmente il proprio corpo.

Il senso di disillusione collettiva, attenuata nelle pur buie province orientali dell’isola, attraversa in modo trasversale l’intero Paese e mette in crisi l’idea stereotipizzata del cubano socievole e festoso. Il disincanto è maggiormente evidente tra le nuove generazioni che, istruite da un sistema che promuove alfabetizzazione e formazione, usano questi stessi strumenti per esprimere dissenso e cercare cambiamento, sedotti dalle narrazioni degli esuli che, sfruttati nelle cucine di Madrid e Miami, raccontano storie di libertà ed emancipazione.

Difficile non riconoscere la legittimità di alcuni movimenti di protesta – si pensi alla censura che soffoca una genuina espressione artistica. Altri sono invece meno comprensibili e bisognerebbe sforzarsi nel chiedersi chi abbia realmente interesse a promuoverli e sostenerli.

La questione non è tanto se Cuba dovrà cambiare, ma come e a quale costo. Un governo imposto o influenzato dall’esterno, specialmente da Washington, non può che sollevare preoccupazioni su quale tipo di futuro sarebbe realmente migliore per i cubani. Certo, sono considerazioni che finiscono per farsi tra di noi e che ci si guarda bene dal fare a chi è in fila per ore per qualcosa che non troverà.

La strada verso un miglioramento sostanziale è lunga e piena di ostacoli, ma è chiaro che la soluzione non può essere trovata nell’isolamento né tantomeno nella restaurazione del luna-park pre-rivoluzionario.

Tra le ipotesi vi è certamente l’imitazione di modelli esterni, ma tanto un’apertura cinese quanto un’oligarchizzazione russa rischierebbero ugualmente di compromettere l’apertura autonoma di nuovi spazi di libertà e uguaglianza. Eppure, un rinnovato e più feroce confronto tra Washington e Pechino sotto l’amministrazione Trump potrebbe offrire una finestra di opportunità cui l’isola potrebbe guardare con le stesse lenti che in passato le permisero di avvantaggiarsi con astuzia del bipolarismo tra Stati Uniti e Unione Sovietica.

Per quanto l’ordine politico internazionale appaia oggi multipolare e non sembrano esservi sfide di natura sistemica all’orizzonte, la crescente rivalità egemonica sino-statunitense segnerà i futuri assetti geopolitici, confermandosi come il tratto più rilevante della politica globale. Una diplomazia creativa da parte della leadership cubana potrebbe tradursi in vantaggi concreti per un’isola che, pur non possedendo risorse naturali strategiche, può riuscire ancora una volta a fare leva sulla sua rilevanza simbolica e geografica. A oggi non si hanno ragioni per supporre una tale lungimiranza, ma la storia di Cuba ci insegna che non sarebbe corretto escluderla a priori.

In questo quadro complesso, ci resta il conforto di alcune poche certezze. Cuba ancora oggi e nonostante tutto brilla nel continente per istruzione e sicurezza sociale. E quindi, da dove ripartire? Anzitutto riconoscendo quanto troppe volte dimenticato dagli stessi abitanti dell’isola. In America Latina, se nasci povero, vuoi nascere a Cuba.

Immagine di copertina a cura dell’autore

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