ITALIA
In Calabria la Costituzione sprofonda nel fango
Non appena la Calabria è finita in “zona rossa”, ben 400 sindaci di Comuni del territorio, che già da tempo chiedevano un incontro urgente al governo centrale, hanno organizzato una mobilitazione unitaria e condivisa per la difesa del diritto alla salute nella regione, arrivando alla ribalta delle cronache nazionali
Quarantadue anni fa l’avevano definita la marcia della rabbia e dello sdegno dei calabresi. Il 31 ottobre 1978 migliaia giovani disoccupati, figli di contadini, animati dalle leghe per l’occupazione, dai sindacati, dalle Acli, da associazioni civiche e sociali, e dal Pci, riempirono le vie del centro della Capitale, davanti ai Palazzi che contano. Trentamila persone per una risposta di massa al presidente Giulio Andreotti, che il 25 aprile di tre anni prima da ministro della Cassa per il Mezzogiorno si era spinto nelle campagne tra Gioia Tauro e San Ferdinando, in località Eranova, per la posa della simbolica “prima pietra” del porto. Prima pietra (di cartone) che una delegazione del Pci calabrese riconsegnò, appunto, quel 31 ottobre ad Andreotti ormai capo dell’Esecutivo.
Governo molto disattento già allora sulla Calabria. Andreotti a Eranova non si rese conto di essere circondato da noti esponenti e affiliati al clan Piromalli, tra le più potenti famiglie di ’ndrangheta.
Si narra che uno dei Piromalli, a margine del comizio, gli offrì e addolcì il caffè mescolando personalmente lo zucchero con il cucchiaino. Uomini “d’onore”, imprenditori e politici predoni si sfregavano le mani pensando ai fiumi di denaro in arrivo con quell’investimento faraonico. Porto di Gioia Tauro, Quinto Centro Siderurgico d’Italia, seguiti poi dalla Liquichimica di Saline Joniche e dalla centrale a carbone.
Un’industrializzazione selvaggia e “artificiale”, già prevista dal Pacchetto Colombo, che rischiava però di trasformare un territorio a prevalenza agricola in una bomba ecologica. Lo sostiene uno degli amministratori di oggi, Flavio Stasi, sindaco di Corigliano Rossano, area urbana recentemente accorpata, con circa 80 mila abitanti, nel versante jonico Cosentino. Negli ultimi giorni Stasi è stato protagonista di un altro storico evento, il presidio di 400 sindaci calabresi di nuovo a Roma, in Piazza di Montecitorio.
Abbandonata e sottosviluppata come allora, peggio di allora, dopo oltre 40 anni da quella marcia dell’indignazione, il 19 novembre la Calabria, “Afghanistan d’Italia” (come la definiscono alcuni), è tornata a farsi sentire nella Capitale. I primi cittadini, dei comuni capoluogo e dei piccoli paeselli di provincia, 400 fasce tricolori, appunti, dagli angoli più remoti, della regione più sconosciuta del Paese. Ma, grosso modo, con le stessa parole d’ordine di allora: investimenti, diritti e soprattutto, sanità pubblica ed efficiente.
Perché il diritto alla salute in Calabria non esiste più, e dieci anni di commissariamento, misto all’incompetenza e noncuranza trasversale di una classe dirigente corrotta, che è sempre la stessa da decenni, rischiano di trasformare la pandemia da Covid-19 in una strage. Interi ospedali o reparti fondamentali chiusi, territori scoperti, carenza di personale e macchinari nella maggior parte dei presidi sanitari e ospedalieri. A beneficio, spesso, delle strutture private, a cui in molti, per dirne una, si stanno rivolgendo per effettuare i tamponi molecolari, esborsando più di 50 euro a test.
Il vero business dell’economia calabrese, che registra come ha affermato, senza imbarazzo, il ministro della Salute, Roberto Speranza, circa 700 milioni di euro non spesi, almeno sul fronte dell’edilizia sanitaria.
Non appena la Calabria è finita in “zona rossa”, dunque, tutti sindaci, che già da tempo chiedevano un incontro urgente al governo centrale, hanno organizzato una mobilitazione unitaria e condivisa, finita alla ribalta delle cronache nazionali. Per niente supportati dal governo regionale, assente già dalla prima ondata. «Da inizio pandemia noi sindaci siamo stati estromessi dalle cabine di regia regionali e provinciali – lamenta Stasi – La compianta presidente Santelli, che suo malgrado non appena eletta si è trovata a gestire tutto ciò, non ci ha mai coinvolto. Nessun tavolo regionale a cui siamo stati invitati a partecipare. Né i sindaci capoluogo, né i presidenti delle conferenze dei sindaci». Assente anche il dialogo con le Asp locali.
Con la seconda ondata tutto è precipitato. Per cui, dopo un primo sit-in, davanti alla Prefettura di Reggio Calabria, di tutti i sindaci della provincia reggina, e una riunione di direttivo Anci, già era stato avviato l’iter per richiedere un incontro al presidente del Consiglio. Nel mentre, lo scandalo dei commissari Cotticelli e Zuccatelli, finiti su tutti i principali notiziari, hanno ricordato a Conte e Speranza che forse stavano dimenticando che la Calabria è una regione italiana.Pure tra i 5 Stelle, con il senatore Nicola Morra capofila, c’era chi “avvertiva” di far saltare la maggioranza sulla questione.
A partire dalla tarda mattinata del 19 novembre 2020, ecco dunque le 400 fasce calabro-tricolori approdare davanti al Palazzo. Mentre intorno all’obelisco di piazza Montecitorio si radunavano i sindaci di comuni medi, piccoli e piccolissimi, di cui a Palazzo Chigi, ma anche stampa e tv ignorano l’esistenza – “Come si sta a Martone (Rc)?”, chiedeva al sindaco il giornalista Alessandro Poggi, inviato di Titolo V, trasmissione che ha scoperchiato il vaso di Cotticelli – una delegazione dei primi cittadini dei comuni capoluogo prendeva posto davanti al presidente del Consiglio e al ministro della Salute. All’unisono hanno ribadito: «Siamo noi la Calabria, dovete coinvolgerci per uscire dalla crisi».
I portavoce dei cittadini calabresi – precisa Stasi che ha partecipato all’incontro in qualità di presidente della conferenza dei sindaci della provincia di Cosenza, organo previsto dall’ordinamento italiano, «ma che in Calabria è l’unica in tutto il territorio» – non sono andati a rivendicare ognuno il proprio comune. Hanno presentato una piattaforma programmatica condivisa da tutti e 400, con chiari punti cardine: ripensamento del commissariamento (due anni anziché tre), verifica del debito, perché secondo il governo ammonta a 160 milioni di euro e nel decreto Calabria hanno previsto un fondo di solidarietà di 60 milioni, «ma noi siamo convinti che le cifre siano molto più elevate».
Punto imprescindibile su tutti gli altri: «Servono investimenti seri e duraturi per l’assunzione di novo personale e la nomina di commissari speciali per i nuovi ospedali, sul modello del Ponte Morandi».
Ma il governo ha capito che territorio è la Calabria? Vi ha dato risposte concrete? «Erano entrambi aperti al dialogo, ma temevano di camminare sulle uova. Era evidente. Ci avevano anche assicurato che avrebbero risolto in tempi brevi la nomina del commissario ad acta e qualche modifica al decreto Calabria alla luce delle nostre proposte». Il problema principale è il personale. «Mancano medici – avverte il primo cittadino jonico – Non è possibile che le Asp non assumano o propongano solo contratti a tempo determinato. Così facendo nessun medico accetterà di venire a lavorare in Calabria». Non ultima, la crisi dei Pronto Soccorso, che non sono stati resi sicuri. Senza percorsi appositi per i pazienti sospetti positivi, c’è sempre il rischio di infettare tutto il reparto. «Su questo punto – accusa Stasi – la struttura commissariale finora ha avuto gravi responsabilità».
Fuori, in piazza Montecitorio, dunque, la voce di tutta la Calabria, da ogni latitudine e longitudine. A nulla è servita la provocazione, passata quasi inosservata dei cartelli della Lega, a firma Leo Battaglia, esponente salviniano di Castrovillari (Cs) affissi alle balaustre di fronte all’obelisco. «Gino Strada, un buon motivo per sbarcare in Calabria», si leggeva su alcuni A5 sul solito sfondo blu leghista, contro la chiamata del “medico missionario africano”, come aveva accusato il vice presidente della Regione, Nino Spirlì in diretta tv. Provocazione subito eliminata da un altro sindaco, Michele Conia, appena riconfermato alla guida di Cinquefrondi, centro di 8 mila anime nella Piana di Gioia Tauro. Amministratore combattivo e attivista, attento sia alla sostanza, sia alla forma, e ai simboli. Di recente il cambio di toponomastica con una via dedicata pure a Stefano Cucchi.
Lo striscione vero davanti alla Camera dei Deputati lanciava un messaggio preciso: «Stop al commissariamento, la Calabria non è una colonia». In che senso, sindaco? Chi è l’invasore? «Il messaggio è che non abbiamo bisogno di un commissario deciso a Roma dai partiti, mandato in una regione che neanche conosce». Ma la verità – come denuncia Conia – è che ci sono troppe disparità tra regioni. «La sanità deve essere gestita a livello nazionale, il Sistema Sanitario Nazionale deve essere lo stesso per tutti, in Lombardia come in Calabria». Eppure, da marzo a oggi restano una ventina di ospedali chiusi, o sottoutilizzati, in molte parti della regione, a cominciare dalla provincia di Cosenza, tra le più colpite dalla pandemia.
Ma anziché rendere funzionanti le strutture già a disposizione – che non sono necessarie mica solo per la Covid-19 – governo e Regione hanno deciso per l’installazione di 4 ospedali da campo, che danno davvero l’idea di una regione in guerra.
Uno è stato montato negli ultimi giorni a Cosenza, gestito dall’Esercito, un altro è allestito a Crotone, e vedrà impegnati insieme Protezione Civile ed Emergency. Proprio dall’ospedale da campo di Cosenza è iniziata la visita del ministro Boccia, lo scorso lunedì. Dopo una visita nella Crotone alluvionata e sprofondata nel fango, Boccia si è poi barricato nella Cittadella Regionale di Germaneto, per una riunione straordinaria della Conferenza Stato-Regioni, via Skype, seduto al fianco di Nino Spirlì. Fuori duecento manifestanti hanno bloccato una delle vie di accesso alla Cittadella Regionale di Germaneto, sperando invano di essere ricevuti.
Finito solo da pochi giorni il teatrino sui commissari – nonostante secondo un ministro “in Calabria non ci andrebbe neanche Gesù Cristo” – nel fine settimana è stato nominato l’ex prefetto di Vibo alentia, Guido Longo al vertice della struttura commissariale. Longo vanta nel suo curriculum, la guida di indagini e arresti che hanno portato dietro le sbarre noti esponenti camorristici. Dulcis in fundo, è arrivato in Calabria anche Gino Strada, che ha già visitato l’ospedale da campo di Crotone, dove il suo staff collaborerà con il personale della Protezione Civile.
Ma la Calabria, in perenne emergenza economica, sociale e sanitaria, resta comunque senza una guida politica. Si voterà il 14 febbraio, giorno degli innamorati. E di amore, pazienza e coraggio ne servirà parecchio per risalire da baratro. Gino o non Gino, la regione più povera d’Europa, ingresso mediterraneo al vecchio continente, deve urgentemente trovare la giusta strada, dopo quarant’anni..
Immagine di copertina di Gianluca Palma