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EUROPA

Cosa succede ai confini d’Europa? La Polonia emblema della politiche razziste dell’Ue

Viaggio alla frontiera polacca, fra Ucraina e Bielorussia: una grande mobilitazione di gruppi, associazioni e volontari che, però, segna anche una grande differenza fra la risposta alla guerra in corso e la precedente crisi migratoria

Luglio 2022. Arriviamo a Varsavia in aereo, con l’intenzione di andare ai confini con la Bielorussia e l’Ucraina. Tante le notizie che abbiamo letto nell’ultimo anno sulle violenze al confine bielorusso, la costruzione del muro lungo 180 km, così come dell’accoglienza al confine ucraino, la solidarietà e le iniziative governative di supporto. Vogliamo vedere come si articola questa profonda distinzione e categorizzazione delle persone che varcano i confini. E così in una settimana facciamo 1,700 km in macchina per andare a vedere e ascoltare cosa succede.

Conosciamo ancora poco la Polonia, sappiamo che ha subito l’occupazione tedesca e russa, che è stata al centro dell’Olocausto, diventata poi membro dell’Unione Europea nel 2004, quando di conseguenza le sue frontiere verso est sono divenute frontiere esterne dello spazio Schengen, con tutto ciò che questo comporta in termini di militarizzazione e controllo.

Tali frontiere erano attraversate perlopiù da persone provenienti dalla Cecenia, che chiedevano asilo, e dall’Ucraina, per trovare lavoro.

Nell’ultimo anno il confine polacco-bielorusso è stato al centro di grandi movimenti (e respingimenti) di persone. Persone provenienti da Egitto, Siria, Yemen, Camerun, Sudan, Afghanistan, Iraq, Marocco, Pakistan, Ghana, Gambia, Togo, Senegal, Tunisia, India, Mali, Eritrea, Congo…per dirne alcune. Inizialmente si trattava di persone incitate a passare dalla Bielorussia da tour operator nazionali che fornivano viaggi all-inclusive di visti e biglietti aerei con la compagnia nazionale. Con l’inizio della guerra in Ucraina, invece, si tratta soprattutto di persone straniere già presenti in Russia e prime vittime della crisi economica dovuta alle sanzioni, ma anche persone arrivate più recentemente in Russia o Bielorussia grazie alla politica di rilascio di visti meno restrittiva che in UE. Mosca e Minsk sono divenute nuovi snodi nei percorsi migratori, e questa frontiera con ingresso in Polonia si è diffusa come una via “più sicura” di quella Mediterranea. 

Da Varsavia andiamo verso Białystok, e da là verso il confine bielorusso: la nostra meta è la foresta di Białowieża e tutta la zona dove è stato costruito il muro.

Lungo la strada scopriamo che la Polonia è stata un paese di transito di mercanti dal Medioriente, vediamo tracce di Tatari, con una moschea in legno e un cimitero musulmano, molte chiese ortodosse, oltre ovviamente a una massiccia presenza di chiese cattoliche. 

La prima tappa è Usnarz Górny, un minuscolo gruppo di case al confine. Lungo la strada per arrivarci, da Krynki, in mezzo a campi a perdita d’occhio, tutto ad un tratto compare, e non scompare più: il muro, una barriera di metallo alta oltre 5 metri e disseminata di filo spinato, che si snoda al limite tra i campi e la foresta, con gabbiotti di guardia, e cartelli a 200 metri di distanza dal muro che intimano di non avvicinarsi (video del muro). La costruzione del muro era iniziata a gennaio 2022 e si è conclusa a giugno. Attualmente si tratta del muro più lungo d’Europa.

Proprio a Usnarz Górny é iniziata la prepotenza dei respingimenti e delle violenze al confine: ad agosto 2021 un gruppo di 32 persone provenienti dall’Afghanistan, è stato respinto verso il lato bielorusso del confine. Tutte le 32 persone afgane cercavano di chiedere protezione internazionale in Polonia, ma le guardie di frontiera non hanno permesso loro di accedere al territorio polacco. Loro non si sono mosse dal confine, ed è iniziato un lungo presidio dormendo nelle tende, con il supporto attivistə che sono state presenti a distanza, dal lato polacco, comunicando con un megafono. Nonostante due ordinanze della Corte europea per i diritti umani, la Polonia non ha fornito cibo, acqua, riparo, assistenza medica e accesso agli avvocati. Questo è stato il primo caso mediatizzato di respingimento e anche di mobilitazione e solidarietà politica a questo confine.

Il 2 settembre 2021, probabilmente per evitare situazioni simili, il presidente polacco ha dichiarato lo stato d’emergenza al confine con la Bielorussia, con il quale ha istituito una zona rossa di 3 km lungo la frontiera e vietato l’accesso alla zona di confine a giornalisti, operatori umanitari – che avevano denunciato ripetute aggressioni dalle forze armate polacche – e ha impedito agli avvocati di avere accesso ai richiedenti asilo.

È stato il primo stato di emergenza dichiarato dal 1989. La zona rossa è terminata a giugno 2022, dunque dal 1 luglio la zona è divenuta nuovamente accessibile.

Parallelamente, a ottobre 2021, il governo polacco ha approvato la legge sui “respingimenti legali”: la legge di fatto legalizza le decisioni arbitrarie delle guardie di frontiera polacche di spingere le persone fuori dal confine polacco senza una considerazione sostanziale delle loro richieste di asilo e protezione internazionale. Allo stesso tempo, il parlamento ha respinto un emendamento del Senato, che stabiliva che le famiglie con minori potessero impugnare la decisione di espulsione. L’emendamento adottato prevede invece che una persona fermata dopo aver attraversato illegalmente la frontiera esterna dell’UE (cioè la frontiera con la Russia, la Bielorussia e l’Ucraina) può essere immediatamente riportata alla frontiera e temporaneamente vietata l’entrata in Polonia. Anche se tale persona dichiara di voler richiedere la protezione internazionale. La legge rende perciò impossibile chiedere asilo in Polonia alle persone che entrano “irregolarmente”.

Questo fa sì che migliaia di persone restino bloccate nella foresta, tentando e ritentando di passare il confine. Białowieża è un’antica foresta vergine lungo il confine tra Bielorussia e Polonia, e rappresenta tutto ciò che resta dell’immensa foresta che migliaia di anni fa si estendeva su tutta l’Europa.

Il sito è patrimonio UNESCO e riserva della biosfera. Il muro è stato costruito anche qua, violando le norme del diritto ambientale. Białowieża è anche un piccolo villaggio, snodo turistico per visitare la bellissima regione della Podlachia. Questo, come molti altri disseminati lungo il confine, è stato trasfigurato dalla massiccia presenza militare portata dalla costruzione del muro. Camminiamo tra le bancarelle all’ingresso del Parco nazionale, e sullo sfondo vi sono teli mimetici che coprono goffamente accampamenti con grandi tendoni, rumorosi generatori, e decine e decine di mezzi militari. 

Imbocchiamo uno dei sentieri turistici della zona che ci porta nei pressi del muro, proviamo ad avvicinarci fingendo di perderci, seguiamo i profondi solchi dei mezzi militari che attraversano la foresta tutti i giorni – dei quali la cittadinanza locale si lamenta poiché rendono i sentieri impraticabili – e scorgiamo il muro. Due militari ci vengono incontro e ci dicono di tornare indietro, che là non ci si può avvicinare. Invertiamo il passo, alziamo gli occhi e attaccato a un albero vediamo il sistema di monitoraggio e rilevamento del movimento.

Sempre lungo il percorso del muro, andiamo a Stare Masiewo, dove lo scorso inverno la foresta al confine era piena di persone accampate, tende, sacchi a pelo, coperte, vestiti. Un giornalista freelance che conosciamo durante il viaggio ha documentato la traversata di molte persone e le violenze subite su OKO.press, un sito indipendente polacco di giornalismo investigativo. E lo accompagniamo mentre parla con le persone del luogo, raccogliendo testimonianze sull’impatto del muro sulle loro vite (qua il suo reportage sul muro, in polacco). Ci raccontano che nel villaggio c’era la fila alle lavanderie, la fila di persone polacche che recuperavano materiale da campeggio nella foresta e lo lavavano per rivenderlo.

C’è chi dice che il muro ha portato maggiore sicurezza e maggiore pulizia nella foresta, ma anche chi ha visto i lavoratori sfruttati per costruire il muro giorno e notte, chi racconta che i militari hanno distrutto i campi coltivati e devastato il paesaggio. I militari stessi affermano che il muro serve a poco e che trovano persone che hanno attraversato il confine nei villaggi.

Questa foresta è famosa per ospitare la più grande comunità di bisonti europei, che un ragazzo ha descritto come un “mostro nella foresta”, durante i terribili giorni passati al confine. “L’area della morte, o un secondo Iraq – questo è come chiamiamo questo lembo di terra tra Polonia e Bielorussia”, riporta OKO.press con le parole di un giovane curdo iracheno. 

La solidarietà politicizzata e la criminalizzazione dellə attivistə. In risposta alla crisi umanitaria al confine tra Polonia e Bielorussia, ad agosto 2021 è nata una rete di 16 associazioni e collettivi, che forniscono assistenza umanitaria, legale e medica e monitorano il rispetto dei diritti umani: Grupa Granica. Granica significa confine in polacco. Il loro slogan sui social è “l’aiuto è legale, la violenza è un crimine!” – i loro social documentano tutto: Facebook, Instagram e Twitter. Un lavoro immenso, delicato, faticoso, cruciale.

Nei loro interventi, non solo forniscono assistenza umanitaria fornendo acqua, cibo e vestiti, ma forniscono anche assistenza medica, hanno un numero attivo 24h e si attivano ad ogni ora per andare incontro alle persone che si trovano nella foresta. Le operazioni di soccorso avvengono di giorno, ma soprattutto di notte.

Le coordinate GPS permettono allə attivistə di trovare le persone bloccate nella foresta e soccorrerle. Nella foresta ci si procurano fratture, ferite profonde, morsi di cani da guardia in uniforme, si hanno gravi problemi di stomaco causati dall’aver bevuto l’acqua delle pozzanghere e dalla mancanza di cibo. Più volte molte persone sono esauste, in ipotermia estrema. Hanno incontrato anche donne incinte e famiglie con bambini. E molte persone hanno i “piedi da trincea”, qualcosa che non si vedeva dalla Seconda guerra mondiale, poiché tipica sindrome dei soldati: una sindrome con sintomi relativi al gonfiore e al congelamento dei piedi, causati dalla pressione prolungata sui piedi da parte delle scarpe e dall’esposizione prolungata a temperature ridotte o ambienti umidi o bagnati. Perché le persone camminano nella foresta per giorni e giorni.

Le persone che intervistiamo ci raccontano anche della criminalizzazione che stanno vivendo, con multe e processi per aver violato la zona rossa, ma anche per le attività quotidiane che portano avanti, con controlli e intimidazioni che rendono tutto più complesso. La propaganda governativa che il muro ha fermato le persone è chiaramente falsa, e là come altrove le persone continuano a passare, ma con molte più difficoltà, da sopra o sotto il muro, di notte, con l’aiuto di guardie corrotte, in condizioni estreme. E tutto in un quadro politico che nell’ultimo anno si è sempre più aggravato, anche perché una grande fetta della solidarietà si è spostata al confine ucraino a partire dall’inizio della guerra.

Ci muoviamo verso il confine ucraino, passando per Przemyśl, direzione Medyka, a meno di due ore di macchina da Leopoli. Parcheggiamo di fronte a un piccolo supermercato e scorgiamo subito tantissimi stand.

C’è un punto di accoglienza, striscioni di benvenuto, stand con cibo gratuito, distribuzione di acqua e protezioni dalla pioggia, bagni e servizi, tavoli e sedie, uno spazio bambini, i tendoni di UNICEF, UNHCR, IOM e tante altre organizzazioni umanitarie per occuparsi di bisogni e vulnerabilità specifiche, ONG e associazioni da diverse parti del mondo, un servizio di protezione e cura per gli animali domestici delle famiglie rifugiate, stand delle compagnie telefoniche che regalano sim e chiamate gratuite in Ucraina.

“Circo della solidarietà” e “carovana della crisi”: così definisce lo scenario di questo confine la rappresentante di un’associazione presente alle due frontiere. In effetti, a partire dal 24 febbraio il confine tra Polonia e Ucraina è stato attraversato da più di 5 milioni di persone secondo il governo polacco, alle quali è stata riservata tutt’altra accoglienza rispetto al confine bielorusso.

Le persone ucraine si sono trovate davanti frontiere aperte, “welcome centers” dove ristorarsi e iscriversi per la domanda di protezione temporanea, tutti i servizi citati e anche moltissimo spontaneismo di singole persone che si proponevano per dare passaggi per qualsiasi paese europeo, che proponevano accoglienza a casa loro, clown, musicisti e artisti venuti a fare spettacoli per risollevare gli animi dalla disperazione del viaggio. 

Se, da un lato, il governo polacco ha subito approvato dei decreti permettendo alle persone ucraine di ricevere un piccolo sussidio mensile di sopravvivenza, accedere ai sussidi accordati alla popolazione nazionale, l’accesso alle scuole e ai mezzi pubblici gratuito, un aiuto per le famiglie che accoglievano, dall’altro, tutta l’organizzazione dell’accoglienza è ricaduta sui comuni, le autorità regionali e la società civile locale. La Polonia è diventata “una grande ONG”, ci dice un’attivista.

Al confine parliamo con i lavoratori umanitari, molti vengono dall’esperienza della frontiera bielorussa, e sorridono amareggiati quando spiegano come è organizzata l’accoglienza a questa frontiera: “mi sto formando al lavoro umanitario che potrò poi mettere a disposizione di tutte le persone straniere”, ci dice un ragazzo che adesso lavora per IOM. Un punto poco chiaro è cosa accada alle persone di nazionalità non ucraina a questo confine.

In certi momenti certamente sono riuscite a passare, ma vi sono anche storie di persone messe da parte e non lasciate passare, con una razzializzazione evidente di chi ha diritto di entrare in Polonia e chi no.

Facciamo base a Lublino, la prima città più grande vicina al confine, nota per la gestione della crisi, con un partenariato tra il Comune e le associazioni locali riunite in un comitato cittadino, che ha raccolto fino a 4000 volontari nel culmine dell’accoglienza. Una volontaria ci racconta che non tutto è sempre stato semplice: nello spontaneismo dell’accoglienza ci sono stati casi di abusi e di tratta, e una consistente presenza di gruppi nazionalisti ha portato a episodi di razzismo rispetto alla presenza ucraina e agli aiuti governativi in loro supporto.

“Adesso i rientri in Ucraina sono più consistenti degli arrivi” ci racconta, e le persone tornano di frequente per appuntamenti medici, o perché rischiano di perdere il lavoro. Secondo fonti di polizia circa 2 milioni di persone sono in Polonia, e oltre un milione sono rientrate in Ucraina, ma probabilmente si sposteranno ancora. La situazione in Ucraina si è in parte stabilizzata, ma non si sa quando le persone potranno rientrare. Moltə non hanno più niente a cui tornare, altrə si sono ben integratə in Polonia, altrə ancora non si sono allontanatə dalla frontiera pensando di rientrare alla fine della guerra e ora cominciano a realizzare che la guerra non finirà presto, altrə rischiano di perdere il lavoro in Ucraina se non rientrano, e se lasciano la Polonia per oltre un mese rischiano di perdere gli aiuti governativi. Tornare o restare è un vero dilemma per queste vite sospese:la possibilità di scelta di varcare il confine, è comunque una scelta limitata.

Contro i visti e contro tutti i confini. Il movimento delle persone in fuga dall’Ucraina è un’occasione per ripensare complessivamente le categorie con le quali pensiamo le frontiere. È sintomatico che il termine migrantə sia stato poco utilizzato per leggere il movimento delle persone ucrainə. È la parola che per eccellenza allude alla supposta alterità culturale e alla povertà, oltre che alla condizione da extraeuropeə.

Non a caso, nelle circostanze attuali è rifugiatə la parola più utilizzata. Non è solo una questione di forma: la violenza discorsiva e quella materiale spesso si alimentano a vicenda.

La tendenza alla classificazione e selezione é un processo strutturale dei confini che sono intrinsecamente selettivi e divisivi, e il dispositivo del visto è l’emblema di questa selezione.  Ma i confini sono anche strutturalmente porosi: allo stesso tempo accolgono, separano e respingono. La scelta di favorire il transito di alcunə e impedire quello di altrə è tutta politica e, come tale, è necessario e possibile metterla in discussione. E anche ribaltarla, con il movimento stesso delle persone e con la solidarietà politicizzata. 

Tutte le immagini di Giulia Breda e Francesca Zampagni