ROMA
Chiusura dei “nasoni”: un’iniziativa cinica e inutile
A proposito della progressiva chiusura delle storiche fontanelle romane, avviata alcuni giorni fa dalla Giunta Raggi.
I dati che stanno circolando sui media in questi giorni (diminuzione della disponibilità d’acqua, crollo delle precipitazioni e delle portate di fiumi e sorgenti, aumento delle temperature medie, diminuzione del livello dei laghi) fanno emergere in tutta la sua drammaticità l’acuirsi di una crisi idrica che, anche nella città di Roma, viene da lontano.
Una crisi che è il risultato del matrimonio tra il ciclo dell’acqua e il ciclo economico, dovuta ad una scarsità “man-made”, cioè prodotta dall’uomo. Per cui all’emergenza climatica globale si somma una decennale mancanza di pianificazione e investimenti infrastrutturali legata alla politica monopolistica e privatistica di ACEA che sottomette l’acqua alle regole del mercato, del profitto e della concorrenza.
Purtroppo il dibattito che si è sviluppato si basa su dati che non rispettano la realtà dei fatti e si serve dell’emergenza idrica come alibi per giustificare iniziative che risultano inappropriate, inefficaci e perfino ciniche.
In questo senso appare assurdo individuare una possibile soluzione nella chiusura dei “nasoni”.
Innanzitutto va denunciato come l’imposizione di una scelta del genere provochi drammatiche e preoccupanti conseguenze per le fasce più deboli della popolazione, a partire dai senza fissa dimora per i quali i “nasoni” costituiscono l’unica fonte di acqua necessaria alla sopravvivenza configurando così una lesione del diritto umano universale all’accesso all’acqua. Inoltre, i “nasoni” sono fonte di approvvigionamento per decine di migliaia di persone che, in alternativa, sarebbero costrette ad acquistare acqua in bottiglia aggravando l’impatto ambientale derivante dalla plastica da smaltire. In ultimo, come non tenere conto che le fontanelle romane sono spesso le uniche fonti di approvvigionamento per molte attività economiche, ad esempio per i mercati rionali.
Da questo punto di vista considerare questi come effetti collaterali ineluttabili ci dimostra il cinismo con cui si assumono alcune decisioni in città.
Ma in questa vicenda diverse altre cose non tornano. Per cui ci preme segnalare alcuni fatti e dati utili a comprendere di cosa si parla.
L’approvvigionamento idrico della città di Roma è, sostanzialmente, garantito da 5 sistemi acquedottistici per un totale di 21,1 mc/s (metri cubi al secondo) di media, con possibilità di arrivare fino ad un massimo di 24/25 mc/s:
– Peschiera-Le Capore: portata media pari a 13,5 mc/s, rispettivamente 9 mc/s per il Peschiera e 4,5 mc/s per Le Capore;
– Acqua Marcia: portata media pari a 4,5 mc/s;
– Nuovo Acquedotto di Bracciano – NAB: portata media pari a 1,1 mc/s;
– Acquedotto Vergine: portata media pari a 0.4 mc/s;
– Acquedotto Appio-Alessandrino: portata media pari a 1,6 mc/s.
(dati Acea Ato 2 S.p.A. del 23/5/2017, il documento è scaricabile al seguente link).
Il 26 giugno si è riunito l’Osservatorio Permanente Usi Idrici del Distretto Appennino Centrale a cui partecipano: Ministero dell’Ambiente, l’Autorità di Distretto, le Regioni interessate, il dipartimento della Protezione Civile, gli Enti d’ambito del servizio idrico integrato, i gestori (tra cui Acea Ato 2 e Acqua Latina), l’ANBI (Associazione Nazionale Consorzi di gestione e tutela del territorio e acque irrigue) e Assoelettrica (Associazione Nazionale delle Imprese Elettriche).
Questo è il comunicato diffuso al termine della riunione in cui in estrema sintesi:
– si è deciso di ridurre a 1.300 l/s il prelievo di Acea Ato 2 dal lago di Bracciano, invece dei 1600-1800 programmati per giugno e luglio;
– si è approvata la decisione della Regione Lazio di aumentare il prelievo dal Pertuso (acquedotto Simbrivio che approvvigiona soprattutto la zona dei Castelli) a 190 l/s;
– si è deciso di implementare la ricerca delle perdite su Roma;
– si è discussa della misura già in atto, ovvero la sostituzione di cinquanta chilometri di condutture a Roma;
– si è discusso della possibile chiusura dei nasoni a Roma (misura caldeggiata dal Ministro Galletti);
– si è “ricordata” alla Regione Lazio l’urgente necessità di provvedere all’esercizio dei poteri sostitutivi nei riguardi di quei Comuni che ancora non hanno trasferito gli impianti al gestore unico.
Il 29 Giugno il Presidente di Acea Ato 2 S.p.A. Saccani ha inviato una lettera alla Sindaca Raggi con cui ha comunicato “l’intenzione di attuare a decorrere dalla prossima settimana la chiusura temporanea e graduale di parte delle circa 2.800 fontanelle pubbliche” su Roma.
Obiettivi dichiarati:
– ottenere “una drastica riduzione delle portate erogate”, pur lasciando aperte quelle dove si effettuano prelievi per la potabilità;
– contenere il più possibile il prelievo dal lago di Bracciano.
Saccani si dice consapevole dei disagi che tale iniziativa può provocare, ma confida nella comprensione della Sindaca e in quella dei cittadini romani.
Ora, viste le drammatiche e preoccupanti conseguenze derivanti dalla chiusura dei nasoni in periodo estivo (rischio emergenza sanitaria, lesione del diritto umano universale all’accesso all’acqua) quali sarebbero i mirabolanti vantaggi che giustificano tale iniziativa?
I nasoni censiti su Roma sono circa 2.800 ed erogano in media circa 196 l/s di acqua (ossia 0,19 mc/s), ogni singolo “nasone” circa 0,07 l/s.
Se si chiudono gran parte dei nasoni, ovvero orientativamente 2.700:
– potenzialmente si riduce l’erogazione dello 0,9 % rispetto alla quantità d’acqua totale che arriva a Roma ogni secondo (21,1 mc/s). Quindi è evidente che non si ottiene “una drastica riduzione delle portate erogate”.
– “in teoria” si potrebbe ridurre il prelievo dal lago di Bracciano di circa il 14%. Quindi ben al di sotto del 20% dato che attualmente si indica come necessario per limitare la crisi del lago.
A questo punto la domanda sorge spontanea:
perché non si è presa in considerazione l’istallazione di rubinetti sui circa 2.800 “nasoni” presenti a Roma?
In fondo si tratterebbe di un investimento di poche migliaia di euro rispetto agli utili di decine di milioni di euro che annualmente produce Acea Ato 2 S.p.A. (circa 70 mln di € nel 2015) che per la quasi totalità (circa 90 %) non sono reinvestiti ma prelevati come dividendi dalla casa madre Acea S.p.A.
In tale scelta si può parlare di complicità dell’Amministrazione perchè fino ad oggi non si è levata una sola voce critica, ne dalla Giunta o tanto meno dalla maggioranza a 5 Stelle.
Formalmente è vero che la decisione spetta al gestore, ma è possibile che l’Amministrazione comunale, essendo il socio più importante dell’azienda, subisca passivamente una scelta con implicazioni etiche, materiali e perfino simboliche tanto grandi senza eccepire alcunchè o fare un approfondimento per verificarne la reale efficacia?
Figuriamoci cosa potrà accadere quando Roma Capitale venderà le proprie quote (3,5%) di Acea Ato 2 S.p.A., e controllerà l’azienda solo indirettamente per tramite della casa madre Acea S.p.A., così come dichiarato pubblicamente a mezzo stampa dall’ingegner Paolo Simioni, coordinatore del gruppo di lavoro sulle società partecipate presso l’omonimo assessorato guidato da Colomban.
Evidentemente la chiusura dei “nasoni” ha permesso di dare un segnale forte, prettamente mediatico: piglio deciso e pugno duro contro gli sprechi anche se si lede un diritto universale!
Se questo è il nuovo corso di Acea c’è da rabbrividire.
Inoltre, sempre in questi giorni si sta facendo circolare il seguente dato: risparmio di 0,5 mc/s a seguito degli interventi sulle reti effettuati negli ultimi 45/60 giorni.
Ammettendo che le perdite a Roma sono di circa il 40 %, tale risparmio corrisponde a circa il 2,4 % di riduzione delle perdite. Se fosse vero, sarebbe un vero e proprio record di efficienza che in un anno porterebbe Roma al pari di altre città del nord Italia.
In realtà questo dato è una stima dei benefici che si potranno avere solo ed esclusivamente al termine di una serie di interventi programmati e attualmente in corso così come indicato dai dati Acea Ato 2 S.p.A. Del 23/5/2017.
Per cui si distorce la realtà dei fatti sostenendo che già in questo momento si risparmiano 0,5 mc/s.
In sostanza ancora una volta si strumentalizza l’emergenza per altri fini che poco hanno a che vedere con la tutela del bene acqua e dei diritti della collettività.