EUROPA

Le banlieue francesi tra virus e violenza della polizia

La pandemia di Coronavirus in questi primi mesi del 2020 ha colpito duramente le banlieues francesi. Oltre all’esplosiva situazione sociale già presente prima del virus, devono ora fronteggiare anche una mortalità molto sopra la media. L’unica risposta delle istituzioni rimane il controllo poliziesco e la violenza

Se il virus Sars-CoV2 può essere considerato un rivelatore di tendenze sociali e politiche già presenti nelle nostre comunità, nei quartiers (quartieri popolari) francesi ci mostra un mondo diseguale, classista, razzista, violento. Le classi sociali che pagavano già prima della pandemia la stabilità economica del paese con la loro precarietà e vulnerabilità si ritrovano ora a fronteggiare non solo la crisi sanitaria, l’improvvisa perdita dei posti di lavoro e la quarantena in alloggi inadeguati ma anche una violenza poliziesca che, se era già intollerabile prima della pandemia, ora fa esplodere la rabbia sociale.

Da domenica 19 aprile al 22 aprile scorsi in più di trenta comuni francesi si è assistito a delle rivolte che hanno dei precedenti solo nelle sommosse delle banlieues del 2005. La maggior parte di questi comuni sono dei sobborghi di Parigi, ma non mancano altre grandi città come Lille, Strasburgo e Tolosa. Gli scontri tra cittadini e forze di polizia si sono svolti di notte, con i primi che usavano come armi fuochi d’artificio e petardi. A Champigny si è arrivati ad assaltare un commissariato. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il ferimento di un motociclista durante un controllo di polizia a Villeneuve-la-Garenne, comune a nord di Parigi. Il conducente sarebbe stato ferito, secondo i testimoni, dall’apertura volontaria della portiera di una volante. Uno dei poliziotti infatti avrebbe aperto la portiera apposta per fermare la corsa del motociclista, che ha riportato in seguito alla caduta una frattura esposta.

Le rivolte hanno suscitato molto presto un forte interesse nei media di destra, moderata e non, che hanno usato un linguaggio militarista e hanno calcato la mano sulla “feccia” che metterebbe in pericolo l’ordine repubblicano.

Il ministro dell’interno Critophe Castaner ha parlato delle rivolte il 23 aprile, rivelando le preoccupazioni dell’esecutivo. Nel suo discorso, il ministro ha parlato del fatto che la quarantena non sia meno rispettata in banlieue che altrove, e ha sottolineato la quantità di controlli compiuti in zone considerate “a rischio” e in tutta la Francia: 15,5 milioni di controlli e 915mila multe nel Paese, 220mila controlli, il doppio della media, nel dipartimento della Seine-Saint Denis. I numeri riportati dovrebbero avere l’effetto di tranquillizzare i cittadini rispetto alla vigilanza delle forze dell’ordine. «L’ordine repubblicano deve essere rispettato ovunque» ha detto il ministro.

Il ministo Castaner sembra però ignorare completamente il fatto che le forze dell’ordine non siano esattamente una garanzia di sicurezza per i cittadini francesi, e in particolare per gli abitanti dei quartieri popolari.

Nei giorni successivi alle rivolte una trentina di organizzazioni hanno diramato un comunicato riconoscendo la legittimità delle rivolte, collegandole esplicitamente alle violenze della polizia. Non c’è dubbio che la risposta securitaria a cui stiamo assistendo durante questa pandemia, con 100000 poliziotti mobilitati in Francia, abbia avuto un impatto enorme sulla vita degli abitanti dei quartiers, più soggetti di altri ai controlli violenti. Alcuni giornalisti e attivisti hanno cercato di tenere traccia del fenomeno dall’inizio dello stato di emergenza sanitaria e il risultato è agghiacciante, seppur parziale dato che non tutte le violenze avvengono in pubblico e che molti episodi sono ripresi solo da media locali, che in genere riportano la versione della polizia e nient’altro.

Solo nella settimana tra l’8 e il 15 aprile sono morte 5 persone in circostanze legate a controlli di polizia. Una di queste, un senzatetto, è morta all’arrivo in commissariato a Beziers. Questo numero è impressionante rispetto alla tendenza generale, comunque già in crescita nell’ultimo decennio: BastaMag, che tiene conto degli omicidi legati a interventi della polizia dal 1977, ha recensito 26 morti in tutto il 2019.

Il discorso di Castaner e il frame securitario dei grandi media, insomma, sono irresponsabili e pericolosi: danno alla polizia un altro via libera, costituiscono politicamente una garanzia all’immunità. Risale al 26 aprile, due giorni dopo le parole del ministro, un episodio avvenuto a Ile-Saint Denis, sempre nel dipartimento della Seine-Saint Denis. Un uomo si è gettato nel fiume tentando di scappare ad un controllo di polizia. La pattuglia l’ha ripescato per poi iniziare ad insultarlo con parole razziste e a picchiarlo sul posto prima di portarlo in commissariato. L’aggressione è avvenuta di notte ed è stata filmata da due ragazzi che abitavano di fronte al luogo degli eventi. Sicuramente questi fatti non segnalano una maggiore cautela in seguito alle parole del ministro.

Questi episodi avvengono dopo due anni in cui la Francia ha vissuto la rivolta dei Gilet Jaunes e la maggioranza del Paese, quella che ancora non conosceva la violenza della polizia, si è improvvisamente resa conto di questa realtà. L’opinione pubblica non è più completamente prona alla narrativa ufficiale, e si leggono spesso sui social commenti come: sono questi quelli che dovrebbero difenderci?

Spesso le vittime cercano di scappare, dando adito così ad una presunzione di colpevolezza e al frequente ricorso alla “legittima difesa” da parte dei poliziotti. In realtà sono gli abusi della polizia che generano tensione e paure nei cittadini. Sempre secondo BastaMag, metà delle morti in cui è coinvolta la polizia sono avvenute in banlieue, in zone dove abitano solo un quarto dei francesi. Come ha scritto Francesca Barca nelle sue note di confinement: «Io non ho nessun motivo di trovarmi in uno scontro: ho da mangiare, ho una casa decente, sono mediamente di buon umore e c’era il sole. Per cui sono stata ferma nella mia posizione e appena è stato possibile me ne sono andata. Ma se capita il giorno storto, se capita la persona che ha casa ha 5 fratelli e due genitori e non può fare la spesa e ha perso il lavoro. O semplicemente, ha le palle girate, o ancora è uno stronzo, che succede?».

La militarizzazione della società si impone con più forza in zone del territorio che sono già in sofferenza grave, e non da poco tempo. Sono usciti diversi reportage sulle difficoltà nelle banlieue ai tempi del Covid19, e perfino il prefetto della Seine-Saint Denis si preoccupava, prima dello scoppio delle rivolte, che una tale situazione potesse verificarsi “per fame”.

In realtà, non è una novità che nei sobborghi di Parigi e delle grandi città si viva male, che ci sia più precarietà, meno lavoro, condizioni più insalubri. Il coronavirus ha però fatto emergere e peggiorato una realtà già drammatica.

Nella Seine-Saint Denis, per esempio, la mortalità è raddoppiata rispetto a prima dell’epidemia. La situazione avrebbe potuto essere diversa? Se si pensa alla quantità di risorse dedicata al controllo poliziesco del territorio non si può fare a meno di chiedersi se almeno una parte non avrebbe potuto essere dedicata alla prevenzione del rischio sanitario e a progetti di welfare per le classi popolari.

Di fronte alla risposta securitaria dello Stato, i cittadini tendono ad auto-organizzarsi. Negli ultimi giorni si è iniziata a costituire in île de France una rete di Brigate di Solidarietà Popolare sull’esempio dell’Italia. L’intento di queste associazioni nate su base spontanea non è soltanto assistenziale, ma anche politico, ed è proprio quello di costruire reti comunitarie e di far emergere il razzismo, il sessismo, la violenza e il classismo presenti nella società. La pandemia esalta le forze sociali più repressive, ma lascia anche lo spazio per azioni dirompenti, solidali ed umane.

L’uscita da questa crisi ci dirà di più su quale ideale avrà prevalso, se quello della sicurezza e del controllo o quello dell’aiuto reciproco, della collettività e della solidarietà.

Foto di copertina di Liliane Polak