ITALIA
Bologna, “Il padrone di merda” vendica i lavoratori sfruttati
Un collettivo anonimo ha colpito alcuni datori di lavoro disonesti nel capoluogo dell’Emilia-Romagna. E c’è già chi invoca ordine e sicurezza contro i precari che pretendono il rispetto dei loro diritti
Sul loro sito le FAQ iniziano così: «Chi siete». «Un gruppo di precari, giovani e non, che abitando a Bologna e avendo sempre lavorato in contesti di sfruttamento hanno deciso di unirsi e farla pagare ai Padroni scorretti, che sfruttano, molestano e guadagnano sulle nostre spalle». «Perché indossate le maschere?». «Perché siamo lavoratori anche dei posti che andiamo a contestare, non abbiamo tutele sindacali e spesso neanche contratti, ci possono licenziare quando vogliono. Inoltre la maschera è un simbolo per non personalizzare le nostre azioni, in quanto dietro la maschera ci possono essere tutti e il nostro obbiettivo è moltiplicarci ovunque».
Quella che portano in giro per Bologna è una semplice maschera bianca. Arrivano in gruppo, si assiepano davanti a un locale, un braccio alza un megafono, il megafono alza una voce. La voce è una testimonianza. Di chi? No, non di chi la sta leggendo, non necessariamente. Di qualcun altro, forse comunque presente, che potrebbe essere due passi più avanti, magari ad attaccare adesivi sulla vetrina del locale in questione. Nient’altro che un tondo bianco con sopra un uomo tutto baffi, cilindro e bastone. Attorno, una scritta: Il padrone di merda Bologna.
L’idea è nata a gennaio di quest’anno. È successo parlando, un corridoio universitario alle spalle, una macchinetta del caffè davanti. Il contenuto del dialogo non si conosce, il risultato, sì: la consapevolezza di avere un problema collettivo che si chiama sfruttamento, la conseguente decisione di fare qualcosa, la successiva creazione di una pagina Facebook con un nome che già sappiamo.
In appena undici mesi Il padrone di merda è riuscito a raccogliere 8mila follower, dunque mediamente 700 persone al mese. Questo perché in Italia i giovani che subiscono condizioni lavorative inaccettabili sono un esercito. Hanno dai 18 ai 35 anni, alcuni studiano, altri no. Molti sono laureati ma finiscono comunque a fare lavori umili, pagati 5 euro l’ora, tendenzialmente in nero. I più fortunati hanno contratti furbi che coprono solo un’esigua parte del monte ore effettivo. Quest’ultimo si chiama “lavoro grigio” e, così come quello nero, è in costante aumento.
Il Rapporto annuale dell’ispettorato del lavoro (2018) informa di aver rilevato irregolarità nel 70% degli accertamenti effettuati, con un aumento del 5% rispetto all’anno precedente, nonostante siano state controllate il 10% in meno di imprese. Una situazione pesante davanti alla quale le nuove generazioni si sentono lasciate sole.
Anna, una delle attiviste, dice che: «Il sindacato ormai decide di aprire vertenze solo se gli conviene, cioè nei casi in cui ci sono molti lavoratori coinvolti, come se il singolo non importasse». «Mentre l’ispettorat – aggiunge Dario – è non dico inutile, ma di sicuro poco propenso ad agire. E se agisce, ha comunque pochi strumenti per recuperare stipendi persi, tredicesime o tfr. In qualche caso, invece, è intervenuto solo dopo che siamo intervenuti noi, solo dopo che siamo andati sotto le aziende che non pagavano, solo dopo che abbiamo fatto dei post, solo dopo che abbiamo contattato i padroni di merda, solo dopo che li abbiamo contestati. In quei casi l’ispettorato è intervenuto… solo dopo, però».
Così, in questo vuoto di tutele solide, i ragazzi di Bologna hanno deciso di fare da sé. Denunciare qualcuno al Padrone di merda è facile: basta scrivere un messaggio su Facebook. Fatto questo, gli attivisti incontrano il lavoratore per appurare la veridicità della testimonianza. A seguito di ciò si organizza l’azione: lettura pubblica della testimonianza e invito al boicottaggio. Le reazioni dei diretti interessati sono varie. Oscillano dal mostrarsi aperti al dialogo sino alla violenza fisica. Curiosamente, sono stati diversi i padroni che durante le azioni hanno iniziato a urlare agli attivisti «Ma andate a lavorare! AN-DA-TE A LA- VO-RA-RE!», come se fossero lì perché non ne avessero voglia.
Nemmeno il rapporto con le istituzioni è buono. Come riportato dalla Gazzetta di Bologna: «In un recente post sulla loro pagina Facebook (de Il padrone di merda, ndr) hanno attaccato i “politicanti bolognesi” sostenendo che dovrebbero occuparsi di questioni più importanti e urgenti come l’emergenza disoccupazione o lo sfruttamento sul posto di lavoro piuttosto che di “un gruppo di lavoratori stufi di stare a guardare”. Il collettivo si riferisce alle dichiarazioni del consigliere comunale della Lega Umberto Bosco che li ha definiti “un gruppo di giustizieri mascherati” e dell’assessore Aitini, il quale ha affermato che al prossimo comitato per l’ordine e la sicurezza provinciale solleciterà le forze dell’ordine a proseguire nel lavoro di individuazione dei responsabili degli episodi “gravi e preoccupanti” avvenuti negli ultimi mesi».
Secondo Roberto, uno degli attivisti intervistati: «È evidente che tutto l’apparato istituzionale funziona per agevolare i padroni. Infatti, quando hai un piccolo problema entri in una macchina burocratica che ti sfinisce, ha dei costi e ti impedisce di raggiungere l’obiettivo. Le nostre azioni servono sicuramente ad accelerare l’ottenimento del risultato. Però c’è anche altro: basta. Basta con questi padroni che fanno qualsiasi cosa; basta subire. Abbiamo anche il legittimo desiderio di vendicarci. C’è bisogno che in questa città si inizi a porre un freno a questa deriva di cui sono responsabili tutti, politici (tutti, destra e sinistra, dal primo all’ultimo) e giù a scendere: cooperative, partiti, sindacati, associazioni di categoria… Tutti! Sono tutti responsabili. E questa macchina va spezzata».
Qualche vittoria già sono riusciti a ottenerla. Ha fatto scalpore l’azione portata avanti contro il celebre colosso del bio, Naturasì, dopo che quest’ultimo aveva aperto una posizione per un tirocinio da 40 ore settimanali per laureati in economia o scienze della comunicazione, alle quali sarebbe corrisposta una retribuzione di 450 euro mensili, ovverosia 2,80 euro orari.
Qualcuno avrà sicuramente voglia di spiegare come in Italia il punto non siano tanto gli imprenditori disonesti, quanto l’eccessiva tassazione. Non è vero, o meglio, è sicuramente così per molte piccole realtà che hanno altrettanto piccoli volumi di fatturato. Tuttavia il nero, il grigio e lo sfruttamento pesante riguardano tanto l’ambiente in difficoltà quanto quello dagli affari molto floridi. Perché questo Paese, prima delle tasse, ha un altro problema: l’etica.
Tutte le immagini sono dell’autrice