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MONDO

Bugie, inferriate e blackout informativo: perché in Argentina Télam è sotto attacco

In Argentina il governo di Milei vuole chiudere l’agenzia di stampa Telam lasciando senza reddito 700 famiglie, ma soprattutto privando il paese di informazioni per tenerlo all’oscuro della crisi economica in continuo peggioramento

«Covo di militanti», «costosissima», «anacronistica», «propaganda kirchnerista». La salda schiera di portavoce ufficiali e paraufficiali del governo di Javier Milei ha difeso nelle ultime ore quello che è chiaramente il primo passo verso la chiusura definitiva dell’agenzia nazionale Télam [agenzia di stampa argentina fondata nel 1945 e principale agenzia in lingua spagnola del Sudamerica – ndt],  fondamentalmente per tre ragioni:

1. spende troppi soldi (e quindi, nella logica ultra-liberista del libertarismo di destra, è una delle cause della povertà del Paese);

2. non ha più una ragion d’essere oggi (per alcuni, perché si può rimpiazzare con l’informazione immediata delle migliaia di tweet che vengono pubblicati in continuazione; per altri, perché ci sono media privati che fanno «lo stesso lavoro»);

3. tutti i giornalisti che lavorano lì sono kirchneristi o complici. Tutte e tre le argomentazioni sono false, ma non è nemmeno questo il problema principale della chiusura della Télam: il cuore politico di questo conflitto è il blackout informativo che seguirà alla scomparsa dell’agenzia.

Lunedì 26 febbraio, davanti alla sede principale della Télam in Calle Bolivar, nel quartiere di San Telmo, uno degli oltre 700 lavoratori che all’alba avevano saputo con una breve e-mail che il loro lavoro era appeso a un filo e che (almeno per ora) sarebbero stati costretti a restare a casa per una settimana, si è sforzato di guardare oltre la sua angoscia e quella dei suoi colleghi e ha lanciato un monito:

«Il peggio è che la cosa più grave non sono le 700 famiglie che resteranno per strada in mezzo a questa crisi economica. La cosa peggiore è che si cerca di far sì che l’informazione si diffonda sempre meno, affinché nessuno sappia quando la crisi peggiora, soprattutto lontano dalla Grande Buenos Aires».

La previsione non è esagerata. La Télam non è soltanto l’unica agenzia di stampa e mezzo di comunicazione ad avere corrispondenti in tutto il Paese, cioè in ciascuna provincia, ma negli ultimi due decenni il modello di business dei piccoli e grandi media e di quelli nuovi è stato costruito sulla base della loro imponente e affidabile rete di distribuzione. In altre parole, redazioni sempre più piccole e dipendenti dal materiale dell’agenzia.

Secondo una rilevazione del sindacato della stampa Sipreba [sindacato stampa di Buenos Aires – ndt], nell’ottobre del 2023 l’agenzia aveva 803 testate come clienti paganti e, solo in questo mese, sono state pubblicate 20.261 agenzie di stampa: 12.844 erano cablogrammi (come vengono chiamati gli articoli), 6.030 foto, 761 bollettini informativi (via radio), 402 video, 153 registrazioni audio e 72 infografiche. In totale sono stati registrati 450.005 tra download e visite totali.

E qui sta la prima menzogna della narrazione che la destra porta avanti da decenni, anche quando il kirchnerismo non esisteva ma si accusava lo stesso la Télam di essere soltanto un «apparato di propaganda di partito». Tutti i media, TUTTI i media del paese utilizzano, come minimo, cablogrammi e foto dell’agenzia. Non c’è nessuna discrepanza. E non c’è alcuna discrepanza nemmeno nel fatto che diversi media nazionali e provinciali tendano a oscurarla, non citando l’agenzia come fonte o addirittura rimuovendo la firma del giornalista, se presente. Ecco perché tanti argentini credono che nella Télam ci siano soltanto fannulloni.

Non sanno che molto di quello che leggono sui giornali, sentono alla radio e guardano in televisione è stato scritto, registrato o fotografato da uno dei 700 lavoratori che il 26 febbraio sono andati a dormire schiacciati dall’angoscia perché non sapevano cosa sarebbe successo e con la rabbia di subire, per giunta, la crudeltà di una parte della società che festeggia i loro probabili licenziamenti.

Per coloro che non credono alla centralità che la Télam ha in tutto quello che viene riportato oggi in Argentina dai diversi media, confrontiamo quello che viene pubblicato e trasmesso nella settimana dal 4 al 10 marzo con quanto è stato pubblicato e trasmesso la settimana successiva. Come successo nel 2018, quando il governo di Mauricio Macri licenziò più di 360 dipendenti e l’agenzia scioperò per otto mesi, il vuoto informativo in tutto lo spettro dei media privati sarà evidente. Da un lato, meno articoli e meno foto (che si traduce in meno articoli, perché un principio base del giornalismo è che senza foto non c’è notizia), e dall’altro più centralismo di Buenos Aires e più analisi di tweet non verificati e privi di contesto.

In altre parole, un’anticipazione del blackout informativo che arriverà proprio mentre tutti i rapporti degli economisti e delle società di consulenza prevedono che il peggio della recessione non sia ancora arrivato. Quali media avranno le risorse e l’interesse editoriale per parlare dei licenziamenti, delle misure adottate dalle forze sindacali e del crescente conflitto che nei prossimi mesi si verificherà in ogni provincia? Quali media nazionali saranno disposti e in grado di dare voce a chi, in questa crisi, si sente abbandonato dal governo centrale e provinciale?

Anche se non sorprende che gli ultra-liberisti abbraccino argomenti basati sull’ignoranza, è scioccante che giornalisti e dirigenti con decenni di esperienza sostengano che l’agenzia di stampa sia «qualcosa di anacronistico».

I primi, perché qualunque lavoratore che abbia frequentato una redazione o abbia quantomeno avuto un dialogo fluido con gli addetti ai lavori della produzione televisiva e radiofonica sa che le agenzie e le foto della Télam vengono utilizzate tutti i giorni, senza eccezioni. Gli altri, perché nel corso della loro carriera sono stati intervistati o contattati da giornalisti dell’agenzia e sanno che i suoi cablogrammi fungono da cassa di risonanza delle loro parole in tutto il Paese.

L’altra menzogna facile da smentire è che la Télam sia una delle cause della crescente povertà in Argentina che,come anticipava qualche settimana fa l’Osservatorio del Debito Sociale Argentino dell’Università Cattolica Argentina di Buenos Aires, nei primi due mesi e mezzo del governo Milei è cresciuta dal 45% al 60%. Secondo l’indagine del Sipreba, dal 2020 fino ad agosto 2023, ad eccezione del 2021, le entrate dirette dell’agenzia erano in aumento. Di fatto, in questo periodo i trasferimenti correnti da parte dell’amministrazione centrale sono diminuiti di oltre il 36%. Non sono disponibili i dati dei mesi successivi per poter confermare o confutare la proiezione lanciata lunedì 26 febbraio dal portavoce alla presidenza Manuel Adorni, che ha affermato durante la conferenza stampa quotidiana che per quest’anno l’agenzia «aveva una perdita stimata di 20 miliardi di pesos argentini»[circa 21,5 milioni di euro – ndt].

Se si tratta di una questione finanziaria, allora vale la pena discutere per lo meno se un debito (che, secondo i dati finanziari degli ultimi anni, non è una situazione costante e irreversibile) di 20 miliardi di pesos sia giustificato dal ruolo centrale che di fatto l’agenzia ha nel garantire un’agenda informativa per tutti i media privati a prescindere dalla posizione editoriale, in un contesto di crescente disinformazione che incide direttamente sulla qualità democratica del Paese.

Naturalmente, è difficile immaginare che un governo nazionale che impone accordi e alimenta apertamente e senza remore la disinformazione abbia interesse ad aprire un dialogo del genere e portarlo avanti nella sede opportuna: il Congresso.

Ho lavorato nove anni alla Télam e posso affermare senza dubbio che non esiste lavoratore o lavoratrice che non sia d’accordo sulla necessità di riformare l’agenzia. Infatti, dopo ogni tentativo di chiusura, è stata sempre l’assemblea dei lavoratori a presentare alla dirigenza politica o addirittura al Congresso Nazionale proposte affinché l’agenzia restasse sotto il controllo parlamentarec on una forte partecipazione delle forze di opposizione. Questo però richiede, ancora una volta, un dibattito serio. Purtroppo, nessun governo l’ha mai concesso e adesso, dopo la vittoria di un presidente che considera lo Stato e tutto ciò che rappresenta come se fosse un’impresa criminale, sembra quasi impossibile.

Per questo, non è il momento di perdersi in precisazioni che indeboliscono il dissenso o di assumere posizioni di equilibrio che cercano di schivare gli attacchi sicuri dei troll della comunicazione. Il governo non è interessato ad aprire un dialogo.

Per questo hanno recintato la sede della Télam con degli sbartramenti, schierato la polizia a mezzanotte, spento forzatamente i profili Télam sulle piattaforme digitali e inviato un’e-mail ai lavoratori di appena  un paragrafo. Tutto al buio, senza un decreto, senza una delibera o un atto ufficiale che potesse essere oggetto di un provvedimento giudiziario. Come dichiarato dallo stesso Adorni, definiranno le modalità di chiusura dell’agenzia quando manderanno a casa tutti i lavoratori.

Come è accaduto con la sospensione dei fondi nazionali alle province o con la deregolamentazione che ha dato libero sfogo all’aumento dei prezzi da parte delle imprese, ad esempio nel settore delle schede telefoniche prepagate, il Governo si sente sostenuto dal suo mega- DNU [Decreto di Necessità ed Urgenza, il nostro decreto-legge – ndt] ed esiste la possibilità che scelga di trasformarla in una società per azioni. Per questo, gli stessi deputati e senatori che nelle ultime ore si sono opposti alla chiusura illegale e autoritaria della Télam dovrebbero unire le forze, discutere in aula il DNU e respingerlo. In questo modo, confermerebbero che la chiusura o la riforma dell’agenzia di stampa nazionale devono, per lo meno, essere discusse al Congresso con la più ampia rappresentatività politica possibile e non con recinzioni e menzogne mentre l’intero Paese dorme.

Articolo pubblicato su El Destape Web, che ringraziamo per la gentile concessione, assieme all’autrice. Traduzione in italiano a cura di Michele Fazioli per DinamoPress

Immagine di copertina di LP por Gb Hernández. Viernes da Facebook.com