ITALIA
Cancellate la parola scuola dai programmi elettorali
Dopo 20 anni di riforme scellerate, la scuola italiana si presenta ora come un mostruoso Frankenstein nel quale convivono arcaismi e spirito manageriale. Leggendo i programmi elettorali, sembra che la classe politica italiana si appresti a sfoderare altre stupefacenti riforme
Un Frankenstein assemblato con pezzi di De Amicis e Marchionne. Arcaico e manageriale! Così si presenta il sistema scolastico italiano all’esito degli interventi attuati dai ministri Berlinguer, Moratti e Gelmini. Il colpo di grazia è stato inferto dalla gestione Renzi. Per effetto della riformite, la malattia che rende ancora più spocchiosa la classe politica italiana, negli ultimi 20 anni la scuola pubblica è stata stravolta. Oggi scimmiotta l’azienda privata però è alimentata con denaro pubblico. Non che prima, dal secondo dopoguerra in avanti, fosse un modello perfetto, infarcito com’era di autoritarismi e false spinte progressiste. Nella sostanza, le prassi della pedagogia eretica hanno attecchito solo in tempi e territori limitati. E come avrebbero potuto, in una cultura imperniata sul potere del denaro e dell’immagine? Comunque di fatto in questi due decenni la situazione è peggiorata. Stracarica di burocrazia, la scuola è divenuta invivibile. Lo è per insegnanti e studenti che dovrebbero esserne linfa vitale. Il dramma è che non è finita: partiti e movimenti politici si apprestano a sfoderare nuove mirabolanti riforme. È sufficiente dare un’occhiata ai loro programmi elettorali.
Non sarebbero malvagie certe proposte avanzate dai 5stelle: “Tetto massimo di alunni fissato a quota 22 in ogni classe”, meno potere ai dirigenti ma “aumento del numero dei presidi” a copertura dei plessi lasciati sguarniti dalle forbiciate dei governi di centrodestra, “stop al sistema degli appalti dei servizi di pulizia” e manutenzione non più affidata alle ditte esterne che sfruttano migliaia di ex lavoratori socialmente utili; “abolizione dei finanziamenti statali alle scuole paritarie”. In realtà alcune delle proposte pentastellate, se tradotte in atti politici, si rivelerebbero superflue. Il movimento grillino rilancia infatti “l’esclusione dei test INVALSI dalle prove d’esame”, fingendo di non sapere che sono stati già eliminati. Di recente il governo li ha inquadrati come requisiti obbligatori. Significa che gli studenti devono sostenerli e basta. Qualora non li affrontassero, non sarebbero ammessi agli esami, ma il risultato conseguito non incide più sulla media del voto di uscita. Con il programma dei 5stelle siamo comunque lontani dall’eliminazione totale delle Invalsi, sebbene gran parte della classe docente le consideri diseducative, costose, inutili, ideologiche. E non c’è bisogno nemmeno che arrivino i pentastellati a promuovere “l’utilizzo del software libero nella didattica”. Sono già tanti tra insegnanti e studenti, in moltissime scuole, a impiegare programmi free e piattaforme open source. A meno che la proposta non vincoli lo Stato a farsi carico di acquistare le licenze di alcuni importanti software rendendoli disponibili per tutti gli istituti scolastici, questa innovazione sarebbe superata dai fatti.
Affiorano poi le soluzioni demagogiche, buone per accattivare il consenso ma strampalate sul piano della concretezza. L’introduzione di “équipe formative territoriali, cioè professionisti in ambito pedagogico e didattico”, alimenterebbe la fumosità dei corsi di aggiornamento che in tutti questi anni sono stati affidati spesso a bambinologi privi di qualsiasi aggancio con la realtà. Parole, teorie, logorroiche slide, interi pomeriggi sprecati e soprattutto milioni di euro elargiti agli amici delle dirigenze! E che dire della “programmazione in team che andrebbe estesa anche agli altri gradi scolastici?” Gli insegnanti delle primarie ne sanno qualcosa: quasi sempre le ore di programmazione, soprattutto durante l’anno, si risolvono in un’inutile perdita di tempo. Miope anche l’appoggio dei seguaci di Casaleggio al “nuovo sistema Formazione Iniziale e Tirocinio” che preserva i privilegi delle baronie universitarie e i capricci dei dirigenti scolastici in materia di accesso dei neoassunti alle cattedre. Ambiguo il paragrafo riservato all’alternanza scuola-lavoro, rinominata Azione di Apprendimento nel Territorio: “Le ore di alternanza vanno ridotte, rese facoltative e svolte solo presso enti, aziende e botteghe artigianali virtuose disposte a offrire una formazione di qualità. Andranno bandite le aziende e le multinazionali che intendano solo assicurarsi manodopera a basso costo”. Così l’alternanza scuola-lavoro è l’Araba fenice: muore renzianza e risorge grillina. Infine, nel programma dei 5Stelle non poteva mancare una salvinata: “Monitoraggio psico-attitudinale periodico”. Che cosa significa? Spedire gli insegnanti davanti allo psichiatra? Interessante! Purché sia un supporto estensibile ad altre categorie di dipendenti pubblici. E perché non prevedere una simile verifica per i candidati al parlamento?
A proposito di Salvini, c’è davvero poco da riflettere sul programma del Centrodestra a reti unificate. È un copia/incolla delle riforme Gelmini e Moratti, adagiato sul paté della “buona scuola” di Renzi: “Maggiore libertà di scelta per le famiglie nell’offerta educativa; incentivazione della competizione pubblico-privato a parità di standard, centralità del rapporto docente-studente nel processo formativo, sostegno all’aggiornamento e meritocrazia”. Più che un’idea programmatica, la rivendicazione di un delitto!
Da un Matteo all’altro: incalzato da destra, l’ex superpremier che dei personaggi collodiani non eredita solo l’accento, avrà indotto i suoi prodigiosi esperti scuolòlogi a dopare il programma PD con qualcosa “di sinistra”. Ecco allora le “aree di priorità educativa nelle zone con i più alti tassi di abbandono e di indigenza”, dove promette che invierà “un esercito di maestre e di maestri”. Inoltre, “rafforzare il tempo pieno in tutto il Paese e portare l’offerta nelle scuole elementari del Sud ai livelli medi del Centro-Nord”. Quasi fosse un tic nervoso, il vizietto della riforma a tutti i costi riemerge inesorabile. Il tutto è presentato con i verbi all’infinito, come in ogni programmazione scolastica che si rispetti. Così il PD vuole “RIPENSARE l’organizzazione dei cicli della scuola dando spazi e tempi adeguati alla continuità e alla flessibilità dei processi di apprendimento”, “SOSTENERE l’apprendimento trasversale e digitale”; “PROMUOVERE l’orientamento degli studenti nei momenti di scelta e transizione da un ciclo all’altro o dalla scuola al lavoro”. Un po’ di operaismo postfordista fa più trendy: “PORTARE a centomila il numero degli studenti degli istituti tecnici superiori: nel tempo dell’intelligenza artificiale e della robotica, il futuro dell’Italia parte dalla formazione e dalle competenze”. Da psicoanalisi il proposito di “COMBATTERE la burocrazia scolastica che spesso fa passare interi pomeriggi a riempire moduli inutili a professori e personale della scuola”. Come un macellaio che invita a gustare la cucina vegana, il PD forse dimentica d’essersi fatto promotore, con l’approvazione della legge 107 “buona scuola”, di una forma inedita di burocrazia digitale che non pochi danni ha cagionato all’amministrazione scolastica, agli organi collegiali e soprattutto alle persone che di scuola vivono.
Si mantiene più in stile Prima Repubblica il programma di Liberi e Uguali. Dozzinale. Tanta poesia per non significare nulla: “Una scuola che abbia voglia di essere tempo e spazio di vita per quelli che ogni giorno la abitano nella quale possano trovare ascolto e attenzione difficoltà e fragilità. Per restituire ad ognuna e ognuno il diritto e la libertà di costruire il proprio presente e il proprio futuro”. Unico succoso passaggio, quello attestante la volontà di “vigilare sull’attivazione dei corsi a pagamento dentro le scuole che rappresentano un segno di strisciante privatizzazione”. “Vigilare”, comunque. Non “abolire”. Pericolosissimo lo slogan “Le e gli insegnanti sono intellettuali e ricercatori”. Tutte le volte che questi lo dicono, poi pretendono che ciascun umile docente si trasformi in pedagogista e in cambio di stipendi da fame perda gran parte del residuo tempo disponibile per elaborare sofisticate documentazioni che nessuno leggerà e giammai troveranno attuazione. Scontata, da parte di LEU, la critica alla renziana legge 107. Immancabile anche in questo programma la tragica volontà di far “decollare una reale riforma della scuola”. E ti pareva!
Dinanzi a cotanto ingegno programmatico e a codesta prodigiosa inventiva, un gemito strozzato emerge dalla gola di tanti insegnanti afflitti da due decenni di politichese invadenza. Per favore, per pietà, cari politici, almeno stavolta occupatevi d’altro, lasciateci in pace, dimenticate la scuola. Magari ricordatevene solo per tornarci. Così potreste imparare la storia di questo Paese e l’uso corretto dei congiuntivi, che spesso dimostrate di non conoscere. Perché per il resto, le tabelline, almeno quelle, sì che le conoscete. Nelle vostre come nelle altrui tasche, i conti avete sempre dimostrato di saperli fare.
L’autore è insegnante di scuola media
Montaggio grafico del professor Frankenstein: Dino Grazioso