CULT
Come si racconta un movimento al cinema? Una recensione del film su Non Una di Meno
La regista Maria Arena torna sul set con “Il terribile inganno”, un film che racconta il suo incontro con il movimento Non Una Di Meno. Martedì 19 aprile alle ore 21.00 la proiezione in sala a Roma presso il Nuovo Cinema L’Aquila insieme all3 attivist3 di Nudm
La regista Maria Arena torna sul set con “Il terribile inganno”, un film che racconta il suo incontro con il movimento Non Una Di Meno. Martedì 19 aprile alle ore 21.00 la proiezione in sala a Roma presso il Nuovo Cinema L’Aquila insieme all3 attivist3 di Nudm
A sette anni dal primo documentario dal titolo: Gesù è morto per i peccati degli altri, dedicato ai temi della transessualità, della prostituzione e dell’esclusione sociale, in questo nuovo film, la regista Mara Arena si mette in gioco in prima persona mentre segue per tre anni, con la telecamera sempre alla mano, il movimento di Non Una di Meno a Milano e nelle sue trasferte in occasione degli appuntamenti nazionali seguendo le mobilitazioni dal 2017 fino all’8 marzo 2020, caduto in concomitanza con il primo giorno di lockdown della pandemia da Covid-19.
Prodotto da Invisibile Film, il documentario è stato realizzato grazie a un crowdfunding sulla piattaforma Produzioni dal Basso con la collaborazione di Infinity Lab.
Il terribile inganno è un docu-film che prova a tessere le fila del movimento femminista italiano seguendo il doppio binario della testimonianza diretta, con riprese e interviste alle attiviste di Nudm e il racconto in prima persona della regista e autrice stessa, Maria Arena, cinquantenne siciliana a Milano, moglie, madre di due figli maschi e lavoratrice pendolare tra Milano e Catania. E del suo impatto con questa quarta ondata del movimento femminista nel mondo, in Italia incarnata da Nudm, provando a fare un bilancio, seguendo la pratica femminista del partire da sé, sull’essere donna oggi. Nella società patriarcale di oggi, con tutte le sue contraddizioni e le aspettative sui ruoli sociali che una donna è chiamata a rappresentare.
È emozionante perdere lo sguardo tra le immagini dell’immenso corteo nazionale a Roma del 2017 in occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, la marea umana di volti e corpi; il primo sciopero globale dell’8 marzo 2017 in sinergia con centinaia di altri paesi del mondo… Tra cartelli, striscioni, slogan che parlano da soli: “Lotto tutti i giorni”, “Il corpo è mio”, “My body my choice”, “Meno obiettori, più vibratori”. E voci: quelle di ragazze adolescenti in piazza con le amiche o con la loro madre, e donne che hanno partecipato al movimento femminista degli anni ’70, insieme a voci autorevoli come Lea Melandri.
«Il patriarcato non è finito? Ma evidentemente no, cioè se abbiamo bisogno di fare manifestazioni come questa ce n’è bisogno!», risponde una ragazza di 15 anni in piazza a Milano.
«Sorgono in me tante domande e decido di seguire il movimento femminista Non Una di Meno», ci racconta in voice over la regista Maria Arena che inizia a cercare in rete il sito e i social di Nudm, dove «la parola femminismo abbonda, mai avevo letto così tante volte questa parola, usata al presente e con un’accezione attuale».
Non Una di Meno: un movimento che sin da subito rappresenta una combinazione virtuosa e una alleanza effettiva tra diverse generazioni e tra diversi femminismi. Il nome stesso, mutuato da Ni una menos, ha anche il significato intrinseco di non lasciarsi da sole e isolare.
La telecamera dell’autrice documenta la mobilitazione territoriale milanese in occasione dello sciopero dell’8 marzo 2018 a fianco delle giornaliste del gruppo Condè Nast dopo la decisione «di mandare a casa in cassa integrazione a zero ore madri di famiglia» e delle lavoratrici del Grand Hotel et de Milan che avevano denunciato la propria condizione di lavoratrici a cottimo. E poi i presidi nei pressi dei tribunali con lo slogan «la donna violentata non è l’imputata. I panni sporchi si lavano in piazza», contro la rivittimizzazione secondaria nei tribunali dove la violenza subita torna a essere colpa della donna che l’ha denunciata.
Anche a Milano si era in piazza a seguito dell’appello a tutte le Reti Nudm di costruire presidi, azioni o volantinaggi davanti i Tribunali delle varie città, dopo la sentenza del febbraio 2017 del Tribunale di Torino che aveva assolto l’ex commissario della Croce Rossa, accusato di molestie e stupro da una dipendente interinale della Cri. Assolto perché se la donna «non ha urlato non c’è stata violenza».
Nel presidio documentato nel film facevano la loro comparsa dei cartelli con la nota opera di Edvard Munch “L’urlo”, accompagnata dallo slogan «lo stupro si misura in decibel?». «Per noi quando una donna dice no è no». Anche questa è Nudm, che ha la capacità di comunicare con i simboli della cultura mainstream occidentale per sovvertirne il senso.
Le attiviste intervistate in quella occasione parlano della Convenzione di Istanbul, primo trattato internazionale giuridicamente vincolate per gli stati che l’hanno ratificato, come di una «bussola, che però non viene applicata». E pensiamo anche alla recente decisione di Erdogan, che il 26 marzo scorso ha decretato l’uscita della Turchia dalla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. Pochi giorni dopo, anche la Polonia ha dichiarato di voler scrivere una Convenzione alternativa, basata sulla centralità della famiglia, con la proposta di estenderla ad altri paesi dell’Est europeo. Episodi che esemplificano il continuo attacco patriarcale contro le donne e le persone LGBT*QIA+. Ricordiamo, con l’occasione, la data del primo luglio 2021, prossima data di mobilitazione di Nudm che si unirà alle proteste in Turchia, nell’Europa dell’Est e non solo.
Nel film la telecamera della regista prosegue il suo viaggio in una scuola, dove è in corso un incontro di autoformazione con alcune attiviste di Nudm Milano e studentə su tematiche legate all’educazione sessuale e alla contraccezione e alla prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili. Perché in Italia è un tabù parlare di educazione sessuale e all’affettività, quando è lampante l’importanza della scuola e dell’università quali luoghi primari di contrasto alle violenze di genere.
Il documentario prosegue con il racconto della stesura e della pubblicazione nel 2017 del Piano femminista contro la violenza maschile sulle donne e violenza di genere scritto collettivamente dal movimento Non Una di Meno, a partire dalla elaborazione dei vari tavoli tematici. Un Piano che analizza a 360 gradi la questione strutturale della violenza di genere, che ha il suo apice nel femminicidio, ma che trae le sue origini nelle strutture della società italiana.
Nel film i fotogrammi del movimento femminista del presente si alternano con i dialoghi con due donne chiave e figure ispiratrici che si collocano agli albori del femminismo, ma che sono state “rimosse” dal pensiero illuminista e da quel modello di “civilizzazione” che ha plasmato l’idea di un Occidente che è andato ad identificarsi con i proclami universalizzanti della ragione autoriflessiva, dove l’ideale umanistico (dell’uomo bianco ed europeo) è andato trasformandosi nel modello culturale egemonico. Senza nessuno spazio per le nozioni della differenza.
Le figure del passato che interloquiscono con il presente sono Olympe De Gouges e Mary Wollstonecraft, interpretate da Emanuela Villagrossi e Federica Fracassi. Olympe De Gouges [1] pubblicò nel 1788 le Réflexions sur les hommes nègres in cui prendeva posizione contro la schiavitù e nel 1791, durante la Rivoluzione francese, la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, in cui dichiarava l’uguaglianza politica e sociale tra uomo e donna.
«Sono passati più di 200 anni e i tuoi scritti ancora non si studiano a scuola. Una memoria mutilata. Nel 1789 le donne avevano partecipato alla rivoluzione. Chiedevamo scuole per bambine, ostetriche. Credevamo che i diritti dell’uomo e del cittadino sarebbero state anche per noi e che quelle bellissime parole “diritti universali” ci includessero e invece no, ancora escluse. Mi chiedevo cosa succede quando una donna pretende quei diritti universali? Cosa succede quando le belle parole astratte incontrano un corpo di donna concreto? I suoi bisogni, i suoi desideri, ma forse ero fuori dal tempo, fuori da quel tempo rivoluzionario. Le rivoluzioni mentali sono lentissime». Queste parole di Olympe in voice over sono di Emma Baeri Parisi “storica femminista e femminista storica”. [2]
L’altra figura dialogante è Mary Wollstonecraft, autrice di Rivendicazione dei diritti della donna (1792), considerata la «madre simbolica del femminismo – quando il femminismo era ancora da venire e non ne esisteva neppure il nome» [3].
Il Terribile inganno del titolo è situato proprio qui, nelle note a margine dei sussidiari e dei libri di scuola che omettono intere parti della storia delle donne. Interi buchi nella formazione dei bambini e delle bambine che saranno gli adulti di domani.
L’occhio della telecamera alterna la gioia desiderante dei momenti di piazza e delle manifestazioni moltitudinarie, con la stanchezza nei pullman delle trasferte nazionali e con le vite precarie delle attiviste tra lavori, figli, relazioni che si destreggiano per arrivare in assemblea chiedendosi a che ora parte l’ultimo mezzo per ritornare a casa. E poi, posata la valigia, sedute sul divano a osservare il proprio “focolare domestico” tutto da (de)costruire. Perché dopo l’emozione della marea in piazza, lo stare insieme in tant*, si torna sempre a casa cambiate, con la consapevolezza che il femminismo non è un’etichetta o un’identità, ma è una pratica. Giorno dopo giorno nella propria vita precaria.
In questo docu-film, le immagini cristallizzate dalla macchina da presa diventano immediatamente materiale d’archivio per ripercorrere alcuni dei momenti principali del movimento femminista Non Una di Meno a 5 anni dalla sua nascita, nel 2016. Eh sì, già 5 anni sono passati e sembra solo ieri che ci si meravigliava della straordinaria potenza del grido collettivo di Ni una Menos dall’Argentina, che ci si interrogava su quali strumenti comunicativi interni ed esterni utilizzare, quali pratiche, modalità assembleari locali, territoriali, nazionali, transnazionali. E si continua a farlo. Ad interrogarsi, cambiate, trasformate, perché un movimento che ha l’ambizione di sovvertire l’esistente, e che ha posto al centro l’intersezionalità come pratica per immaginare forme di resistenza all’altezza dei dispositivi di controllo e di sfruttamento contemporanei, non può non continuare a farlo.
[1] Nel luglio del 1970 sui muri di Roma appare il manifesto della rivista “Rivolta femminile”, basato su un testo elaborato da Carla Lonzi, Carla Accardi ed Elvira Banotti che inizia con una citazione proprio di Olympe de Gouges: «Le donne saranno sempre divise le une dalle altre? Non formeranno mai un corpo unico?». (1791)
[2] La sua è una attenta rilettura della vicenda politica legata alla cittadinanza femminile a partire da Olympe de Gouges che «concettualizza un’idea di tutela priva di qualsiasi connotazione di mancanza, di inferiorità, di minorità e inventa un senso nuovo, universalmente valido infine, all’eguaglianza». (Citazione da Noi Donne, articolo di R. Marcodoppido)
[3] Adriana Cavarero dalla prefazione di Avere potere su se stesse: politica e femminilità in Mary Wollstonecraft (C. Cossutta, Edizioni ETS, 2020)
*Foto di copertina di Bruna Orlandi