MONDO

Cronaca dalle piazze argentine contro il ritorno del FMI

Sette immagini in movimento per delineare una mappa della conflittualità sociale nel paese tra scioperi sindacali, maree femministe, mobilitazioni del mondo della scuola e dell’università e manifestazioni federali dei lavoratori dell’economia popolare.

Sette immagini per sette giorni, per raccontare questa settimana di conflitto dopo l’annuncio del ritorno del FMI fino alla celebrazione della giornata dell’indipendenza nazionale trasformata in una grande mobilitazione contro il governo e il FMI.

 

Uno sguardo sulle piazze, le soggettività, gli immaginari e le rivendicazioni eterogenee che  aprono spazi per la crescente opposizione al neoliberismo.

 

Dopo la liberalizzazione del dollaro e l’indebitamento selvaggio – nel biennio 2016-2018 l’Argentina è stato il principale paese emissore di debito al mondo – in attesa di una pioggia di investimenti esteri che non è mai arrivata, il governo Macri ha condotto l’Argentina sull’orlo del baratro in poco più di due anni. La crisi finanziaria in un contesto segnato da un’inflazione che non si ferma (40 per cento nel 2016, 24 nel 2017 e per quest’anno si prevede che superi il 20 per cento), dalla svalutazione e dalla fuga dei capitali, oltre a mostrare il fallimento della politica economica di un governo nelle mani degli amministratori delegati delle grandi multinazionali, ha portato Macri ad aprire negoziazioni per un prestito stand-by al FMI. Per intenderci, lo stesso che ha massacrato la Grecia, l’Ungheria e l’Islanda negli ultimi anni.

 

Nel 1958, sessanta anni fa, il primo prestito del FMI al governo di Frondizi aveva segnato l’inzio del ricatto di questa istituzione finanziaria sull’economia del paese.

 

Da li in poi, solamente con l’arrivo al governo di Nestor Kirchner dopo la crisi e l’insurrezione popolare del 2001 il paese si era liberato dal ricatto del FMI. L’annuncio di Macri di due settimane fa apre la porta alla nuova fase del suo mandato: dopo il “gradualismo” arriva il pragmatismo, annuncia il  presidente. Sarebbe a dire, una radicalizzazione violenta dell’offensiva neoliberale sulla base delle stesse ricette economiche che hanno devastato il paese meno di venti anni fa.

 

Centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza venerdì scorso a Buenos Aires contro il governo Macri e il Fondo Monetario Internazionale, in occasione della festa nazionale del 25 di maggio, anniversario dell’indipendenza dell’Argentina dalla Spagna.

 

L’immensa piazza contro il FMI del 25 di maggio a Buenos Aires.

 

“La patria è in pericolo: no al Fondo Monetario Internazionale” campeggiava sul palco e sulle migliaia di bandiere argentine e delle organizzazioni sociali e politiche che sventolavano sull’immensa Avenida 9 de Julio. Nelle stesse ore Macri celebrava privatamente la festività nella casa presidenziale e nella Cattedrale, protetto e circondato da transenne e centinaia di poliziotti. Nelle metro e alle stazioni degli autobus, al ritorno dalla manifestazione, file di centinaia di persone cantavano cori contro il presidente e il governo. In uno scenario complesso, incerto ed intenso, fluttuante e denso di tensione, una ondata di conflittualità sta mettendo alle strette il governo che dopo alcuni ricambi nei ministeri chiave di prepara ad affrontare questa nuova fase. Intanto, secondo i sondaggi il sostegno al presidente è in forte calo: dopo aver raggiunto il punto più alto con la vittoria alle elezioni legislative del novembre 2017  l’immagine di Mauricio Macri ha cominciato una fase discendente poco dopo, a partire dalla rivolta delle giornate di dicembre contro la riforma delle pensioni.

Il 25 di maggio, che segna l’inizio della Rivoluzione di Maggio che nel 1810 portò all’indipendenza del paese, è una festa nazionale molto importante nel vissuto popolare che si è trasformata quest’anno in una grande manifestazione di opposizione al governo.

 

Oltre mezzo milione di persone hanno festeggiato la ricorrenza dando vita ad una mobilitazione contro il colonialismo finanziario e le politiche di austerità del governo delle imprese multinazionali.

 

Alla fine del grande evento risuona l’inno nazionale seguito da cori contro il presidente Macri. In piazza, una composizione che varia dalla classe media ai settori popolari, una forte presenza delle organizzazioni peroniste e kirchneriste, alla ricerca dell’unità politica verso le prossime elezioni, diversi sindacati ed alcune organizzazioni della sinistra popolare.

“Non possiamo tornare indietro, 12 anni dopo aver rotto le relazioni con il FMI durante il governo di Nestor Kirchner, alle stesse ricette che impongono di nuovo saccheggio del paese, miseria pianificata e privatizzazioni” dicono dal palco denunciando lo smantellamento dell’industria nazionale e il ricatto del debito. Un appello a difendere la democrazia e a rilanciare la lotta contro la riforma delle pensioni approvata a dicembre e la prossima, annunciata, riforma del lavoro, contro la repressione del governo che colpisce con sempre maggiore violenza i sindacati e i lavoratori in lotta, le comunità indigene e i poveri nei quartieri popolari. Infine dal palco si lancia la prossima manifestazione di Ni Una Menos del 4 giugno e si chiede verità e giustizia per Santiago Maldonado e Rafael Nahuel.

I cori contro Macri si ripetono ad ondate, assieme al “Vamos a volver!” – torneremo – canto peronista che risuona continuamente alle manifestazioni popolari. Forse una delle immagini più nitide di una manifestazione nazional-popolare al tempo del governo delle multinazionali, con una atmosfera che si compone al tempo stesso di potenza ed impotenza, nostalgia e rabbia, memoria e prospettive future, alla ricerca dell’unità politica dell’opposizione peronista – frammentata e divisa – e dell’unità delle lotte nelle strade, nel pieno dell’ennesima crisi economica argentina. Una immagine che si compone, non senza differenze, contraddizioni e tensioni, con altre immagini di lotte che dall’annuncio dell’inizio delle negoziazioni con il FMI stanno attraversando il paese.

 

Un corteo dei minatori di Rio Turbio in lotta.

Nelle miniere di Rio Turbio

Nelle miniere di Rio Turbio in Patagonia sono stati reincorporati i 164 lavoratori che avevano rifiutato il ritiro volontario imposto dal governo, il cui piano prevedeva il licenziamento di 500 lavoratori su 1500. I lavoratori delle miniere, in lotta da settimane nelle terre del sud a migliaia di chilometri da Buenos Aires, si erano recati nel mese di marzo in delegazione nella capitale per portare le istanze della loro lotta fin sotto al Congresso con un accampamento durato diversi giorni. Dopo aver subito cariche violente e arresti da parte della polizia durante la manifestazione in cui chiedevano il blocco dei licenziamenti, hanno ottenuto questa settimana una prima importante, seppure non definitiva, vittoria (al di là del blocco dei licenziamenti, il piano del governo è comunque precarizzare il lavoro ed attaccare i salari dei minatori).

 

Immagine di una manifestazione contro il tarifazo.

Contro il tarifazo

Si voterà al Senato, dopo l’approvazione della scorsa settimana al Congresso, una legge che blocca il cosiddetto tarifazo, l’aumento insostenibile delle tariffe di luce, acqua e gas che colpisce le tasche delle famiglie ma anche delle piccole e medie imprese, dei centri culturali, e specialmente delle cooperative e delle fabbriche recuperate. Si tratta di un vero e proprio attacco al salario e all’autogestione del lavoro: molte cooperative o fabbriche che hanno recuperato posti di lavoro, spazi e aree che altrimenti sarebbero andate dismesse o in mano alla speculazione, rischiano la chiusura, condividono la miseria che resta loro in mano dopo gli aumenti dei servizi che hanno raggiunto l’800 per cento, si indebitano per poter pagare le bollette, tagliano gli stipendi e ridimensionano la produzione.

 

“Nessuna cooperativa può oggi fare progetti per il futuro, spesso non sa come sopravvivere al presente, a causa di un governo che sta distruggendo l’apparato produttivo del paese” scrive l’antropologo Andres Ruggeri.

 

Il direttore del Programma di ricerca Facultad Abierta, in un articolo su Contraeditorial, spiega come queste misure stiano colpendo gravemente la produzione dell’industria nazionale ma anche, particolarmente, le entrate economiche dei lavoratori delle imprese recuperate.  La battaglia contro il tarifazo dopo decine di manifestazioni entra oggi nella fase decisiva, con l’approvazione di questa legge che ferma gli aumenti allo scorso novembre: subito dopo la votazione, in attesa del voto al Senato, il presidente Macri ha annunciato il veto. Sul fronte tarifazo, che altro non è se non una manovra che garantisce un enorme trasferimento di ricchezze diretto alle grandi imprese e alla finanza, si annuncia nelle prossime settimane una battaglia molto dura.

 

Azione di Ni Una Menos contro il debito (foto: Emergentes).

 

La marea femminista

Da oltre due mesi, tutti i martedi si tengono al Congresso le sessioni del dibattito parlamentare sulla legge sull’aborto legale e gratuito e nella piazza antistante si ritrovano migliaia di giovani e giovanissime ragazze e donne con happening, manifestazioni e musica per la legge, la cui votazione è prevista per il prossimo 13 giugno. Per martedì è stata annunciata una grande mobilitazione femminista in occasione dell’ultimo dibattito parlamentare prima della votazione mentre si avvicina anche la manifestazione del 4 giugno quando, a tre anni dalla prima manifestazione Ni Una Menos, il movimento femminista tornerà a riempire le piazze dopo lo sciopero globale dell’8 marzo, con parole d’ordine molto chiare:  l’aborto legale è un diritto umano, il debito è violenza che colpisce le donne. Emerge chiaramente dal movimento femminista la denuncia dell’indebitamento, pubblico e privato, come strumento per disciplinare i corpi e le vite precarizzate, individualizzate ed impoverite, così come avviene con i licenziamenti e la repressione del governo.  A tutto questo, le trame femministe rispondono intrecciando lotte, corpi, saperi e pratiche rinnovate di sciopero e disobbedienza alla norma patriarcale e neoliberale.

 

La capacità del movimento femminista di ridare senso, potenza ed al tempo stesso ripensare lo strumento dello sciopero è stato decisivo nel rilanciare le lotte contro l’offensiva neoliberale.

 

Pochi giorni fa, NUM ha lanciato la mobilitazione con una azione all’inaugurazione della mostra di ArteBA esponendo uno striscione che diceva “Libere dal debito ci vogliamo!” e diversi cartelli che recitavano “Il debito è violenza” e “Più debito significa meno vita” (come vedete nella foto, a cura di Emergentes). Perchè dire “Ni Una Menos”, affermano nelle assemblee di preparazione al 4 giugno, significa opporsi alle politiche neoliberali e all’accordo con il FMI.

Sarà ancora una volta una giornata decisiva per quella costante e continua tessitura di relazioni, conflitti, lotte sindacali, territoriali, capaci di connettere le resistenze, fare dell’intersezionalità una pratica capace di trasformare la società, le forme stesse della militanza politica e le pratiche di lotta, connettendo le battaglie contro la violenza patriarcale con l’opposizione al neoliberismo, sfuggendo ai tentativi di cattura ed aprendo nuovi percorsi collettivi e spazi comuni delle lotte.

 

La repressione nei tunnel della metropolitana di Buenos Aires.

 

Sciopero e repressione nella Metropolitana

Lo scorso martedì, durante una giornata di mobilitazione e sciopero dei lavoratori delle linee metropolitane contro l’imposizione di una paritaria (aumento salariale legato all’inflazione) del solo 15 per cento, il governo ha mandato la polizia che ha caricato con manganelli, proiettili di gomma e gas lacrimogeni i lavoratori fin dentro i tunnel della linea metropolitana. Sedici arresti, diversi feriti, un gravissimo attacco alla libertà di sciopero a cui i sindacati del trasporto metropolitano hanno risposto con il blocco del sistema delle metropolitane per tutta la giornata che ha paralizzato la città, mentre il presidio sotto i commissariati dove erano detenuti i lavoratori e i delegati sindacali veniva nuovamente caricato con violenza.

 

Solo alla fine della giornata, con la liberazione degli arrestati, si è fermato lo sciopero. La lotta è continuata poi con il blocco dei tornelli e i picchetti.

 

La negoziazione sul salario riprenderà, la lotta non si ferma davanti all’ennesima prova di mano dura del governo, che ancora una volta ha mostrato come intende negoziare con quei sindacati che non si piegano alle direttive dell’esecutivo. Intanto continua il conflitto nell’INTI – Istituto nazionale di tecnologia industriale – dove ci sono stati 258 licenziamenti e la resistenza continua con blocchi ed occupazioni da diversi mesi, così come all’Ospedale Posadas e in diversi altri ministeri dove i licenziamenti stanno colpendo particolarmente delegati sindacali.

 

La Marcha federal educativa arriva a Plaza de Mayo.

Educazione in movimento

Mercoledì invece era il giorno dell’arrivo nella capitale del paese delle migliaia e migliaia di docenti e studenti in lotta da mesi: la Marcha federal educativa, lanciata dalla CTERA (il sindacato dei lavoratori dell’educazione) partita da tutto il paese con mobilitazioni locali dislocate e delegazioni che hanno raggiunto la capitale dopo diversi giorni, ha portato in piazza trecentomila persone del mondo dell’educazione.

 

Due giorni di sciopero in tutte le scuole e le università del paese con adesioni del 90 per cento hanno accompagnato la manifestazione.

 

Maestre e maestri, studenti, liceali ed universitari, lavoratori delle scuole, ricercatori e docenti provenienti dalle diverse province del paese, dalle Ande e dalle province tropicali fino alla Patagonia, dalle grandi città come dalle zone rurali, hanno reclamato adeguamenti salariali all’inflazione, aumento delle spese pubbliche, finanziamenti per le scuole e le università, riconoscimenti e sostegno per le scuole popolari autogestite arrivando in corteo a Plaza de Mayo, portando così le rivendicazioni di tutto il paese fino alla piazza antistante la casa presidenziale.

 

Un blocco stradale organizzato dalla CTEP nell’area metropolitana di Buenos Aires.

Lavoratori dell’economia popolare, unitevi!

Infine questa settimana sarà la volta di un’altra grande marcia federale che arriverà fino alla piazza del Congresso: quella dei lavoratori dell’economia popolare, un attore chiave dello scenario politico di questi mesi. Con questo termine intendiamo quelle trame eterogenee di attività produttive, autorganizzazione,  pratiche cooperative, spazi ed infrastrutture popolari nei territori metropolitani, parte fondamentale di quel 40 per cento dell’economia del paese caratterizzata come informale, di quelle che riprendendo Denning chiamiamo le “vite senza salario”.

Si tratta di un insieme di attività, pratiche e modalità di organizzare la produzione e la riproduzione sociale delle classi popolari che svela la centralità del lavoro e del protagonismo femminile e migrante, che comprende cooperative di cartoneros, esperienze di lavoro autogestito, fabbriche recuperate, mercati popolari, micro-imprenditoria migrante e lavoratori di strada, venditori ambulanti e artigiani, lavoratrici della cura e dei servizi, dell’agricoltura e del settore tessile. Un insieme eterogeneo e complesso di micro-economie proletarie, per dirla con le parole di Veronica Gago, organizzate in forme nuove e molteplici, a partire da inedite sperimentazioni sindacali.

Possiamo rintracciarne una genealogia  nelle esperienze dei movimenti sociali argentini, nei movimenti  dei piqueteros e nelle organizzazioni territoriali durante la crisi del 2001 ed oltre. Al tempo stesso, come segnalano Gago e Mezzadra, si tratta di esperienze che hanno conosciuto una grande espansione a partire da una ambivalente relazione con il mercato, l’espansione del consumo e le politiche pubbliche dei governi kirchneristi. La politicizzazione e sindacalizzazione di queste trame sociali e produttive rappresenta una sfida decisiva per rilanciare il conflitto sociale oggi.

 

Esperienze neo-sindacali come la CTEP – Confederazione dei lavoratori dell’economia popolare – ed organizzazioni politiche e sociali territoriali come Barrios de Pie, La Dignidad e la Corriente Clasista y Combativa, sono diventate soggettività centrali del conflitto sociale degli ultimi anni.

 

“Non bastano più i sussidi, nei quartieri popolari vivere con dignità diventa impossibile, non sopportiamo più nessun taglio alla spesa pubblica” affermano gli organizzatori. Complessivamente, la situazione nei quartieri popolari e nelle villas diventa sempre più drammatica: l’assenza di lavoro e di reddito, la malnutrizione che colpisce il 42 per cento dei minori, la violenza narco e quella poliziesca che si contendono il controllo e il disciplinamento dei giovani poveri, che quando si organizzano vengono colpiti con violenza.

E’ notizia di pochi giorni fa che  la polizia è entrata senza mandato in casa di due attivisti di un media indipendente ed organizzazione popolare, la Garganta Poderosa, arrestandoli e minacciandoli, solo per aver filmato l’irruzione violenta ed intimidatoria della Prefettura nella casa di un giovane, torturato e sequestrato dalla polizia, che ha denunciato i fatti. Retate contro i migranti e venditori ambulanti, con arresti che spesso hanno coinvolto persone solidali che denunciavano l’operato razzista delle forze dell’ordine, sono sempre più frequenti nei quartieri popolari, così come le intimidazioni e le repressioni violente contro le comunità indigene in lotta, contro i mapuche in Patagonia come contro i wichi nel Chaco. Altra questione centrale negli ultimi mesi, è quella delle lotte indigene per difendere altri mondi, ri-appropriarsi delle terre ancestrali e reinventare un uso comune del territorio contro privatizzazioni ed estrattivismo.

 

Cominciano oggi dalla Patagonia e dalle Ande le mobilitazioni federali che dal profondo dal sud e nord del paese porteranno centinaia di migliaia di persone davanti al Congresso per sostenere la presentazione di cinque leggi proposte dai movimenti e dai sindacati dell’economia popolare.

 

In primo luogo si richiede la dichiarazione dell’emergenza alimentare, secondo la quale il governo sarebbe chiamato a garantire misure contro la fame, poi la legge sull’infrastruttura sociale (che prevede il 25 per cento delle committenze pubbliche volte a migliorare i quartiri popolari a favore delle cooperative dell’economia popolare) sull’urbanizzazione dei quartieri popolari (legge sull’Integrazione Urbana) sulla prevenzione delle dipendenze e sull’accesso alla terra. Ancora una volta, i sindacati conflittuali saranno al loro fianco, assieme ai movimenti sociali e a parte dell’associazionismo cattolico e della Chiesa. Una composizione particolare di soggettività eterogenee che fanno emergere tanto la potenza come le contraddizioni e tensioni politiche che attraversano i territori, i luoghi di lavoro e le organizzazioni politiche di fronte all’offensiva del governo della finanza e delle multinazionali.

 

Ancora una volta, queste settimane e questi prossimi mesi saranno decisivi perché nelle strade, nelle piazze e nei molteplici spazi di discussione e di azione politica si continui a tessere la potenza collettiva capace di resistere a questa offensiva neoliberale.

 

Mentre le basi sindacali spingono per uno sciopero generale, la dirigenza sindacale della CGT continua a frenare, e spesso negoziare con il governo. La richiesta dello sciopero generale cresce, mentre il proliferare delle lotte la rafforza. Intanto crescono nelle piazze, nelle strade e nei territori  spazi di articolazione di pratiche differenti per costruire orizzonti di lotta comuni, dalla difesa dei diritti umani (ricordiamo le strarodinarie lotte di questi anni fino alla immensa manifestazione del 24 marzo), a nuovi spazi dove rilanciare le lotte femministe, indigene, quelle in difesa dei territori,  quelle in difesa del salario con quelle dei lavoratori dell’economia popolare, componendo i momenti differenti che in questi mesi stanno ridefinendo lo scenario politico. Dalle manifestazioni di massa alle rivolte di piazza,  dalle assemblee alle nuove forme di immaginare e praticare la vita in comune, resistere all’indebitamento e alla finanziarizzazione delle vite, assume grande importanza la micropolitica, la costruzione di relazioni sociali basate sulla solidarietà, autogestione ed organizzazione dal basso nei territori urbani e rurali, per tessere quell’unità nelle differenze fondamentale per generare capacità delle lotte popolari di fermare il progetto neoliberale.