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MOVIMENTO
Comunicazione grafica nella scuola materna
È questa la “Nota” che Fachinelli scrisse per un testo nato dall’esperienza che Ida Travi fece presso la Scuola materna comunale di via Pastrengo a Milano: un esempio di metodo pedagogico non autoritario, di una comunicazione tra adulto e bambino che non fissa a priori le posizioni del potere
Ripensando al libro di Ida Travi, mi è venuta questa fantasia. Una giovane maestra d’asilo – potrebbe essere la stessa Ida – sta in una cella. Nella cella accanto sta un bambino. I due non possono comunicare direttamente; possono soltanto, quando l’occhio del carceriere non li vede, passarsi un foglietto attraverso le inferriate. Il bambino traccia un segno sul foglio, la maestra risponde con un altro segno. Così a poco a poco imparano a raccontarsi lunghe storie, che spezzano l’isolamento e la noia della prigione.
Se a celle isolate sostituiamo aule con quaranta bambini dai tre ai sei anni, la situazione tra maestra e bambino non cambia. Anche qui c’è divieto allo scambio, alla reciprocità. Ebbene, in questo stato che chiamerei di costante emergenza, «di fronte all’ultimo foglio e all’unica matita rimasta», Ida Travi ha trovato qualcosa su cui molti, e non solo psicologi, pedagogisti ecc., sono invitati a rispondere. Il bambino abbozza un disegno. La maestra lo continua. Il bambino riprende, e così via. Oppure: la maestra traccia un segno, il bambino comincia un racconto che va avanti liberamente, a fianco dei segni tracciati dalla maestra. Si potrebbe a questo punto immaginare un’altra situazione, in cui il bambino traccia un segno e la maestra racconta una storia, che segue, ma per suo conto, le peripezie del segno.
In tutti questi casi, il messaggio riesce ad attraversare le inferriate della separazione imposta; adulto e bambino parlano tra loro in una lingua che non è più, soltanto, quella dell’adulto, ma, anche, quella del bambino. Al posto del consueto stupore un po’ stolido, che presto volge in fastidio, di fronte alle “produzioni” infantili – si instaura qualcosa che ricorda, più che una comunità di lavoro, l’alternanza musicale di più strumenti. E questo è possibile, in quanto a ciascuno dei due strumenti è lasciata la sua voce peculiare, nella diversità delle entrate e delle uscite. In altre parole, tra adulto e bambino non è definita e fissata a priori la posizione del potere, ma esso passa dall’uno all’altro nella realtà dell’esecuzione.
In questo modo, si costruisce una conoscenza dell’altro, di ciascun altro coinvolto nella situazione, che merita attenzione. Dopo tutto, la fase più creativa della psicanalisi, e forse di ogni altro sapere “psicologico”, si è avuta nel momento in cui, più o meno esplicitamente, si è creato lo spazio per qualcosa di simile. Basta pensare alla regola delle cosiddette “associazioni libere” di Freud, che riguarda, oltre all’analizzante, anche l’analista (oggi lo si dimentica spesso). Oppure, basta pensare alla tecnica del gioco di Melanie Klein, che oggi sembra ridursi alla somministrazione di un codice rigido al bambino. E che invece, alla sua origine, deve pur essere stato un gioco sorprendente tra bambini chiusi in una loro prigione e una donna fantastica capace di leggerne i minuscoli messaggi e di rispondervi.
Nota a I. Travi, Un materasso che va a vapore. Esperienze nella comunicazione grafica nella scuola materna, La scimmia verde, Milano 1976, pp. 145-46.