ITALIA
Bologna, istruttoria pubblica sul disagio abitativo, tra Airbnb e sfratti
Cittadini e studenti chiedono un cambio di rotta sull’emergenza casa: stop Airbnb, revisione dei contratti a canone concordato e per studenti, la mappatura delle case vuote e una partecipazione reale
Si è conclusa l‘istruttoria pubblica sul disagio abitativo a Bologna. È durata due giorni a causa del gran numero di interventi di comitati e associazioni locali, venerdì e sabato scorso. Il suo obiettivo è promuovere, attraverso un pubblico dibattito, l’elaborazione di proposte per la redazione del nuovo Piano Urbanistico Generale, la formazione del bilancio di previsione, la regolamentazione degli affitti turistici e la stesura di un piano complessivo dell’abitare. Sono emersi dati, prospettive e proposte per fronteggiare quella che è a tutti gli effetti una vera emergenza abitativa, secondo Pensare Urbano, il comitato promotore nato nel 2018 per affrontare il problema, che ha raccolto nei mesi scorsi le 2.235 firme necessarie per l’avvio dell’istruttoria. Fuori da Palazzo d’Accursio, intanto, decine di attivisti hanno dato vita ad una “tendata” per il diritto all’abitare.
Fra le richieste avanzate lo stop di Airbnb, la necessità di rivedere il canone concordato, ancora poco attraente, e quello per gli studenti, che riguarda solamente uno studente su cinque. Infine, una mappatura degli alloggi sfitti, perché «non serve costruire ancora, aumentando ancora il consumo di suolo e i profitti dei costruttori».
L’emergenza abitativa a Bologna, dove il 32,6% della popolazione vive in affitto e la popolazione residente è aumentata del 4% negli ultimi dieci anni, è particolarmente sentita dagli studenti in cerca di una stanza (+3.600 studenti dal 2010) e si è acuita di pari passo con la crescita del turismo. Fra il 2013 e il 2018 il numero di turisti che visitano Bologna, popolazione 390mila, è cresciuto del 46% raggiungendo 1,5 milioni di turisti nel 2018, con pernottamenti per 3,1 milioni di turisti. Il numero di strutture alberghiere è rimasto invariato, mentre i posti letto sono aumentati del 262% e le strutture extralberghiere sono triplicate dal 2014, secondo i dati presentati durante l’istruttoria da Giovanna Trombetti, tecnico del Comune.
Il boom di Airbnb c’è stato fra il 2015 e il 2016, quando la percentuale del patrimonio immobiliare del centro storico offerto su Airbnb è aumentato del 140%. Gli alloggi Airbnb hanno raggiunto quota 5.514 nel 2018 (erano 3.000 nel 2017). Oltre la metà sono interi appartamenti, sottratti al mercato ordinario, e il 49% degli host gestisce più di un annuncio. Secondo uno studio dell’Istituto Cattaneo per guadagnare tramite Airbnb quanto si guadagna con un contratto a canone di mercato, a Bologna è sufficiente affittare il proprio appartamento 104 giorni all’anno.
A differenza di altri centri di città d’arte come Venezia, Firenze e anche Napoli, il cui tessuto abitativo ed economico è ormai stravolto dai flussi turistici in aumento, il centro di Bologna conserva un equilibrio fra funzioni urbane anche grazie alla presenza di una popolazione studentesca in centro, una piacevole eccezione in un paese alle prese con un importante calo demografico e un alto tasso di emigrazione verso l’estero. Bologna è ancora in tempo, ma l’equilibrio potrebbe infrangersi presto con l’arrivo del marchio Unesco, notoriamente una condanna a morte per le città che lo adottano. Secondo Fabio D’Alfonso di Pensare Urbano, «il disegno dell’amministrazione di Bologna è legare sempre più l’economia della città al turismo, con l’espulsione della popolazione studentesca nelle aree periferiche della città». Anziché puntare a trattenere la popolazione giovane, attratta dalla presenza dell’Università, con politiche abitative favorevoli, il Comune sembra preferire un target di clienti-consumatori di passaggio, incentivando un turismo perlopiù legato al cibo, destinando molte delle risorse pubbliche nella creazione di servizi per turisti, come il People Mover, piuttosto che per i cittadini.
In apertura dell’istruttoria l’assessore alla casa Virginia Gieri ha illustrato il piano 1000 case per Bologna dichiarando conclusa «la fase acuta dell’emergenza abitativa». Il picco di sfratti a Bologna si è infatti registrato nel 2014, oggi i numeri sono tornati ai livelli pre-crisi. Ovvero chi non è riuscito a superare la crisi è già stato sfrattato: più che un dato positivo, un segnale del fallimento delle politiche abitative negli anni di maggiore crisi. Dove si è spostata la popolazione più debole?
Sulle politiche abitative Pensare Urbano chiede un cambio di rotta. «L’obiettivo è stato quello di porre l’amministrazione ad un bivio, senza alcuna possibilità di procrastinare o di sottrarsi dalle responsabilità politiche. Le due strade che abbiamo delineato portano a due città diverse: da un lato una città privata della sua natura e solo per pochi, dall’altro una città giusta e accogliente, per tutti e tutte. Abbiamo proposto una regolamentazione ferrea delle piattaforme turistiche, tramite l’introduzione di un codice unico identificativo e del criterio “un host, una casa”, così da ridurre al minimo la sottrazione di immobili dal mercato degli affitti» si legge nel comunicato pubblicato al termine dell’istruttoria.
Secondo il sindaco Virginio Merola quello degli alloggi vuoti sarebbe un mito. Meglio «concentrarsi sui controlli contro gli affitti in nero» e rilanciare il mercato dell’affitto, ha commentato a margine della presentazione delle nuove Mobike in piazza Maggiore. L’assessore al turismo Matteo Lepore ha promesso l’istituzione di una forma di partecipazione continuativa degli studenti in Consiglio Comunale e la regolamentazione delle piattaforme turistiche come Airbnb. Ma secondo il Comitato promotore «non è chiaro in che modo il Comune intenda regolare, e per adesso l’unica certezza è che Bologna proporrà una riforma della legge regionale sugli affitti brevi del 2004».
Bologna ha aderito all’appello lanciato da dieci città europee a Bruxelles, all’indomani del parere dell’avvocato della Corte di Giustizia UE secondo cui Airbnb non fornirebbe servizi materiali ma agirebbe da intermediario. Un parere che, se tramutato in sentenza, bloccherebbe i tentativi di regolamentare le piattaforme. In Italia una sentenza simile farebbe decadere la norma approvata nel 2017 che obbliga Airbnb alla riscossione e al pagamento della cedolare secca. Airbnb ha fatto ricorso contro la norma, omettendo di versare 430 milioni allo stato italiano. Il Consiglio di stato ha fatto ricorso alla corte EU. Il tema della trasparenza e dell’accesso ai dati di Airbnb è stato più volte sollevato nel corso dell’istruttoria. Un altro nodo tutto italiano da risolvere con urgenza è la distinzione fra attività occasionali e attività imprenditoriali su Airbnb. In molte città del mondo il criterio adottato impone una soglia di numero di notti e di alloggi; in Italia il criterio è ancora legato alla tipologia di servizi offerti, impossibile da verificare. Un criterio diverso sarebbe dovuto essere definito con un decreto attuativo della legge 50/2017 sulla cedolare secca, mai emanato. L’attuale DDL Delega al Governo in materia di turismo stabilisce che il Governo si impegnerà a definire i criteri di distinzione. Questo consentirebbe una maggiore autonomia di regolamentazione alle regioni (con le leggi in materia di turismo) e ai comuni, con i regolamenti urbanistici). Ma, con il cambio di governo, i tempi previsti sono lunghi.
Nell’immediato, spiega Pensare Urbano, «l’amministrazione ha un massimo di sessanta giorni per formulare un ordine del giorno da portare in votazione in Consiglio Comunale. L’istruttoria è stato solo un primo passo, e come comitato promotore continueremo a fare pressione e costruire momenti di analisi e mobilitazione, affinché vengano rispettati gli impegni presi e soprattutto ne vengano presi tanti altri. Ora l’amministrazione sa che non ci sono più alibi: in tantissimi sono disposti a mobilitarsi e ad attivarsi per il diritto alla casa, e non tollereranno più rinvii e interventi poco efficaci. Insomma, abbiamo appena iniziato a farci sentire!»
Foto di copertina di Vittorio Giannitelli