EUROPA
Cosa c’è dietro la torre che brucia a Londra
Sul rogo del grattacielo di Londra . I rischi per chi ci viveva dentro derivavano anche dalle priorità stabilite nella gestione dell’edificio: i lifting esterni e l’abbellimento della struttura, invece che la sua messa in sicurezza. Il decoro uccide ancora.
La Grenfell Tower, questo è il nome del mini-grattacielo distrutto dal fuoco a Londra. 120 appartamenti su 24 piani. Uno di quei pezzi edilizi che, in origine patrimonio pubblico, sono stati sottoposti nel tempo ad una vendita selvaggia. La loro cannibalizzazione è stata condotta su interi blocchi. Ci sono appartamenti in mano a nuovi proprietari, altri ancora (pochi) rimasti in quelle di inquilini “resistenti”. Più spesso, preda di agenzie immobiliari. Queste, messi alla porta i vecchi residenti impossibilitati a poter acquistare la stanza dove magari risiedevano da sempre, affittano gli spazi “liberati”. Avviene nella città europea in testa alla classifica per il costo delle locazioni.
Molti di questi pezzi sono disseminati, come questa torre, anche in zone centrali e semicentrali della città. Rappresentano l’eredità insediativa di un’attività di pianificazione pubblica orientata a non confinare l’abitare popolare all’interno di ghetti. Con il tempo, obiettivi e soprattutto numero degli alloggi pubblici, sono cambiati. Dagli anni 80 un combinato disposto, vendita del patrimonio e rigido contenimento degli spazi assegnati ai locatari per giunta gravati da una specifica “tassa sulla stanza”, ha finito con far crollare le percentuali di chi abita all’interno di programmi di council house.
Alla fine degli anni 70 del 900, oltre un terzo degli abitanti delle città inglesi vive in case inserite nel programma dell’abitare popolare. Oggi non superano il 6%. Quando gli edifici vengono venduti come uno spezzatino e accanto a chi rimane arrivano nuovi vicini, ingaggiati dalle agenzie immobiliari, si realizzano due ingressi separati: quello per i ricchi nuovi locatari più defilato, per chi non si è riusciti a tirare fuori da lì. A raccontarlo è una recente inchiesta del Guardian.
Per il mercato immobiliare inglese buttare giù e ricostruire, non sempre è un’operazione redditizia. Si preferisce abbellire la facciata di una casa dal riconosciuto fascino architettonico, sventrarla e riconfigurarne l’interno. Si vende insieme, il nuovo con “quella faccia un po’ cosi”, quel sapore di antico, che piace tanto alla rendita. Questo nelle zone centrali.
Nelle zone subito a ridosso del centro, come nel caso di questo condominio torre di Kensington, la ristrutturazione consiste spesso solo nella sistemazione della facciata. Ci si concentra nel lifting. Le case devono essere tirate a lucido. Solo così si riesce a strappare il miglior reddito. Loro e quelle all’intorno. Senza stare tanto a guardare a questioni di sicurezza e di impiantistica. A chi le abiterà.
Per un paradosso quella torre è stata tirata su vicino a Kensington park, i giardini dove, nell’omonimo romanzo di James M. Barrie, vive Peter Pan. È stato lui a dirci che la stagione dell’infanzia è maledettamente complicata. Non possiamo, però, rifiutarci di crescere.
I due giovanissimi architetti veneti, Gloria Trevisan e Marco Gottardi, proprio la Grenfell Tower avevano scelto quale punto di partenza per farlo. Insieme, nella vita e nel praticare la passione dell’architettura non permessa in Italia ai giovani, ancora di più ai giovani bravi. Sono stati traditi due volte, proprio ora che avevano iniziato a prendere confidenza, lavorando, con quella disciplina. Dalla città che vende sé stessa come uno spezzatino edilizio. Dall’architettura che, assecondandola, nega il proprio principio istitutivo: rendere sicuro l’abitare.
Questo chiede e ottiene la città liberista.
* Questo articolo è comparso anche su romatoday.it