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Cannes #1 Sotto il segno del #Metoo e dei film di registe donne
Si apre sotto il segno del #Metoo la 76ima edizione del Festival del cinema di Cannes per il film fuori concorso di Maiwenn, Jeanne du Barry – per il quale ha sfilato Johnny Deppy – e il lungometraggio di Catherine Corsini, Le retour – ora presente in concorso dopo essere stato in un primo momento eliminato in seguito alle accuse di violenze sul set
Due film di registe donne che proponendosi come femministi e innovativi non riescono a scalfire la superficie della rappresentazione
Già a metà maggio un nutrito gruppo di attrici tra cui Julie Gayet, Géraldine Nakache e Laure Calamy, avevano lanciato un comunicato sul quotidiano francese “Libération”, a cui ha fatto seguito una petizione su Change.org per denunciare le aggressioni sessuali, il bullismo e il razzismo nell’industria del cinema. Il tappeto rosso di ieri ha infatti ospitato Johnny Depp, da poco reduce da un maxiprocesso intentato dalla ex-moglie Amber Heard che lo aveva accusato di ripetute ed efferate violenze casalinghe. Nonostante l’assoluzione di Depp, lo scenario drammatico e ultra-spettacolarizzato di un processo in cui più di una volta carnefice e vittima, abusante e abusata si sono rovesciati ha lasciato un segno indelebile, aprendo uno squarcio nella complessità e stratificazione della violenza maschile e di coppia al riparo delle mura domestiche.
Come hanno sostenuto le attrici firmatarie della lettera indirizzata a Cannes e ai media: «Ovviamente, il posto che viene offerto ad abusatori, molestatori e violentatori sul tappeto rosso di questo festival non viene dal nulla. È sintomatico di un sistema globale che vige da generazioni». Violenza, silenziamento, favoreggiamento di un ambiente tossico e diseguale – queste accuse che già il #Metoo aveva fatto proprie contro l’industria del cinema e molti altri luoghi di lavoro in generale – tornano alla ribalta ponendo il problema non solo della rappresentazione ma della gestione dei rapporti di potere e dominio. E se già la Biennale del cinema di Venezia del 2022 aveva rappresentato con il film di Todd Field, Tár, che neanche le donne sono in grado di far proprio il desiderio di maneggiare l’autorità artistica nella forma del ricatto, a Cannes il problema atterra sul piano della realtà con le accuse alla direzione di Corsini per aver gestito il set a colpi di collera e violenze verbali e fisiche. Ma il problema, almeno per il Collectif 50/50 che lotta per la promozione della diversità di genere, va anche oltre e riguarda la rappresentazione di un contesto fortemente sessualizzato tra adolescenti – e che, invero, appare molto composto, sempre che si tratti di definire la linea di confine su quale sia una messa in scena accettabile e non delle giuste condizioni sul luogo di lavoro.
I due film di Maiwenn e Corsini peccano soprattutto per l’incapacità di scalfire la superficie dei temi che affrontano, pur facendo dei tentativi di presentarsi come due film femministi e innovativi. Con un tentativo modernizzante, ma una colonna sonora e una pulizia delle immagini – tutte girate a Versailles – ispirate al Barry Lyndon di Kubrick, Jeanne du Barry espone la storia della cortigiana favorita di Luigi XV. Jeanne appare da subito come una donna colta, devota alla lettura, che si infiltra nelle maglie del libertinaggio francese per esprimere una sessualità disinibita, forme di maternità non biologica, consapevolezza nell’uso del lavoro sessuale. E, tuttavia, questa figura storica importante, di cui aveva già parlato Sofia Coppola in Marie Antoniette, rimane impigliata in una rappresentazione abbastanza canonica dell’amore romantico per un re ironico, ma mutevole di carattere, tra le mille invidie di corte e gli espliciti osteggiamenti della famiglia reale.
Allo stesso modo, Le retour, storia del ritorno di una madre dalle origini africane e delle due figlie in Corsica – dove le figlie erano nate e il padre delle bambine, invece, morto – vorrebbe addentrarsi nel coming of age di due sorelle tra le brillanti spiagge corse, droghe, primi approcci alla sessualità etero e omo, differenze sostanziali di razza e classe, senza tuttavia riuscirci del tutto. Anche questo film si presenta, come nel caso precedente di Jeanne du Barry, un’occasione mancata. Non solo la storia delle menzogne della madre e delle tensioni tra due sorelle molto diverse tra loro – l’una studiosa e volitiva e l’altra oppositiva e svogliata – non riesce ad addentrarsi completamente nel genere mélo, ma pure lo spaccato sociale che mette insieme una delle due sorelle con la nuova compagna di provenienza borghese, di sinistra e bianca, non approfondisce minimamente il significato della divisione lungo le linee della razza. Il desiderio – e l’esposizione ossessiva e rapita – del corpo nero, che si risolve qui con una miscegenation senza particolari drammi e tensioni non va oltre la rappresentazione stereotipica che non riesce a rendere giustizia né alla società francese né a quella globale.
Immagine di copertina dal film Le retour