ITALIA
«Contro la medicina patriarcale». Vulvodinia ed endometriosi, piazze di Nudm in tutta Italia
Sabato 23 ottobre in più di venti città italiane i presidi “Sensibile Invisibile”, organizzati da Non Una Di Meno insieme a molte associazioni sulla vulvodinia, neuropatia del pudendo, endometriosi e fibromialgia
«Quando a 12 anni ho avuto il mio primo ciclo mestruale la mia vita è cambiata. Le mie amiche durante il ciclo uscivano, giocavano, avevano una vita “normale”, io no». Sono le parole di una testimonianza anonima pubblicata sulla pagina Facebook di Non Una Di Meno, in vista del presidio Sensibile Invisibile, mobilitazione che oggi animerà le piazze di tutta Italia per dare voce a moltissime storie come questa. «Io avevo dei dolori lancinanti – prosegue il racconto – e delle vere e proprie emorragie interne. Sono stata anche ricoverata in ospedale, ma “è normale” mi dicevano tuttə, sei una donna, un ciclo abbondante è sintomo di salute, avrai moltə figlə».
Una donna racconta la propria sofferenza e non viene creduta, anzi le viene detto che il suo dolore è solo nella sua testa e farebbe quindi meglio a smettere di lamentarsi, a soffrire in silenzio. Suona familiare?
«Avevo dei dolori atroci – continua – non potevo uscire, studiare, giocare a basket, parlare. Sono solo 5 giorni, mi dicevano, quante storie, è normalissimo, sei una donna!». Questa persona a 22 anni riceverà una diagnosi di endometriosi, dopo dieci anni dall’inizio dei suoi sintomi, dopo dieci anni in cui ha dovuto convivere con il dolore che provava senza poterlo curare, dovendo accettare le limitazioni alla sua vita che questo comportava.
L’endometriosi è una malattia originata dalla presenza dell’endometrio in altri organi diversi dall’utero. Sebbene sia un disturbo molto diffuso poiché colpisce il 10-15 per cento delle persone assegnate femmine alla nascita (in Italia sono almeno 3 milioni le diagnosi conclamate), la conoscenza di questa malattia non è altrettanto estesa, né altrettanto accessibili sono le cure. «Nel 2017 l’endometriosi è stata inserita nei Lea (livelli essenziali di assistenza, ndr) del Sistema Sanitario Nazionale – racconta Silvia Carabelli, attivista di Non Una Di Meno – ma le tutele non sono sufficienti».
Solo chi ha una diagnosi di endometriosi al terzo o quarto grado, infatti, può avere diritto a usufruire in esenzione di alcune prestazioni specialistiche. «I gradi stabiliti dal Servizio Sanitario Nazionale non sono correlati alla gravità dei sintomi che la persona vive – commenta Silvia – Questo significa che tutte le altre persone, pur presentando sintomi molto pesanti, non possono usufruire delle esenzioni, né prendersi dei giorni di malattia».
Il fatto che l’endometriosi – al suo terzo e quarto stadio – rientri nei Lea, significa che questa malattia è riconosciuta dal Servizio Sanitario Nazionale nell’elenco delle malattie croniche e invalidanti, aggiornato l’ultima volta nel 2017. Ma l’elenco è tutt’altro che completo.
«Vulvodinia, neuropatia del pudendo e fibromialgia in questo momento non sono riconosciute dal Servizio Sanitario Nazionale – prosegue Silvia – e nei presìdi Sensibili Invisibili vogliamo sottolineare l’urgenza del loro inserimento nei Lea, oltre a chiedere maggiori tutele rispetto all’endometriosi». L’assenza del riconoscimento nel Ssn di queste malattie, oltre alle mancate tutele lavorative ed economiche per chi ne soffre, comporta anche il fatto che queste vengano studiate meno. La conseguenza è un grave ritardo diagnostico: cinque anni in media per la vulvodinia, sette per l’endometriosi.
Alla mobilitazione che oggi vedrà scendere in piazza più di 20 città italiane, hanno preso parte moltissime associazioni che da anni offrono servizi e fanno divulgazione su queste malattie. Una di queste è Vulvodinia.info. «Ho sentito la parola “vulvodinia” per la prima volta nel 2005, già ne soffrivo da quattro anni e mi veniva detto che il problema era semplicemente nella mia testa», racconta Elena Tione, fondatrice dell’associazione. «Il problema – osserva – è che questa parola vuol dire semplicemente “dolore vulvare”. Ma non è solo dolore, è un bruciore simile a un’ustione che però non passa mai».
Alcuni anni dopo, nel 2010, nascerà il forum, la prima organizzazione online dedicata esclusivamente alla vulvodinia, con la finalità di mettere in rete le persone che, come Elena, non riuscivano a trovare una diagnosi adeguata ai propri sintomi, condividendo informazioni e contatti di medici specializzati su questo disturbo.
Ma che cos’è la vulvodinia? Si tratta di una sindrome cronica caratterizzata da dolore vulvare non attribuibile clinicamente ad altra causa. «I canali per il trasporto dei messaggi dalla vulva al cervello non funzionano più nella maniera corretta ma diventano ipersensibili: appena ricevono un piccolo stimolo lo percepiscono come molto doloroso», spiega Rosanna Piancone, fondatrice dell’associazione Cistite.info Aps. Questo comporta una sensibilità tale che da rendere la vita di chi ne soffre quasi impossibile: «Significa avere dolore durante i rapporti sessuali – prosegue Rosanna – ma anche nell’indossare pantaloni con il cavallo stretto, nel contatto con il cloro della piscina o con la salsedine del mare, con un tessuto sintetico o quando hai le mestruazioni: il sangue dà fastidio, è irritante».
Il problema, spiega Rosanna, è che gli esami che cercano di trovare una causa a questi dolori danno esito negativo: «Visivamente non c’è nulla di patologico. Sono queste fibre nervose che si sono deteriorate per una serie di motivi che ancora non sono ben chiari. La vulvodinia rimane così invisibile» Il personale medico che non conosce questa malattia semplicemente non rileva nulla che non vada nel corpo della paziente ed è portato ad attribuire la cause ad una presunta fragilità mentale femminile. Da qui le numerossissime testimonianze che vanno da “è solo stress” fino a “perché non provi a masturbarti?”, passando per “beviti un bicchiere di vino ogni tanto”, per concludere con un bel “fai un figlio che ti passa”.
A tal proposito Sabrina Albanesi, dell’associazione Cfu Italia, parla di “nomadismo medico”: «Non è facile trovare un medico che riesca a fare una diagnosi esatta – afferma – e questo porta molte persone a dover girare moltissimi studi medici completamente a spese proprie».
Cfu Italia è un’associazione creata per fare divulgazione e mettere in rete le persone affette da fibromialgia, una condizione caratterizzata da dolore muscolare cronico diffuso associato a rigidità, che, racconta Sabrina: «Colpisce circa quattro milioni di persone, al 90 per cento donne». La diagnosi è particolarmente difficile perché, ad oggi, si procede per esclusione. «Proprio per questo – spiega Sabrina – abbiamo avviato una raccolta fondi per sostenere la ricerca di Fondazione Isal sul biomarcatore, arrivata quasi alla fase conclusiva. È una scoperta importantissima e italiana, permetterà non solo di avere diagnosi con un semplice esame del sangue, aprirà anche le porte alla ricerca per trovare una cura».
Ma com’è possibile che ci sia ancora così poca conoscenza delle patologie che possono colpire il corpo femminile? «La medicina è figlia della società patriarcale che l’ha partorita – afferma Silvia, di Non Una Di Meno – i trial clinici farmacologici sono sempre stati condotti principalmente su corpi maschili di più o meno 70 kg, ovviamente bianchi, considerati come metro di misura universale. Parliamo quindi di medicina patriarcale intendendo un’istituzione che non è sganciata dal conteso storico sociale e politico in cui si inserisce ma che è appunto figlia di quella storia».
Una storia che può cambiare e già lo sta facendo, sia nel lavoro quotidiano di realtà come Cistite.info, Vulvodinia.info, Cfu Italia e tutte le altre associazioni che hanno aderito alla mobilitazione di Non Una Di Meno, sia nelle iniziative come quelle ci saranno oggi in tutta Italia. In alcune città alle 11, nelle altre a partire dalle 15.
Qui l’evento Facebook per capire come e dove partecipare.
Tutte le foto dall’archivio DINAMOpress.