ITALIA
«Centralità alla scuola»: sessanta piazze in tutta Italia
Manifestazioni e presidi in 60 città italiane a cui hanno aderito 48 fra collettivi, gruppi e coordinamenti a rappresentare docenti, personale scolastico, genitori e studenti: alle 18 di oggi una molteplicità composita animerà le piazze per denunciare le criticità del Piano Scuola 2020-21
Si chiama “Piano Scuola 2020-21”, ma di un percorso pianificato e concordato collettivamente sembra avere ben poco. Le linee guida che dovrebbero accompagnare la riapertura degli istituti scolastici a settembre e che hanno iniziato a circolare ieri in forma di bozza saranno infatti duramente contestate durante la giornata di oggi, con manifestazioni e presidi in 60 città italiane a cui hanno aderito 48 fra collettivi, gruppi e coordinamenti a rappresentare docenti, personale scolastico, genitori e studenti.
«Le varie anime che compongono la realtà scolastica hanno capito che è il momento di unirsi», commenta Maddalena Fragnito di Priorità alla Scuola, il comitato che ha indetto la protesta assieme ad Apriti Scuola. «Le bozze del Piano Scuola dimostrano che avevamo ragione a dubitare delle intenzioni del governo. L’educazione sta per essere sacrificata sull’altare della produttività e degli interessi di gruppi privati che già da tempo stanno provando a far profitti in questo settore, dalle piattaforme di comunicazione digitale a realtà del terzo settore. Ma, soprattutto, manca un’assunzione di responsabilità unitaria: le misure per la ripresa in sicurezza vengono scaricate sui singoli istituti, facendo passare il tutto come una concessione di autonomia».
Dai sindacati di Flc-Cgil o Cobas Scuola e Usb, ai collettivi che riuniscono insegnanti come il Cidi – Centro di Iniziativa Democratica degli Insegnanti o il Mce – Centro di cooperazione educativa, ai gruppi nati in concomitanza all’emergenza sanitaria come la rete Scuola e Bambini nell’Emergenza Covid-19 o il comitato No Dad – Settembre in aula, fino al movimento transfemminista Non una di Meno, alle 18 di oggi ci sarà dunque una molteplicità composita ad animare le piazze e denunciare le criticità del Piano Scuola 2020-21.
Una molteplicità che è andata formandosi e arricchendosi di nomi, persone e proposte nel corso degli ultimi mesi a partire dalla lettera aperta alla Ministra della Pubblica Istruzione del 18 aprile, che chiedeva maggiore attenzione alle esigenze di studenti e studentesse e che raccolse decine di migliaia di firme e adesioni.
«Si è trattato di un processo non facile», aggiunge ancora Maddalena Fragnito, «ma che alla fine ha permesso di costruire un movimento trasversale e sempre più unito, che prova a mettere al centro le reali esigenze di quante e quanti si trovano dentro il mondo dell’educazione. Il fatto è che la scuola rappresenta un pilastro del welfare e incrocia dunque bisogni ed esigenze di tutte e di tutti. Quello che emerge dalle bozze che hanno circolato ieri, però, fa pensare che il governo non sia intenzionato ad assegnarle la centralità dovuta in vista della riapertura a settembre».
In particolare, viene contestata la scarsità di fondi destinata al settore per la ripartenza: il comitato Priorità alla scuola chiede che il 15% dei 172 miliardi che dovrebbero arrivare dal “Recovery Plan” europeo siano destinati all’istruzione.
Allo stesso modo, si chiede anche di riservare alla scuola il 10% della spesa pubblica, a fronte dei tagli che sono stati invece messi in atto con le riforme Gelmini e “Buona Scuola”. Ma non solo: la carenza di risorse economiche fa il paio con la questione dell’individuazione e del mantenimento di vecchi e nuovi spazi in cui svolgere le lezioni in sicurezza. Questione che – denuncia il comitato – viene lasciata quasi in toto a soggetti privati e del terzo settore, che vedono nell’emergenza sanitaria un’occasione per aumentare i propri profitti.
Infine, anche se non in ordine di priorità, viene posto l’accento sulla condizione di docenti e personale Ata, sempre più caratterizzata da precarietà e instabilità lavorativa: elemento che nel corso degli anni ha portato ad avere classi sempre più numerose e “sovraffollate” rispetto alla sostenibilità del carico educativo e organizzativo.
«Ciò che intendiamo fare è ribaltare il punto di vista del governo», conclude Maddalena Fragnito di Priorità alla Scuola. «La scuola non è in contraddizione con la sanità, come hanno provato a sostenere dall’inizio della pandemia. Al contrario, noi crediamo in un diritto all’educazione che sia parte integrante del diritto alla salute. La scuola, cioè, dovrebbe tornare a essere un presidio sanitario a tutto tondo, come lo è stata per la battaglia contro la tubercolosi o esperienze simili. Ciò non sarà possibile se si continua a porre l’accento sul profitto e sulla produzione, invece che sul lavoro di cura e di ri-produzione».
Una delle tematiche sollevate dalle manifestazioni di oggi, ma in generale da tutto il percorso di critica alle politiche governative sull’educazione durante l’emergenza, è appunto relativa alle problematiche di genere sottese all’utilizzo della didattica a distanza.
«Il lavoro di cura è strutturalmente sotto-finanziato in Italia», sottolinea Serena Orazi, che oggi interverrà dalla piazza romana per Non una di Meno e per il collettivo di insegnanti Cattive Maestre. «Uno dei punti maggiormente inaccettabili delle bozze del Piano Scuola è che la didattica a distanza viene quasi vista come una soluzione, che può far risparmiare tempo, soldi, etc.
In realtà, oltre a essere una misura emergenziale che sino a ora ha peraltro escluso tantissimi studenti e tantissime studentesse dall’educazione, si tratta di uno strumento che scarica sulle donne un grande peso di lavoro. In questo senso, un approccio femminista al problema diviene centrale. La scuola, cioè, dev’essere secondo noi considerata per quello che è: un istituto di cura».
Foto di copertina: Jacopo Natoli