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EUROPA
«Come in carcere»: per i lavoratori africani privazione di libertà e sfruttamento in Albania
Rimasta priva di lavoratori a causa dell’emigrazione domestica, l’Albania assume sempre di più mano d’opera a basso costo dall’Africa attraverso le pratiche illecite della restrizione della libertà, dello sfruttamento e dellla discriminazione
Dopo due mesi di lavoro in un resort turistico sul mar Jonio a Orikum[1], Ochen*, un’estetista di 30 anni proveniente da Kampala, Uganda, considera questa la sua peggiore esperienza lavorativa. Tornata in patria dopo tre mesi, è ancora irritata di ciò che le è successo quest’estate in Albania. «La vita lì è come in un carcere, eravamo come in carcere», ha dichiarato a BIRN[2] per telefono Ochen, nome cambiato su sua richiesta per tutelarla da problemi nel suo paese d’origine.
«Non avevamo neanche la carta d’identità, né permesso di lavoro, né passaporto, perché te li prendevano e quindi non potevamo muoverci», ha aggiunto con rabbia. Ochen è solo una delle centinaia di lavoratrici e lavoratori stranieri provenienti dal continente africano che sono arrivati quest’estate in Albania per coprire il fabbisogno di mano d’opera a basso costo causata dall’emigrazione domestica, soprattutto nel settore fiorente del turismo.
Anche se le è stato promesso un contratto di lavoro di un anno e una paga più alta che a casa, Ochen sostiene di essere stata costretta a ritornare indietro piena di debiti, «a causa della restrizione delle libertà e della discriminazione». La sua esperienza nel mercato albanese non è isolata.
BIRN ha intervistato un gruppo di lavoratori stranieri provenienti dall’Uganda e dalla Nigeria, i quali a loro volta hanno lamentato una restrizione illecita della libertà, sfruttamento con orario di lavoro prolungato e non pagato e anche discriminazione da parte degli imprenditori albanesi.
I lavoratori dai paesi dell’Africa pagano cifre che variano dai 1200 ai 2000 euro per conto delle agenzie del lavoro in cambio di contratti di lavoro di un anno e di permessi di soggiorno. Ma alcuni di loro hanno detto a BIRN di essere stati ingiustamente espulsi dal paese, mentre altri vivono con la paura dell’interruzione dei contratti e con il rischio di espulsione alla fine della stagione turistica.
Senza alcun appoggio in Albania, i lavoratori provenienti dall’Africa sono accorsi alle porte della Chiesa del Salvatore a Tirana per chiedere aiuto al suo direttore, il pastore nigeriano Prince C. Mazie, il quale vive da 16 anni nella capitale. «Ho decine di messaggi da lavoratori dall’Africa, India e altri luoghi che lamentano discriminazioni, restrizioni delle libertà e minacce continue di espulsione nei paesi d’origine dopo che l’azienda ha chiuso la stagione», ha detto Mazie per BIRN in un caffè vicino al Mercato Nuovo nel centro di Tirana.
«Questo è inumano. Se hai un contratto di un anno, almeno rispetta il contratto», ha aggiunto, sottolineando che il mancato rispetto dei contratti stava mettendo in pericolo i lavoratori stranieri provenienti dall’Africa. L’Ispettorato Statale del Lavoro e della Previdenza Sociale considera il trattenimento dei passaporti dei lavoratori stranieri da parte dei datori di lavoro come un reato penale simile al “sequestro di persona”, oppure alla “privazione illegale della libertà”, ma i suoi direttori hanno negato di aver ricevuto denunce di casi simili.
I funzionari hanno ammesso diverse violazioni del Codice del Lavoro, come il lavoro con ore straordinarie non pagate, ma hanno sottolineato che la stessa cosa avviene con i lavoratori albanesi.
«Un datore di lavoro corretto è corretto con entrambe le parti e chi tiene lavoratori albanesi in nero, fa lo stesso anche con gli stranieri», ha ammesso Irida Qosia, vice-direttrice dell’Ispettorato del Lavoro.
Red flag: Passaporti confiscati a Rinas[3]
L’Albania è uno dei luoghi più poveri dell’Europa e con guadagni medi pro capite di 8.251 dollari nell’anno 2023. Durante l’ultimo decennio, il paese ha perso il 60% della generazione vitale per il mercato del lavoro tra i nati nel periodo della caduta del comunismo nel 1990. Questo ha portato una forte mancanza di forza lavoro, soprattutto nel settore dei servizi. Indifferente alle ondate migratorie domestiche, il governo ha alleggerito, durante gli ultimi anni, le politiche di reclutamento per attirare lavoratori da paesi più poveri dell’Albania, come Bangladesh, Nepal, Filippine e i paesi africani.
In ogni caso, i lavoratori stranieri provenienti da questi paesi non sono ancora dominanti in Albania, anche se il loro numero è raddoppiato negli ultimi due anni. Secondo i dati INSTAT[4], il 70% degli stranieri che hanno chiesto il permesso di soggiorno nel 2023 in Albania provenivano da Italia, Kosovo, Turchia o altri paesi dell’Europa. Nello stesso periodo, sono state dotate di permesso di soggiorno 3.784 persone provenienti dall’Asia e 1.028 persone dall’Africa.
Il 9 ottobre, BIRN è stato informato tramite una e-mail anonima che 27 lavoratori dall’Uganda assunti quest’estate nel resort “Oricon Coast Luxury Resort” di proprietà di Hanxhari Group a Orikum venivano tenuti in stato di restrizione delle libertà e, secondo la denuncia, rischiavano di venire espulsi nel paese d’origine. La stessa e-mail è stata inviata a diverse istituzioni, inclusa la Polizia di Stato, l’Ispettorato Statale del Lavoro e della Previdenza Sociale, il Ministero degli Esteri e diverse organizzazioni non governative.
BIRN ha saputo anche che la pratica della restrizione delle libertà tramite il trattenimento del passaporto e il rischio di mancato rispetto dei contratti di lavoro va oltre una particolare azienda. Tre lavoratori dalla Nigeria, assunti nell’azienda di opere artistiche P&GG a Petrelë, Tirana, sono stati espulsi a settembre dall’Albania, indipendentemente dal fatto che avevano un permesso di soggiorno di un anno, mentre altri lavoratori dall’Uganda – dipendenti nel resort Grand Blue FAFA a Golem[5] hanno lamentato a BIRN di temere di essere allontanati dopo la chiusura della stagione turistica.
I lavoratori intervistati da BIRN separatamente, hanno dichiarato che i loro passaporti venivano sequestrati dai datori di lavoro non appena arrivati a Rinas.
A metà ottobre, l’hotel “Oricon Coast Luxury Resort” a Orikum aveva chiuso la stagione turistica e aspettava pochi clienti, principalmente nell’ambiente del bar. I lavoratori dall’Uganda che BIRN ha trovato vicino agli ambienti dell’hotel si sono lamentati che sono rimasti isolati per mesi di fila dentro il confine del resort e che non avevano alcun documento personale.
«Facciamo solo questo percorso», dice una lavoratrice 26enne, mostrando la strada dalla camera da letto nell’hotel fino al luogo di lavoro. Lamenta anche che durante la permanenza a Orikum sono tutto il tempo controllati. Se devono andare in banca, per trasferire i soldi alle loro famiglie a Kampala, qualcuno li accompagna portando i loro passaporti. Questo succede anche se devono recarsi dal medico.
I lavoratori si sono lamentati anche per le ore straordinarie non pagate, così come la discriminazione rispetto ai lavoratori albanesi. E ogni volta che si lamentavano – ha detto uno di loro – ricevevano le minacce «vi rispediamo in Africa». Circa 120 chilometri a nord di Orikum, un altro lavoratore proveniente dall’Uganda, dell’hotel “Grand Blue FAFA” a Golem, racconta di problemi simili. Il 30 ottobre ha riferito a BIRN che l’azienda gli aveva confiscato il passaporto fin dal momento del suo arrivo a Rinas.
«Noi lavoriamo dalla mattina alla sera, non abbiamo il tempo di cercare di riottenere i passaporti», ha lamentato durante una conversazione telefonica. Il blocco del passaporto da parte del datore di lavoro è considerato una “red flag” di una violazione molto pesante da parte dell’Ispettorato del Lavoro e va denunciato agli organi di polizia. Ma il capo di questo ispettorato, Eljo Muçaj, ha detto a BIRN che durante l’ispezione condotta all’“Oricon Coast Luxury Resort” dopo la denuncia, i dipendenti non hanno denunciato un simile fatto.
«Se non sono loro stessi a denunciare una cosa simile, praticamente è impossibile per un ispettore del lavoro durante un processo investigativo registrare che gli è stato trattenuto il passaporto dal datore di lavoro», ha affermato l’ispettore capo Muçaj.
Adjon Hanxhari, proprietario dell’hotel “Oricon Coast Luxury Resort” a Orikum ha negato le accuse e ha detto a BIRN, tramite un messaggio su WhatsApp. che è stato ispezionato da tre organi statali e non si è trovato riscontro di nessuna delle accuse contenute nella denuncia. «L’accusa di discriminazione sul lavoro è un’invenzione di un denunciante anonimo – ha detto Hanxhari – mentre la questione dei passaporti è stata chiarita».
«Per quanto riguarda l’accusa secondo cui l’azienda ha trattenuto ingiustamente i passaporti, questo è stato chiarito dalla nostra parte direttamente con i lavoratori che attualmente continuano a lavorare nel nostro gruppo», ha aggiunto. BIRN ha saputo che i passaporti sono stati restituiti il 22 ottobre, dopo il rapporto dell’ispezione guidata dall’Ispettorato del Lavoro. L’amministratore dell’hotel “Grand Blue Fafa” non si è reso raggiungibile per commenti fino alla pubblicazione di questo scritto.
Il pagamento “spropositato” per le agenzie di intermediazione
Sulla pagina Facebook dell’Unione Africana in Albania, un giovane proveniente dalla Liberia, uno stato consumato dalle guerre civili nell’Africa occidentale, scrive che da sei anni sogna di venire in Albania. Ma aggiunge che il sogno è stato impossibile, perché le agenzie per il lavoro gli chiedevano «pagamenti spropositati» che lo hanno scoraggiato. Centinaia di lavoratori dai paesi del terzo mondo, inclusi i paesi dell’Africa, hanno pagato cara la possibilità di lavorare in Albania, mentre affrontano l’insicurezza del rispetto dei contratti di lavoro.
Un 33enne proveniente dall’Uganda, con il quale BIRN ha parlato nel resort turistico a Orikum, ha detto di aver pagato 1.200 euro per l’agenzia – somma che secondo lui era sufficiente per pagare l’affitto di un anno di casa sua a Kampala.
Il suo problema principale è l’insicurezza del luogo di lavoro; ha detto di aver sentito dai lavoratori del resort che sarebbero stati rimandati in Uganda «una volta finito il lavoro».
Un altro lavoratore della manutenzione della spiaggia e della piscina dell’hotel “Grand Blue FAFA” a Golem ha detto a BIRN di aver pagato 7.5 milioni scellini dell’Uganda [circa 1900 euro] per l’agenzia di intermediazione e ora gli veniva richiesto di firmare le dimissioni. Aggiunge che dopo la fine del periodo di balneazione gli è stato chiesto di lavare i piatti e insiste di aver fatto tutti i lavori che gli sono stati chiesti. «Non ho ancora ricevuto quei soldi», e ora rischia di andarsene coi debiti.
Anche un suo collega nello stesso resort dice di aver ottenuto un prestito per pagare la somma di denaro per arrivare in Albania: «Non ho ancora saldato il debito, senza contare gli interessi del prestito». Tornata da tre mesi a Kampala, anche Ochen si lamenta di aver perso molti soldi dalla sua esperienza in Albania. Quando è arrivata a Orikum a giugno, ha trovato il luogo di lavoro ancora in via di costruzione e le è stato chiesto di fare altri lavori pesanti. Questo ha generato conflitto tra lei e il datore di lavoro.
«Ho pagato 2000 euro per lavorare lì, ma non ho ancora ricevuto neanche la metà, neanche un quarto dei soldi che ho speso, ho perso molti soldi», dice la donna, mentre ripete la richiesta di garantire l’anonimato, poiché «sono una donna povera e ho spesso bisogno di viaggiare in altri paesi per lavorare per mantenere i miei figli e chi ha potere mi può bloccare questa possibilità».
Irida Qosja, viceispettore capo dell’Ispettorato del Lavoro, sostiene che pagare per il posto di lavoro è illegale e per questi sospetti le agenzie di intermediazione sono soggette a indagine. In ogni caso, sottolinea che la documentazione di queste violazioni è difficile, perché i soldi possono essere pagati nel paese d’origine oppure in contanti. Qosja ha aggiunto anche che l’Ispettorato aveva le mani legate anche per la prosecuzione dei contratti, perché secondo lei è decisione del datore di lavoro e si lega alla performance lavorativa. «Siamo tutti soggetti alle valutazioni sulle prestazioni», ha concluso Qosja.
Sonila Sinaj di Albania Employment Solution, agenzia intermediaria del lavoro dei lavoratori provenienti dall’Uganda nell’”Oricon Coast Luxury Resort”, ha negato di essere a conoscenza di questi problemi: «Il modo in cui un’azienda concretamente tratta i lavoratori non fa parte del mio monitoraggio e per me è impossibile, fisicamente impossibile, seguire ogni caso fino all’ultimo trattamento. Fin dal momento in cui scendono a Rinas, subito e in modo diretto la responsabilità è del datore di lavoro»m ha aggiunto, suggerendo che le persone denunciassero le irregolarità alle autorità.
Violazione dei diritti umani
Dopo 16 anni di residenza a Tirana, il pastore Prince C. Mazie ha sensazioni miste riguardo l’Albania e il modo in cui il paese tratta gli stranieri, soprattutto quelli con origini africane. Ritiene che in Albania c’è meno razzismo e discriminazione rispetto a paesi come la Croazia o l’Ungheria; in 16 anni, dice, non è mai stato fermato da qualche poliziotto che gli chiedeva i documenti. Però diversa è la storia del figlio, alunno in una scuola di Tirana. Mazie ha detto a BIRN che il figlio una volta era stato investito senza motivo per strada e la persona che l’ha aggredito gli aveva detto di andarsene dal paese.
Per il pastore Prince C. Mazie, anche il comportamento degli albanesi verso gli emigranti è incomprensibile. Dice che spesso gli albanesi si lamentano del fatto di venire trattati male in altri luoghi dell’Europa, ma fanno la stessa cosa con i lavoratori stranieri. «Quello che semini raccogli, se trattate gli altri senza rispetto, che cosa vi aspettate?!» .
Il pastore Mazie dice che i business albanesi stanno sfruttando i lavoratori stranieri durante la stagione e dopo li abbandonano al loro destino, senza tenere in considerazione le peripezie che hanno dovuto passare per arrivare in Albania. Racconta alcuni esempi concreti per spiegare la sua posizione, quando i lavoratori stranieri erano stati licenziati dopo due mesi di lavoro ed erano rimasti per strada senza guadagni e senza possibilità di ritornare a casa. «Ho messaggi dove alle persone sono stati promessi stipendi da mille euro e poi, quando arrivano, lavorano due mesi e vengono abbandonati. Alcune di queste persone si indebitano, vendono le proprietà e ora non sanno più dove fare ritorno», specifica il pastore sottolineando anche che gli emigranti avevano paura di reclamare, soprattutto quando non avevano i documenti e non avevano chiaro quale fosse la loro situazione legale.
Un 29enne proveniente dalla Nigeria, che ha chiesto di venire identificato come Big J, ha detto a BIRN di essere arrivato con grandi speranze in Albania, ma è rimasto fortemente deluso. Accusava inoltre i suoi datori di lavoro, l’azienda dei lavori artistici P&GG con sede a Petrelë, di averlo espulso insieme as altri due lavoratori dopo una vertenza, anche se possedeva un permesso di soggiorno di un anno. Aveva inoltre affermato che durante l’allontanamento era presente anche la polizia.
Big J. ha detto anche che la sua espulsione era avvenuta dopo che un’altra lavoratrice del Kamerun era stata allontanata dal lavoro.
«Se n’è andata di notte, senza alcun documento, per paura che la espellessero», dice il 29enne. BIRN ha confermato in maniera indipendente che la ragazza era ospitata in un centro di protezione dalla tratta in Albania.
Il caso è stato indagato dall’Avvocato del Popolo[6] dopo una richiesta da parte di Andi Rabiaj, direttore esecutivo di Youth Voice Network of Organisations[7] in Albania, il quale è stato messo al corrente da un volontario dall’Africa vicino alla sua organizzazione. Rabiaj ha detto a BIRN che ciò che è successo è una grave violazione. “Una violazione totale dei diritti umani. Ai datori di lavoro viene dato il diritto di rimandarli indietro nel caso in cui non gli piace un lavoratore. Questo è assurdo, non è un articolo che hai acquistato e poi lo restituisci».
L’indagine dell’Avvocato del Popolo non ha scoperto molto. La polizia ha negato di aver preso parte all’espulsione, anche se ha ammesso, secondo la risposta che Rabiaj ha messo a disposizione a BIRN, di aver ricevuto notifica e richiesta dall’azienda per annullare il permesso di soggiorno, accompagnandola anche con i biglietti di rimpatrio.
L’amministratore dell’azienda P&gg, Gentian Dallashi, ha dato la colpa ai lavoratori provenienti dall’Africa per il conflitto creatosi, accusandoli del fatto che «non lavorano, mentono e sono stati violenti». Ammette l’espulsione, ma insiste sul fatto che fosse giusta , dato lui li aveva fatti venire in Albania accollandosi le spese. «Sono mia responsabilità, li ho portati dalla loro casa d’origine. I soldi li ho pagati tutti io», ha detto Dallashi, utilizzandpo un linguaggio esplicitamente razzista verso i lavoratori espulsi. «Se adesso vogliono che ritornino, l’Albania non è mia», ha concluso.
L’articolo è stato pubblicato in origine nel sito in lingua albanese Reporter.al, una produzione di BIRN Albania. Traduzione e copertina a cura di Xhejn Xhindi per Dinamopress.
[1] Città costiera all’estremo sud della baia di Vlora.
[2] Balkan Investigative Reporting Network, organizzazione non-profit di tutela del giornalismo investigativo basata a Tirana, che ha prodotto l’articolo qui tradotto.
[3] Aeroporto internazionale di Tirana.
[4] Istituto albanese di statistica
[5] Città costiera circa all’altezza di Tirana.
[6] L’ufficio albanese del difensore civico, un ente di consulenza giudiziaria per il pubblico.
[7] ONG per i diritti dei giovani.