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Cronaca dal primo maggio a Caracas dopo il fallimento del golpe di Guaidó

Dopo il tentativo di golpe di martedì 30 aprile, in un primo maggio di forti tensioni si sono svolte due manifestazioni contrapposte: Guaidó lancia uno sciopero contro il governo, Maduro chiama a raccolta il chavismo, annuncia giornate di dialogo per trovare soluzioni alla crisi e denuncia il golpe e le responsabilità degli Stati Uniti.

Tensione minuto dopo minuto, dichiarazioni sui social, piazze contrapposte: la giornata del primo maggio in Venezuela è stata vissuta come una continuazione degli eventi di martedì 30 aprile con il tentativo fallito di colpo di Stato che alla fine è stato “più mediatico che militare”.

La destra aveva annunciato che il primo maggio avrebbe avuto inizio il momento definitivo della cosiddetta “Operazione Libertà”, fase che è stata anticipata all’alba del martedì con le immagini che hanno fatto il giro del mondo. Per il primo maggio, Guaidó aveva annunciato una mobilitazione in diversi concentramenti. La domanda sorge spontanea: cosa avrebbero provato a fare vista la necessità di mantenere la scommessa aperta dopo il fallimento del golpe?

La giornata è iniziata tranquillamente. Guaidó ha parlato dopo mezzogiorno e, così come ormai ci ha abituato nei suoi discorsi, ha fatto riferimento alla necessità di non perdere le piazze, mantenere la mobilitazione, così come al piano basato sul lancio di uno sciopero a scaglioni fino ad arrivare a uno sciopero generale. I suoi seguaci si aspettavano una radicalità che non c’è stata. La road map che emerge dal suo discorso è abbastanza confusa, in particolare perché non è la prima volta che annuncia uno sciopero che non avviene e poi perché – ed è questa la ragione – la sua base sociale attiva non ha forza tra i lavoratori e le lavoratrici.

 

 

Le attività della destra si sono dislocate in vari punti contemporaneamente. L’epicentro è stato di nuovo Altamira, con una presenza maggiore rispetto a ieri. Lì sono avvenuti gli scontri come parte di uno scenario programmato dalla destra che ha bisogno di mantenere certi livelli di tensione per generare immagini e notizie. L’opposizione non ha dispiegato altre azioni nel pomeriggio.

 

Leopoldo López da parte sua ha mantenuto il silenzio dall’ambasciata di Spagna. Durante il comizio di Guaidó sono  state richieste notizie sulla situazione del dirigente di Volontà Popolare, il partito di cui  lo stesso Guaidó fa parte,  in prima linea a livello nazionale nel tentativo di colpo di Stato, assieme al Primero Justicia, il partito di Capriles Radonski e Julio Borges. Ma Guaidó non ha dato risposta alcuna su López, pedina importante della strategia locale dell’assalto al potere.

Anche il quadro internazionale è in movimento: Mike Pompeo, segretario di Stato nordamericano, si è riunito con il suo omologo russo, Sergej Lavrov, per discutere sul Venezuela, e il segretario della difesa degli Stati Uniti ha cancellato il viaggio previsto in Europa per le stesse ragioni. Il presidente Donald Trump  ha invece minacciato ieri un blocco completo contro Cuba, se l’isola non «ritira le sue truppe e i suoi militari».

 

 

L’inviato speciale che si occupa della questione venezuelana, Elliot Abrams, ha affermato che i chavisti con cui ha negoziato «hanno spento i cellulari», in linea con le dichiarazioni dell’assessore alla sicurezza nazionale John Bolton, che ha affermato che martedì vari dirigenti di alto livello si sarebbero dovuti piegare al suo piano, ma che alla fine non sarebbero passati dalla parole ai fatti.

Come pensano di continuare l’escalation? Risulta chiaro che esistono due livelli. Uno è quello pubblico, con gli annunci di Guaidó senza alcun impatto sulla realtà e le differenti dichiarazioni nordamericane che aprono sempre varie possibilità per contenere e confondere la situazione. L’altro è quello privato, quello che, per esempio, ci ha sorpresi la mattinata del 30. La road map andrà avanti seguendo il secondo livello, il primo è ormai una copertura che nasconde i movimenti reali pianificati per portare a compimento il colpo di Stato, che hanno ribattezzato “fine dell’usurpazione”.

 

Il primo maggio è stato anche una giornata di mobilitazione del chavismo. Come ogni anno la manifestazione è stata grande, una nuova dimostrazione, come ieri e come avviene da inizio gennaio, della capacità di tenere le piazze da parte del movimento chavista.

 

 

Il comizio finale si è svolto nelle vicinanze del palazzo presidenziale Miraflores, dove hanno parlato vari dirigenti, così come Nicolás Maduro. In questo contesto,  Maduro ha fatto riferimento all’attuale situazione di attacco condotto dagli Usa e dai suoi alleati e ha lanciato un appello nel caso in cui venga portato avanti un altro assalto al potere da parte di quelli che hanno intenzione di mettere in atto concretamente il golpe: «Scendete in strada tutti i comitati di rifornimento e produzione, i consigli comunali, le milizie bolivariane, le unità di battaglia Hugo Chávez, tutto il popolo in piazza, senza esitare nemmeno un secondo».

Al tempo stesso, ha annunciato che ci saranno giornate di dialogo, azione proposta il prossimo fine settimana, il 4 e 5 maggio, assieme alle diverse istituzioni del potere popolare, del Partito Socialista Unito del Venezuela e dei governatori locali. L’obiettivo: segnalare a Maduro cosa è necessario cambiare, come pianificare un cambiamento di direzione strategica.

Il primo maggio si è quindi concluso con una tranquillità solo superficiale e molte domande. Quali saranno i prossimi passi del tentativo di destituire Maduro? Qual è stato l’obiettivo del 30 aprile? Si è trattato di un tentativo di misurare le forze in campo? Di una azione effettivamente fallita? Un cambio nella leadership dell’opposizione per far rientrare nella partita Leopoldo López?

I prossimi giorni, le prossime settimane, ci daranno le risposte a queste domande. L’agenda del golpe non si ferma, il piano nordamericano che cerca un risultato immediato continua in movimento, lavora su tutti i livelli, cerca rotture interne per far sì che si manifestino durante i prossimi avvenimenti. Da questo punto di vista, la defezione più rilevante di martedì 30 sembra  quella dell’ex direttore del Servizio segreto bolivariano.

Il Venezuela continua a vivere un equilibrio instabile, tra gli assalti affrontati dal chavismo, l’incapacità della strategia golpista di ottenere risultati e al tempo stesso l’usura prodotta dalla situazione economica e l’impatto delle operazioni di destabilizzazione. La situazione sembra ben lontana dal ritrovare una risoluzione prossima.

 

L’autore è un sociologo e giornalista che scrive da Caracas, corrispondente di vari giornali latinoamericani, tra cui il quotidiano argentino Pagina12, dove è stato pubblicato questo articolo. Traduzione in italiano a cura di DINAMOpress.

Foto di copertina: Rete di Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana. Altre foto: ALBA Movimientos