DIRITTI

Cosa può un costume: di burkini, bikini e corpi degli altri

In alcune spiagge della Francia è stato vietato dai sindaci l’uso del burkini, il costume da spiaggia intero che viene indossato dalle donne musulmane. Manuel Valls plaude a questa scelta, in continuità con la politica di attacco alla comunità islamica che il suo governo sta perseguendo.

Nelle ultime settimane in Francia sta impazzando una polemica abbastanza singolare: burkini sì o burkini no? Il polverone si è venuto a sollevare dopo che alcuni sindaci hanno vietato il costume indossato dalle donne musulmane in alcune spiagge dei loro comuni: Manuel Valls, primo ministro francese, ha dichiarato immediatamente che il burkini è “espressione di un’ideologia basata sull’asservimento della donna”, quindi è “incompatibile con i valori della Francia e della Repubblica”.

Immediatamente stuoli di intellettuali, giornalisti, “femministe di sinistra” e gente più o meno a caso hanno iniziato a dire la loro sul chiacchieratissimo costume da bagno.

Improvvisamente un sacco di persone si sono scoperte paladine dei diritti delle donne, e hanno iniziato a dettare legge con la suprema convinzione di sapere cosa fosse meglio per loro. Ecco, arrivata a questo punto mi verrebbe da dire che già una pretesa del genere – sapere cos’è meglio per una donna e decidere quale debba essere il suo grado di emancipazione e il suo guardaroba – è il prodotto e la diretta conseguenza di un modo di pensare machista e patriarcale (e in questo caso specifico, anche neocolonialista). Partendo dall’assunto che uno in spiaggia ci va vestito o svestito come gli pare e che si dovrebbe disporre del proprio corpo come meglio si crede, vi faccio una domanda: ma seriamente pensate che il problema principale con cui arrovellarvi il cervello in queste calde giornate d’agosto sia un costume da bagno?

Sicuramente la polemica sul burkini è stata alimentata in maniera spropositata dalla stampa e, tirando le somme, a quanto pare al mare non ci si può vestire come si vuole, nemmeno andassimo a lavorare con la divisa imposta… Esiste davvero, dunque, un dress code da spiaggia solo per le donne che va stabilito per legge? Costume intero, due pezzi? E il topless? Ci dicano!

Le polemiche sul vestiario femminile sono spesso al centro del dibattito pubblico anche nel nostro democraticissimo paese dove ancora un capo d’abbigliamento come la minigonna riesce a smuovere la peggiore violenza patriarcale. Solo qualche giorno fa una ragazza è stata gambizzata dal fratello proprio perché osava mostrare le cosce, ma tutto a posto, tanto noi siamo europei e possiamo fare quello che ci pare.

Ma cos’è il burkini? Disegnato dalla fashion designer Aheda Zanetti in Australia, è usato dalle donne musulmane che vogliono stare in spiaggia, fare il bagno e praticare sport acquatici in un outfit più comodo dei normali hijab. C’è addirittura chi lo usa non per motivi religiosi, ma per evitare di scottarsi a causa del troppo sole (tanto che la stilista ha creato anche delle versioni per chi vuole indossarlo non per motivi religiosi). Comunque è un costume da bagno usato praticamente in tutto il mondo, ma solo adesso che in Francia è scoppiata la polemica si sta facendo la corsa a chi lo stigmatizza di più (e stiamo parlando di un costume da bagno, ricordiamocelo). In Cina, ad esempio, molte donne utilizzano in spiaggia il cosiddetto facekini che copre integralmente il volto, per proteggere la pelle dall’abbronzatura invasiva che non è apprezzata.

Non so come faccia a non apparire scontato agli occhi di gente che non viva con le fette di prosciutto davanti agli occhi che il divieto del burkini è solo l’ennesimo attacco portato avanti dal governo di Manuel Valls e François Hollande alla comunità araba e islamica che vive in Francia. Non solo a seguito degli attentati a Parigi del 13 novembre 2015 si è assistito a una vera e propria demonizzazione di queste persone ma, con l’instaurazione dell’état d’urgence, c’è stato anche un attacco muscolare nei confronti di luoghi di culto, abitazioni e proprietà commerciali appartenenti ai musulmani. Persone che si trovavano tranquillamente in casa si sono trovate a subire irruzioni notturne da parte della polizia che, dopo avergli sfasciato arbitrariamente casa, se ne andava senza dare nemmeno una spiegazione. Sei musulmano, quindi te lo meriti.

La polemica contro il burkini avallata anche da un certo femminismo neoliberista, svela tutto il suo carattere neocoloniale, nel tentativo di imporre forzatamente i valori occidentali con il pretesto di una presunta emancipazione.

Ancora una volta il terreno di scontro scelto è il corpo della donna che si suppone sottomessa e non in grado di prendere decisioni per se stessa, e che va liberata impedendogli di indossare il burkini.

Così magari non va in spiaggia, non la vediamo, e noi occidentali possiamo sentirci meglio e far finta di stare lottando contro l’oppressione delle donne arabe, che adesso stanno in casa, e non in spiaggia facendo il bagno col burkini davanti a noi. O, se ci vengono, rimangono vestite, comunque devono adeguarsi.

Ma in che modo vietare il burkini da parte del governo francese è un passo verso la loro liberazione ed emancipazione? Questo provvedimento, che odora tanto di colonialismo e repressione, può ottenere come unico effetto quello di impedire alle donne di andare al mare o di andarci vestite. Di certo non contribuisce a renderle più libere. Quindi, chi si schiera a favore, quali benefici ci vede per la lotta per l’emancipazione femminile? No, sono curiosa di saperlo.

L’imporre, da parte dell’autorità statale, un determinato codice d’abbigliamento, è un atto di violenza estrema, sia che imponga alle donne di coprirsi sia che imponga di scoprirsi. Qualsiasi atto decisionale preso da altri sul corpo femminile è espressione di una visione della donna machista e patriarcale, che la vede come un soggetto non in grado di prendere decisioni autonome. Per questo riesce difficile da capire come sia possibile che in Italia alcune donne, che soprattutto si definiscono femministe, si siano schierate a favore del provvedimento che vieta il burkini in spiaggia. Se poi consideriamo che questo provvedimento è solo strumentale a un attacco su più larga scala che si sta portando avanti ai danni della comunità islamica qui in Francia, il divieto del burkini risulta ancora più odioso di quello che già sarebbe normalmente.

Le donne devono avere la possibilità di scegliere. E’ chiaro che spesso questa scelta dipende anche dal contesto socioculturale, economico e politico in cui esse vivono o da cui provengono, ma non può essere in nessun caso imposta dall’esterno. Forse aprire gli occhi sulla vera portata di questo provvedimento e sulla sua violenza aiuterebbe anche noi a capire cosa sta accadendo qui in Francia. Se poi magari evitiamo di comportarci da colonialisti e maschilisti è ancora meglio e magari ci farebbe riscoprire quella frase che ogni tanto qualcuno dimentica, ossia che “il corpo è mio e decido io”. Che io sia araba, europea, nera, bianca, suora o zoccola, del mio fisico e dei pezzi di stoffa che lo coprono dispongo come voglio.