EUROPA
Camminare nella città di Nahel: tra diseguaglianze, rivolte e lotte sociali
Dopo le rivolte francesi, una passeggiata tra le strade di Nanterre, banlieue ovest di Parigi, il quartiere dove viveva Nahel, ucciso a 17 anni dalla polizia. Una storia urbana di lotte sociali, militanza politica, esclusione, ghettizzazione e diseguaglianze
Per arrivare a Nanterre si prende il treno RER e si esce dalla périphérique, la circonvallazione che circonda Parigi, il biglietto aumenta e anche i chilometri da percorrere. Nahel viveva in questo comune nella banlieue ovest di Parigi, epicentro delle rivolte di questa ultima settimana.
Scendiamo a Nanterre ville e quello che ci troviamo di fronte non è lo scenario immaginato e descritto dalle televisioni, la ville si compone di petit pavillon, piccole casette e villette con giardino, costruite dall’inizio del ‘900 in maniera scomposta, intorno al piccolo insediamento medievale del centro città, le strade sono pulite e i marciapiedi sufficientemente larghi per camminare. In questa domenica pomeriggio, da questo lato di Nanterre non c’è traccia delle rivolte.
Nanterre si compone di diverse anime e tre fermate della RER – préfecture, université e ville – questi spazi sembrano non parlarsi se non proprio essere in lotta uno contro l’altro, come in questi giorni. «A Nanterre si sfiorano delle popolazioni molto differenti e spesso indifferenti tra loro, che si incontrano nei dintorni delle grandi vie di comunicazione. Alla stazione di Nanterre-università, l’abitante popolare e immigrato della cité des Provinces-françaises, lo studente dell’università e l’impiegato colletto bianco del quartiere di Groues e della prefettura non fanno che incrociarsi», scrive Victor Collet in Nanterre du bidonville à la cité.
Questa banlieue ha conosciuto un urbanizzazione veloce, dalla fine della prima guerra mondiale si sono sovrapposte e contrapposta la borgata agricola, la banlieue operaia – già bastione comunista nel 1935 – , la bidonville più grande di Parigi, i palazzi e le torri per le abitazioni popolari e uno tra i più grande quartieri del business d’Europa, la Défense. Mentre nel 1958 si iniziava la costruzione del primo palazzo dell’Epad (Etablissement pour l’aménagement de la région de La Défense – l’ente per lo sviluppo della regione La Défense) che avrebbe dato vita alla Défense, agglomerato di grandi grattacieli scintillanti per le più grandi imprese francesi e internazionali, non si era ancora trovata una soluzione abitativa per gli e le abitanti della “bidonville della follia”, più di 10.000 persone, per la maggior parte migranti algerini appena arrivati, che vivevano senza acqua corrente o bagni e che sprofondavano nel fango ogni volta che pioveva.
Lasciata rue de Stalingrad – il nome ricorda che Nanterre era parte della “cintura rossa” che dagli anni ‘30 circondava Parigi, con la sua popolazione operaia e comunista –, giriamo per rue de Courbevoie, dove all’angolo c’è un taco’s n roll specialità della periferia francese, un roll componibile con pollo, patatine fritte e salsa di formaggio. Negli anni ‘50, accanto alla città rossa nasce la bidonville, situata tra la préfecture e l’università. Allo scoppio del maggio francese, proprio all’Università di Nanterre, saranno molteplici le lotte portate avanti da studenti e abitanti delle bidonville. Incontri difficili, spesso mancati tra «le due città, comunista e coloniale, tra le due storie, operaia e immigrata», che hanno scritto una storia di solidarietà e battaglie sociali ai margini dei “trenta gloriosi”, di militanza politica e impegno sociale, oggi dimenticate sotto il peso della vulgata neoliberale e meritocratica individualista.
Le strade si allargano, e arriviamo ad avenue Pablo Picasso, una lunga strada con quattro corsie a senso alternato, qui già spiccano grandi palazzi di edilizia popolare, l’erba ai lati della strada non è più così curata e si iniziano a vedere le prime scritte sui muri e un po’ di lattine per terra. C’è una rotonda e un supermercato Carrefour dove prendiamo una cosa da bere. I residenti sono cambiati rispetto a Nanterre ville e le nuove e le vecchie ondate migratorie si mescolano di fronte agli scaffali di cibo “le moins cher”, meno caro e più scadente. Tra queste strade si nascondono anni di lotte per delle case degne e un affitto calmierato. È nel passaggio da bidonville a cité de transit che la ghettizzazione è ufficializzata: «la precarietà che era “sentita nelle bidonville come una sventura” diventa ufficiale e uno strumento di controllo: la perdita del lavoro autorizza l’espulsione d’ufficio; sono vietati l’alloggio e la permanenza nei locali in caso di assegnazione HLM; la residenza è a titolo provvisorio, precaria e momentanea. Senza titolo, i residenti non possono né veramente restare, né veramente uscire, sorvegliati dalla sicurezza dei palazzi: il ghetto è istituzionalizzato».
L’avenue Pablo Picasso, gira, e l’orizzonte urbano si trasforma completamente, svettano in fondo sulla nostra sinistra le 18 torri della Cité Pablo Picasso e, dietro queste torri, i grattacieli della Défense. Le “torri delle nuvole”, costruite da Émilie Aillaud, hanno disegni composti da mosaici con le sfumature del blu e forma ondulata, sono alte tra i 105 e i 50 metri e hanno delle finestre a forma di goccia. «Un progetto emblematico dell’urbanistica democratica degli anni ’70», riassume Thibault Tellier, specialista in storia urbana. Un progetto fallito, con muri scrostati, con appartamenti freddi d’inverno e caldi d’estate e dove dalle finestre a goccia sono appesi vestiti e lenzuola, perché gli spazi interni non sono sufficienti e non ci sono balconi.
Qui sono decine i resti delle macchine bruciate, cassonetti ridotti in polvere, ai lati delle strade si nota l’asfalto sciolto dalle fiamme e nei giardini rimangono i bossoli di lacrimogeni e della flash-ball. Questa è la cité dove è cresciuto Nahel. C’è una scritta sul muretto nella piazzetta di fronte le torri “Justice pour Nahel”, sopra c’è seduta una signora con un turbante bianco a riposarsi, dietro un gruppo seduto su dei motorini e altri ragazzi sul lato opposto. Dall’altro lato sotto le torri un gruppetto di ragazzetti non ancora adolescenti. Tutti ci guardano: siamo le uniche persone bianche, insieme a un’altra coppia che cammina in direzione opposta alla nostra e a una famiglia in bicicletta che gira sulla rotonda senza entrare nell’avenue Picasso. Di fronte le torri svettano i palazzi della Défense, uno di fronte all’altro, si guardano. Così distanti e così vicini.
«In questa città attraversata dagli stessi flagelli delle altre, noi di Nanterre siamo cresciuti con questo paradosso. Abbiamo tutto e non abbiamo niente. Ci troviamo a una distanza geografica così breve dal mondo in movimento che basta cambiare marciapiede per ritrovarsi sotto la luce. Ma siamo nell’ombra», scrive lo scrittore Feurat Alani su Mediapart. Dall’alto delle torri si vede la torre Eiffel, dietro le torri si estende il Parco André Malraux. «Pochi istanti prima della morte di Nahel, la tenuta Pablo-Picasso a Nanterre non esisteva ancora agli occhi dei vivi».
Nel linguaggio amministrativo francese questi sono chiamati distretti prioritari di politica urbana (QPPV), qui il tasso di povertà è al 42%, il tasso generale è del 15%; il tasso di disoccupazione è tre volte più alto tra gli uomini e due volte più altro tra le donne che quello generale; si guadagnano in media 640 euro in meno che negli altri quartieri e si vive con poco più di 1100 euro al mese nette a persona (dati elaborati da AJ+). Eppure il dipartimento Hautes-de-Seine è il più ricco dopo il comune di Parigi. Oltre la Senna, nel quartiere di Neuilly-sur-Seine, a quattro chilometri di distanza dalla cité, il 25% dei residenti ha dichiarato nel 2020 un reddito superiore ai 100.000 euro annui.
Superiamo la cité, senza entrare nella sua zona interna pedonale, quella che doveva essere la piazza pubblica del quartiere e che oggi chiude lo spazio in un interno ed esterno. Il primo palazzo della Défense che incontriamo è quello della Société Générale, composto da tre grattacieli brillanti, banca francese che ha un utile netto di un miliardo e mezzo nel primo trimestre del 2023. I suoi manifesti pubblicitari su mutui e assicurazioni sono attaccati per tutte le metro di Parigi “Siete voi l’avvenire”.
La domenica la Défense è attraversata solo da qualche turista e dagli abitanti di Nanterre che si recano al centro commerciale sempre aperto, tre piani di negozi dove poter comprare di tutto, molto oltre il necessario. Il lunedì mattina si riempie di ticchettii di scarpe, completi gessati e sole ventiquattrore. Qui svetta il nuovo Arco di Trionfo, in asse perfetta con l’Arco di Trionfo costruito da Napoleone nel centro di Parigi, la rappresentazione urbana di quanto l’antica Parigi imperiale sia la base della contemporanea Parigi imprenditoriale. Nel rumore dei tacchi dei manager risuonano i passi delle parate militari. Una linea retta che congiunge due punti e, come ogni linea, è passaggio di frontiera, che segna chi è dentro e chi è fuori.
Sono anni che la municipalità di Nanterre discute dei lavori di ristrutturazione della cité, le torri dovrebbero essere ricoperte da lastre di acciaio inossidabile per migliorarne le prestazioni energetiche, la torre più alta dovrebbe essere abbattuta e sei cambiare d’uso, da abitazioni private a spazi artistici e di co-working, agevolando l’acquisto e il passaggio alla proprietà privata. Molte delle persone che vivono nelle torri saranno, quindi, riallocate in altri quartieri, magari in case di nuova costruzione, forse più lontane dalla Défense, dove non la vedranno più dalle proprie camere da letto e soprattutto continueranno a non essere visti. Come dice il suonatore di organetto Marc Perrone, nato e cresciuto a Saint-Denis, «Lo spazio dei poveri è volatile, lo spazio dei ricchi resta».
Immagine di copertina e nell’articolo di Vanessa Bilancetti