OPINIONI

Buone intenzioni, ma in sostanza un giro a vuoto

La missione di Draghi a Washington ha tiepidamente allineato l’Italia a Macron, ma in complesso incide molto poco sulla politica europea e ancor meno sulla gestione sempre più problematica della guerra

Non c’è dubbio che le dichiarazioni di Draghi suonino più moderate di quelle di Biden e Zelenskij, pur rimandando a entrambi per statuire i termini della “vittoria” ucraina, cioè le condizioni della pace.

Il banchiere atlantico ha fatto il verso a Macron, senza purtroppo averne l’autorità politica, certo, è un importante banchiere, ma sulla scena atlantica giova chi ha autorità militare e politica, non chi sa manovrare il denaro.

Già Machiavelli diceva che il denaro non è il nervo della guerra, quando si combatte. Perché chi ha la forza può impadronirsi delle ricchezze e non viceversa. E comunque il signore dell’euro, poco può verso chi tiene in mano il dollaro e il rublo. Se poi Biden l’avesse minimamente ascoltato e se la stampa statunitense si fosse accorta della visita, qualche speranza di sarebbe. Ma così non è andata.

Anche il benevolo assenso di Biden alla fissazione di un tetto per i prezzi del gas rischia di essere vanificato dalla riluttanza della stessa UE ad adottare misure del genere, se non in caso di improvviso arresto (anche parziale) delle forniture.

Come dire: finché i prezzi salgono senza blocchi del flusso, continua il caos attuale e chi ci rimette ci rimette. Neppure il balzo a 115 euro per megawatt/ora è stato ritenuto un motivo sufficiente. Né ci si è pronunciati sulla “zona grigia” Del giro di conti per il pagamento in rubli. A quelli dell’Eni tocca a maggio.

Insomma, al solito, l’unico effetto di un atto purtroppo irrilevante su scala internazionale, è a livello locale, in quel bizzarro teatrino in cui alcuni partiti morenti si giocano per bassa cucina elettorale grandi questioni epocali: la belligeranza per procura, il prolungamento della guerra in Ucraina mediante invio di armi e sostegno o aizzamento di condizioni irricevibili per una tregua, adozione o meno di sanzioni con relative ricadute in termini di consumi o inflazione.

Si avvicinano elezioni amministrative cui tutti i partiti vanno in ordine sparsi e con le alleanze a pezzi – con l’inevitabile corollario di un rilancio fuori tempo massino di una nuova legge proporzionale – mentre si comincia a parlare, visto che nessuno sa cosa fare praticamente per la guerra e l’inflazione, di elezioni politiche anticipate, cioè di buttare la palla in tribuna.

Che la situazione sia grave (ma non seria) lo dimostrano tanto i contorcimenti verbali di Draghi, la cui luna di miele con il Parlamento è ormai uno scialbo ricordo, quanto il voltafaccia di Letta rispetto al rataplan marziale di pochi giorni fa.

Posizionamenti improvvisati, senza una spiegazione e quindi reversibili a ogni stormir di fronde o di sondaggi. Scambi ignobili del tipo di quello leghista fra riforma del catasto e invio di armi, distinguo bizantini fra armi di offesa e di difesa e ripensamenti a getto continuo dell’azzeccagarbugli Conte in lite con Di Maio.

E a seguire, articoli volubili di giornali, divieti di presenze russe, revoche dei medesimi, entusiasmi per Macron e Francesco, allarmi pretestuosi dei barbieri atlantisti del “Foglio”, esternazioni gandhiane di Salvini, libri in coppia di Canfora e Borgonovo. La palude. Il verminaio. L’orrore.

Al massimo, possiamo dire che cresce inesorabilmente nell’opinione pubblica sondaggiata e nelle forze politiche che tuttora non la rappresentano la sfiducia sulle prospettive della guerra e della crisi economica, la paura per i “sacrifici” e lo loro ricadute in termini di produzione, di consumo e di consenso, nonché la sempre più evidente divergenza fra gli interessi degli Usa e dell’Europa e, nell’ambito di quest’ultima, della sezione baltico-orientale di Nato/Ue con il resto, in particolare con il suo fronte mediterraneo che ben presto sarà investito da nuove ondate di migranti per fame di cereali.

Purtroppo i fievoli segnali di de-escalation verbale cadono in uno scenario drammaticamente peggiorato, che richiederebbe misure materiali e non soltanto frasette e toni ragionevoli.

Il rilancio continuo di Zelenskij sulle precondizioni dell’integrità territoriale dell’Ucraina e della “vittoria” (con l’inquietante concessione che “della Crimea parleremo dopo”) e la dissennata annessione alla Nato di Finlandia e Svezia aprono un serio interrogativo su qualsiasi futura negoziazione: su cosa si tratterebbe una volta restituiti i territori pre-2014 all’Ucraina e preso atto dell’allargamento della Nato davanti a Kaliningrad e San Pietroburgo?

Naturalmente ne esce chiara anche l’idiozia di Putin (che, insisto, è peggiore di qualsiasi crimine), che il 24 febbraio si è tutto d’un colpo giocato le acquisizioni di Donec’k e Lugansk, le simpatie degli ucraini russofoni e la neutralità scandinava.

Sia sottomettere l’Ucraina che tenersela amica e sottomessa è diventato impossibile. Ma al momento sono Biden, la Polonia e la Nato a portare avanti la provocazione e a minacciare la pace con la pretesa di usare il logoramento russo per un cambio di regime, probabilmente contribuendo per reazione a rafforzare l’autocrazia di zar Vladimir.

Che Biden faccia un calcolo egoistico giusto (per gli interessi Usa e per il partito democratico in vista delle elezioni di mid-term) potrebbe essere oggetto di dubbio. Sicuro è che l’Europa ci rimette e che ci rimette in particolare l’Italia.

Rischia di finire con un disastro per la stessa Ucraina, che almeno ha la giustificazione che già sotto i colpi dell’invasione putiniana se la passa male e qualcosa doveva fare per difendersi.

L’impressione complessiva è che nessuno sappia come uscire dalla situazione e tutti corrano smarriti verso la catastrofe: gli Usa tutti presi dal confronto strategico con la Cina (che perderanno, al pari di tutti i conflitti dopo il 1945), gli europei dimentichi del 1914 e chiusi nella loro superstite irrilevanza liberale e “bianca”. La Russia nel suo incubo illiberale ed euroasiatico.

Sono meglio “gli altri”? Pur col beneficio del dubbio, non credo.

Oggi come mai, comunismo o barbarie. Contro ogni identità fondata sul suolo, sul sangue, sulla moneta. Gloria a nessuno, pace per tutti. Il minimo sindacale per tenere aperto un futuro.

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