ITALIA
Il bosco di Bologna e la rigenerazione delle ruspe
Sono molti i progetti di «rigenerazione urbana» che stanno cambiando il volto di Bologna, dove la retorica della «partecipazione» camuffa la consegna dei poteri pubblici a quelli privati. É il caso dell’area dei Prati di Caprara, ceduta come area compensativa ad alcune società private che progettano migliaia di metri cubi di case, uffici e un outlet. Cancellando il bosco spontaneo che lì è cresciuto.
A Bologna c’è un bosco, cresciuto spontaneamente in un’area abbandonata da decenni, nella parte Est dei Prati di Caprara. Lì sono cresciuti gli alberi e con loro una moltitudine di fiori, api, farfalle, uccelli, una natura selvatica solitamente destinata a restare ai margini della città. Lì il Comune vorrebbe far costruire oltre mille alloggi, migliaia di metri quadri di uffici e un outlet di moda.
Il «Comitato Rigenerazione NO Speculazione» è nato per contrastare il progetto di edificazione. «Un po’ alla volta è cresciuto», mi racconta Piergiorgio Rocchi, uno dei fondatori del Comitato. «Abbiamo fatto informazione, un blocco stradale, assemblee, raccolta firme. Abbiamo cominciato a fare un pò di casino e nel contempo siamo cresciuti sul tema della rigenerazione dello Stadio, delle aree compensative, sul loro piano di rigenerazione urbana. Questo ha significato che tutti, un po’ alla volta, si appropriassero di temi e contenuti, e che poi si fosse capace di gestirli. Adesso siamo inattaccabili!» – scherza Rocchi.
L’area dei Prati di Caprara è una zona ex militare di 45 ettari in abbandono da anni. È uno dei 19 complessi militari di Bologna che il Comune vorrebbe rigenerare, con la previsione ottimistica di sanare il debito pubblico della città. È stata ceduta insieme all’ex area militare di Staveco ad alcune società private che potranno edificarla come compensazione per gli investimenti di restyling dello Stadio Dall’Ara.
Il Comitato ha avviato un percorso partecipato autonomo e autogestito per decidere il futuro dell’area dei Prati di Caprara. Ha raccolto quasi duemila firme certificate nel giro di poco tempo per l’avvio di un’istruttoria pubblica in consiglio comunale. I risultati del processo partecipativo sono già stati presentati in commissione consiliare. «Non che il Comune si sia spostato di una virgola rispetto agli interessi colossali in gioco» – dice Rocchi.
Un «mosaico di incubi urbanistici» fatti passare per progetti di rigenerazione urbana sta cambiando il volto della città. Molti interessano le aree militari ex demaniali, passate a Invimit, come le caserme Sani e Masini, entrambe di proprietà di Cassa Depositi e Prestiti. La seconda è stata la casa del centro sociale Làbas, sgomberato ad agosto dell’ano scorso: un esperimento politico e sociale di enorme valore che ospitava tante attività pubbliche e gratuite aperte al quartiere e alla città. Finora, secondo Rocchi, dei 19 compendi da rigenerare soltanto due sono andati in porto. Intanto, Rocchi sta mappando tutti gli spazi vuoti pubblici e privati di Bologna. Al momento sono circa trecento.
Rigenerazione urbana e partecipazione sono parole e concetti sul cui uso si è costruita negli ultimi anni una «macchina di produzione di consenso» che accompagna l’azzeramento di potere decisionale di chi abita la città, a Bologna e non solo. Ma Bologna è un caso di studio: è stata la prima città in Italia ad adottare, il 19 maggio 2014, un Regolamento per la gestione condivisa dei Beni Comuni, elaborato in collaborazione con Labsus. Il bilancio partecipativo, i laboratori urbanistici, i confronti pubblici e i patti di collaborazione sono gli strumenti che garantirebbero la partecipazione dei cittadini al governo della città.
«Di retoriche si tratta: i percorsi partecipativi spingono i cittadini entro recinti rigorosamente presidiati nei quali non è possibile decidere nulla di sostanziale né far valere forme di organizzazione autonoma. I progetti di rigenerazione sono molto spesso il vestito cucito su misura per interventi speculativi. Il cibo e il turismo rappresentano l’intelaiatura – economica e culturale – intorno alla quale si sta strutturando una profonda alterazione del tessuto sociale e urbanistico del centro storico e delle zone periferiche e semiperiferiche. Nella sostanza, queste retoriche camuffano il nocciolo della questione, ovvero la consegna dei poteri pubblici a quelli privati e l’adesione dei primi al modello economico e politico che va sotto il nome di neoliberismo» – si legge nell’introduzione di A che punto è la città? Bologna dalle politiche di “buongoverno” al governo del marketing, Edizioni dell’asino.
All’adozione del Regolamento sui Beni Comuni è seguito un biennio di sgomberi. Bartleby già nel 2013, Atlantide, le molte occupazioni abitative, l’ex Telecom dove abitavano trecento persone, ora cantiere per nuovo Student Hotel, Crash e Làbas. XM24 potrebbe essere il prossimo, nell’area dell’ex mercato ortofrutticolo abbandonato dal 1994, al centro di un progetto di riqualificazione che non potrà vantare i murales di Blu, cancellati.
«Questi percorsi partecipativi prevedono al massimo che i cittadini possano dire la loro sul come si realizzeranno, non se realizzarli», dice Rocchi. Venti ettari dei prati di Caprara saranno destinati a parco da progettarsi con un laboratorio di progettazione partecipata avviato dall’Ufficio di Immaginazione Civica. «Ma tutto quello che abbiamo appreso dei progetti per l’area dei Prati di Caprara lo abbiamo appreso dai giornali» – dice Rocchi «Ci dicevano che non c’era nessun progetto, e invece c’era.»
Che le operazioni immobiliari nella zona dei prati di Caprara siano pura speculazione lo dice il Piano Operativo Comunale stesso, «dove è scritto che dal punto di vista demografico non c’è alcun fabbisogno ma che il fabbisogno si autogenererà dall’intervento stesso. Un’assurdità. Non c’è più un piano, non c’è uno studio del fabbisogno, non si sa se e come crescerà la popolazione».
Un certo bisogno di case a Bologna c’è, ma non di quelle per i redditi medio-alti. «Le case che mancano a Bologna sono le case di edilizia residenziale sociale. Ci sono 6mila famiglie e 35mila studenti fuori sede che vivono in disagio abitativo. E gli studenti non vengono più a Bologna perché non trovano casa».
Su Change.org gira una petizione per regolamentare Airbnb. Secondo Rocchi, «di Airbnb non si parla a Bologna perché a quanto pare a Bologna il turismo è l’industria principale. Alcuni funzionari comunali sono stati adeguatamente avvertiti di non parlare di questi temi. Airbnb sta procurando un sacco di problemi al mercato degli affitti normale perché sottrae patrimonio abitativo. Bologna ha sempre succhiato il sangue agli studenti fuori sede. La risposta in termini pubblici è inesistente e adesso, con il quasi azzeramento di risorse pubbliche, è diventato un business. Enormi complessi sono stati presi in gestione da grandi società e si faranno solo residenze per studenti… ma studenti con un certo reddito. Ci sono due operazioni in corso, uno di fronte al Comune (lo Student Hotel), con la concessione in deroga da parte del Comune dell’aumento di volumi, e non ci saranno neanche i parcheggi. Il secondo è un grande complesso, rimasto vuoto per tanto tempo, in corso di conversione in miniappartamenti».
Nella zona dei prati di Caprara si prevede il 25% di edilizia residenziale sociale «ma se vai a vedere gli altri interventi di rigenerazione urbana a Bologna, neanche uno ha funzionato. Di alloggi sociali non ne hanno fatto neanche uno». Così adesso – dice Rocchi – «il Comune spenderà 28 milioni di euro dal PON Metro per cercare di farne almeno qualcuno, sopperendo con soldi pubblici a quello che avrebbero dovuto realizzare i privati con il meccanismo della compensazione».
La schizofrenia edificatoria non riguarda soltanto le case. A Bologna ci sono oltre cento centri commerciali. Rocchi li sta mappando. «La domanda non c’è e molti stanno chiudendo. La dissennata apertura di grossi centri commerciali, un altro errore dell’amministrazione, distrugge quel minimo di tessuto di rapporti di vicinato e di presidio sociale che il commercio diffuso ancora rappresenta». Non a caso tra i più fervidi sostenitori della campagna contro il progetto ai prati di Caprara ci sono proprio le associazioni di commercianti.
Guardando la mappa di soggetti, progetti e patti di collaborazione attivi a Bologna si scopre che il patto di collaborazione più prossimo all’area dei Prati di Caprara è quello con Esselunga, che «si impegna a curare l’area verde pubblica posta davanti al proprio punto vendita ed effettuare attività di manutenzione» in cambio di visibilità. Intorno, altri progetti prevedono il rifacimento delle facciate dei palazzi con alcuni murales.
«Quello della rigenerazione urbana è un mantra molto pericoloso per come l’hanno declinato qua e per come l’hanno individuato come tema centrale per una pessima legge urbanistica, che ha visto la luce pochi mesi fa», racconta Rocchi. «La nuova legge urbanistica dell’Emilia-Romagna parte dal presupposto, uno specchietto per le allodole, dello stop al consumo di suolo, ma ci sono decine e decine di casi in cui lo puoi aggirare. Di più, viene tolta al Comune la capacità finanziaria di gestire i soldi che provengono dai processi edilizi, e di fatto questo porterà a una crisi dei comuni. È stata semplificata in maniera ridicola la strumentazione urbanistica, tutta basata sugli accordi operativi: accordi diretti tra i privati e il comune, per cui chiunque voglia investire va dal Comune e presenta un progetto. Questo è diventato uno strumento urbanistico: è il trionfo dell’urbanistica contrattata. Per la prima volta nella storia dell’urbanistica italiana non c’è più neanche bisogno di fare delle previsioni urbanistiche. Per quei progetti di valorizzazione di aree dismesse il Comune prevede un premio dal 5 al 10% del valore dell’area. Qui non si tratta di semplificazione ma di agevolazione di progetti speculativi che si ritorcono contro la città. Chi guadagna è sempre il privato. È un disastro per il territorio. Dove c’è cattiva politica, c’è cattiva urbanistica, sempre.»
Secondo Rocchi un antidoto ai progetti faraonici di rigenerazione urbana che producono soltanto sostituzione sociale e gentrificazione ci sarebbe: il riuso degli edifici vuoti a fini sociali e culturali, senza scopo di lucro. A oggi questo è possibile a Bologna, ma soltanto temporaneamente, fino a quando l’immobile non viene venduto.
Un’altra parola, un altro concetto, quello del temporaneo, che, come riuso, rigenerazione e partecipazione, ha cambiato connotazione con l’uso che ne ha fatto soprattutto Cassa Depositi e Prestiti in alcune aree in attesa di valorizzazione come la ex dogana di San Lorenzo e la caserma Guido Reni a Roma. Sono parole e slogan che nascondono processi di riconfigurazione della rendita fondiaria ai danni dell’interesse pubblico, altro slogan appiccicato a operazioni di segno opposto.
Intanto, bisogna inventare parole nuove.