ROMA

Cinecittà Film Festival, piccolo grande miracolo dell’estate romana

Oggi è l’ultimo giorno utile per affacciarsi al Cinecittà Film Festival, che alla sua quinta edizione porta il cinema, la cultura e la politica gratuitamente nel Parco degli Acquedotti. Il Festival nato dalle lotte dei lavoratori degli Studios continua a costituire uno strumento per rivendicare ed affermare la cultura come bene comune

Il sole tramonta dietro l’acquedotto romano e si accendono le luci ai lati dell’americana. Il dibattito si avvia alla conclusione, i fonici allestiscono casse e proiettore, il telo viene tirato su e il pubblico prende posto sulle sedie: lo spettacolo sta per iniziare.

È il Cinecittà Film Festival: arena estiva nella suggestiva cornice del Parco degli Acquedotti, a due passi dalla storica cittadella del cinema romano. Un festival che quest’anno giunge alla sua quinta edizione e si conferma appuntamento sentito e apprezzato da tutto il quadrante, che ne affolla le proiezioni dal pomeriggio fino a notte fonda. Un evento culturale a ingresso rigorosamente gratuito, totalmente autorganizzato e autofinanziato dalla Rete Territoriale Cinecittà Bene Comune, che nel tempo è stato attraversato da artisti del calibro di Citto Maselli, Ettore Scola e Dario Argento.

 

Un festival di lotta

Un festival dal basso, dunque, ma soprattutto un festival di lotta. L’idea nasce nella primavera del 2014, quando la vertenza dei lavoratori degli Studios di Cinecittà, in mobilitazione permanente da oltre due anni, giunge a un punto critico.

«C’è bisogno di un ulteriore sforzo da parte di tutti quelli che vogliono salvare Cinecittà. Oltre a contrastare il piano di Abete, dobbiamo cominciare a scrivere un “contropiano” per il rilancio di Cinecittà Studios che parta dalla vera natura di questo sito produttivo, conosciuto in tutto il mondo, rilanciando l’attività dell’industria cinematografica e incentivando l’ammodernamento delle attrezzature e delle strutture»: così recitava il primo comunicato del festival.

La disastrosa gestione privatistica degli Studios stava infatti portando allo smantellamento dei teatri di posa e delle sale di restauro dei film in pellicola, mettendo a rischio oltre trecento posti di lavoro. Da quando il Mibact aveva appaltato la gestione degli Studios a Luigi Abete nel lontano 1997, la Fabbrica dei Sogni di felliniana memoria aveva visto calare i suoi introiti e diminuire costantemente le produzioni, tanto da spingere Abete e soci a invertire la rotta progettuale di centottanta gradi: il famoso brand di Cinecittà, in tutto il mondo sinonimo di grande cinema, sarebbe dovuto passare da polo produttivo a polo turistico e museale, da fabbrica del cinema ad albergo, ristorante e beauty farm.

 

Una conversione in senso, appunto, privatistico, che mirava a fare cassa sul nome di Cinecittà senza però restituire nulla alla cittadinanza o a chi quel nome lo aveva fatto grande, cioè i lavoratori degli Studios. Una deriva che non era certo nelle corde degli abitanti del quartiere che ne porta orgogliosamente il nome: e proprio da questa battaglia, dagli ottantacinque giorni di occupazione degli Studios  nell’estate 2012, è nata la Rete Territoriale Cinecittà Bene Comune, che oggi organizza il festival e opera su tutto il territorio del VII Municipio appoggiando vertenze sindacali e difendendo i beni comuni.

Anni di manifestazioni, sit-in, tavoli e incontri e soprattutto di mobilitazione costante, attiva, capillare e creativa sono riusciti nell’obiettivo, salvando i posti di lavoro e festeggiando, nell’estate del 2017, la meritata vittoria, con gli Studios finalmente ripubblicizzati.

 

Un programma che guarda al futuro

 Ma la vittoria non ha certo fermato il festival: nato dalle lotte dei lavoratori, continua la sua battaglia per la difesa dei beni comuni e il rilancio economico e culturale del territorio.

A partire dalla programmazione, che ha deciso di dare spazio come film in concorso alle opere prime o non distribuite di autori e autrici emergenti, sottolineando come l’industria del cinema in questo paese abbia bisogno, per conoscere una nuova fase di crescita e rinnovamento profondo dei suoi meccanismi produttivi. E ancora con dibattiti, documentari, momenti di discussione e confronto tra lavoratori del cinema e territorio, per stimolare la conoscenza e la partecipazione attiva, intessere nuove reti, e costruire occasioni di rilancio produttivo per il tessuto sociale di Cinecittà.

Non a caso la presentazione del programma del festival quest’anno si è svolta proprio davanti ai cancelli degli Studios, dove una delegazione della Rete Territoriale ha ottenuto l’incontro con il presidente dell’Istituto Luce, attualmente al timone della Fabbrica dei Sogni, per chiedere l’accesso gratuito al comparto museale degli Studios almeno una volta l’anno. Si tratta certo di un piccolo passo, ma che nelle intenzioni della Rete prelude a un generale ripensamento delle connessioni tra il grande polo produttivo e il territorio, inteso anche come centri di formazione (Centro Sperimentale di Cinematografia, Scuola Gian Maria Volontè) e sale cinematografiche (Atlantic e Maestoso in primis).

 

 

«Una risposta concreta al persistente vuoto di offerta culturale di cui soffrono i quartieri popolari della capitale», dunque, che usa gli strumenti del cinema e dell’arte per affrontare grandi temi politici ed economici senza paura delle contraddizioni che la stessa arte è in grado di svelare. Antidoto alla disillusione e all’imbarbarimento, il Cinecittà Film Festival continua la sua lotta per una città più ricca e inclusiva, dando vita anche quest’anno a un piccolo grande miracolo che illumina le notti dell’estate romana.