ROMA
Città Vuota
Dove è stato ucciso Roberto Scialabba e il primo centro sociale romano.
Roma. Cinecittà è un quartiere relativamente nuovo. La piazza principale, Don Bosco, è stata realizzata solo da poco più di cinquant’anni, nel 1961, quale terminale a contenere un’ espansione edilizia concretizzatasi in grandi immobili residenziali. A dispetto dell’ancoraggio lineare rappresentato dalla via Tuscolana, è stato proprio questo aggiungere casa a casa in modo affastellato a definire, come sviluppo a “macchia d’olio”, la forma propria d’espressione dell’urbanistica romana.
Fino alla fine degli anni 70, Roma finiva in questa piazza, contenuta dalle perimetrazioni del Piano Regolatore del 1931 che individuava nella circonvallazione sub augusta (oggi via Palmiro Togliatti) la linea di confine per l’espansione del tessuto edilizio. A partire dal primo dopoguerra, grazie a disinvolte interpretazioni edilizie, al posto delle previste piccole palazzine divise da giardini, furono tirati su palazzi “intensivi”. Simili a quelli che, negli anni precedenti la guerra, si erano addensati l’un l’altro a partire dalle mura di San Giovanni a cavallo della via Appia.
Sfruttando scientificamente il massiccio intervento di edilizia residenziale pubblica (Ina casa) che aveva provveduto a dotare l’area delle opere di urbanizzazione e il fatto che la quasi totalità dei terreni fossero di proprietà di un paio di famiglie, il costruire rappresentò un facile e sicuro esercizio di rendita. I proprietari dei terreni, senza far nulla, dividevano in lotti vendendo ai costruttori (per lo più improvvisati) pezzi e brandelli del loro patrimonio. Quest’ultimi, a loro volta si trovavano a realizzare immobili in zone già dotate dei servizi generali. Una febbre edilizia continua, alimentata, proprio, dalla possibilità di offrire case dotate dei servizi generali il cui costo di realizzazione era destinato a gravare pressoché esclusivamente sull’intervento pubblico che doveva assicurare acqua, luce, gas, linee di trasporto ai propri interventi che venivano a lambire, loro pubblici, le aree di confine degli interventi privati.
Scomparsi giardini ed ogni elemento di verde naturale, alla fine degli anni 70, il Tuscolano raggiunge la densità abitativa record di 1200 abitanti per ettaro in una città dove, e solo in alcuni quartieri, non si andava oltre le 100 unità. La storia del centro sociale, lo Stabile Occupato, di via Calpurnio Fiamma nasce in questo contesto andando a “recuperare” una sorta di fossile edilizio, sopravvissuto miracolosamente, come una fessura, lungo la barriera di cemento che, a partire dalla Tuscolana giorno dopo giorno sommava stanze a stanze addossandole le une alle altre.
Un casale presente nell’immaginario di molti per essere stato teatro dello scontro a fuoco nell’aprile del 1944 tra gli uomini della banda del Gobbo e soldati tedeschi e per aver poi, per ancora molti anni, continuato a ospitare una trattoria. Abbandonato per lungo tempo, nell’ottobre del 1977, viene occupato da militanti di Democrazia Proletaria a cui ben presto si unirono giovani di Lotta Continua e studenti del vicino istituto Giovanni XXIII, dando vita, di fatto, al primo centro sociale romano.
Luogo d’incontro del proletariato giovanile e di sperimentazione di nuove forme di aggregazione, ma anche, allora una novità, centro di un ‘inedita attività di inchiesta urbanistica su cosa sarebbe accaduto al quartiere, con la realizzazione dello SDO. Proprio il faraonico sistema direzionale che avrebbe dovuto essere realizzato tutto intorno con il trasferimento di uffici e ministeri dal centro e dando via a una valanga di espropri per cui non veniva dall’amministrazione comunale di “sinistra” nessun tipo di chiarimento all’infuori della promessa di un futuro piano. Questo, e non solo, iniziò a creare qualche problema con la vicina sezione del Partito Comunista, ma la notizia che oltre le forme di “resistenza urbana” in atto in varie parti della città fatte di autoriduzioni degli affitti, delle bollette delle utenze, di occupazioni abitative, lì a Cinecittà – dove si arrivava con il tramvetto blu della Stefer, dove la Tuscolana bisognava guadarla su passerelle gettate sugli scavi per una metropolitana ancora da venire – c’èra un luogo “liberato” fece subito il giro della città.
Troppo per una Giunta municipale (Argan sindaco) che più volte tentò di cacciare gli occupanti con la forza da quello stabile. Lo trovarono vuoto, perché sgomberato proprio qualche ora prima, i neofascisti che la sera del 28 febbraio del 1978 cercavano il morto. Loro però non rinunciano ai loro propositi vogliono compiere il “ lavoro”. Roberto Scialabba viene ucciso poco distante nei giardini della piazza di Don Bosco. La piazza più metafisica di Roma, dove le case sono sostenute da portici, le finestre sono buchi disposti lungo nastri continui, una grande cupola è posta al centro preciso del quadro prospettico, la campagna che sta (stava) a pochi metri, ridotta a simulacro con patetici prati e siepi, e costretta in quel maledetto giardino dove è stato ammazzato Roberto.
Il casale di Calpurnio Fiamma venne subito di nuovo occupato e continuerà a vivere fino al 1979. L’anno dell’esplosione delle manifestazioni dell’estate romana, del festival dei poeti, dei giovani sulla spiaggia di Capocotta. Prima di tutto ciò, però, i giovani del proletariato giovanile, gli attivisti di Cinecittà, una mattina, hanno visto con ruspe e pale meccaniche demolire la loro casa, ma non il ricordo di Roberto. Più tardi su quell’area venne ricostruita la sede di una banca.
Al cinema, in quel periodo, vedevamo Ecce Bombo dove trovavamo le stesse domande che ci ponevamo l’un l’altro per capire che cosa ci stava accadendo. Ma ho sempre pensato, chissà perché, e ancora continuo a pensare che Mina non casualmente incise, proprio allora, dopo quindici anni, una nuova versione di “ It’s lonely town” di Gene Mc Daniels. In Italiano: città vuota.