MONDO

Bolivia: i tempi del colpo di Stato

In Bolivia le nuove elezioni si presentano fortemente segnate dalla repressione attuata dall’autoproclamato governo boliviano e dalla fragilità dei movimenti sociali che hanno guidato il processo di cambiamento nel paese

La via elettorale in Bolivia era prevedibile. È parte centrale della strategia golpista, auto-rappresentazione e legittimità internazionale. I passaggi sono chiari: rovesciamento del governo di Evo Morales, istituzionalizzazione fittizia di un governo di fatto guidato dall’autoproclamata presidente Jeanine Añez, persecuzione mirata a movimenti ed esponenti politici, accordo forzato per le elezioni, risoluzione attraverso il voto, come a dire qui non è successo niente.

La strategia del colpo di Stato in Bolivia non è nuova, ha riunito e utilizzato modalità di azione già viste e utilizzate nei golpe in Honduras (2009), Paraguay (2012), Brasile (2016), aggiungendo a questi elementi utilizzati e testati per il golpe in Venezuela, tra cui, gruppi di assalto, i loro armamenti e le loro modalità di funzionamento-azione. La strategia da manuale è la stessa ripetuta come un mantra dal gennaio 2019 in Venezuela dall’autoproclamato presidente Juan Guaidó: «Fine dell’usurpazione, governo di transizione, libere elezioni»

In questo senso non sorprende affatto che le scelte politiche attuate dall’autoproclamata Añez e dai poteri forti che guidano il colpo di stato abbiano spinto verso uno scenario elettorale, vale a dire, nuove elezioni. Questa strategia per funzionare ha avuto bisogno di un tassello fondamentale: un accordo con la maggioranza del MAS in parlamento. Accordo raggiunto domenica scorsa assieme alla nomina di Añez a capo del Tribunale Elettorale Supremo (TSE).

Il colpo di Stato procede come previsto, con elementi, punti ancora irrisolti: l’immunità per Evo Morales e la data delle nuove elezioni, a cui è già noto che il presidente democraticamente eletto non potrà prendere parte. Ciò che sembra essere certo è che l’attuale governo di fatto rimarrà in carica più tempo di quanto aveva annunciato quando ha preso il potere con l’appoggio delle forze armate boliviane. Le elezioni potrebbero svolgersi nel marzo 2020.

Questo avanzamento elettorale del piano golpista procede tra massacri e cacce all’uomo. Sono già 34 le persone uccise durante le proteste, 78 autorità – tra cui governatori, sindaci, consiglieri – sono state costrette a dimettersi, senza contare vari ministri, il presidente e il vice presidente, militanti e leader sotto minaccia hanno ottenuto asilo politico, le liste con nome e cognome sono iniziate a circolare prima delle dimissioni di Morales e García Linera.

L’accordo siglato dai consiglieri del Mas, è espressione di una condizione di debolezza e persecuzione, di chi si trova alle corde, in un contesto politico in cui le stesse piazze e mobilitazioni non sono in grado di rimuovere il governo di fatto.  Viste le condizioni anche i deputati del Mas hanno optato e scommesso per una soluzione elettorale.

Questa sembra essere stata la strategia adottata dal Mas che, in un contesto estremamente complesso, non è riuscito a costruire e delineare un’azione comune capace di contrastare l’avanzata golpista nei suoi differenti momenti: nei giorni iniziali e cruenti dell’offensiva, nel momento della sua concretizzazione e nelle settimane successive al colpo di stato. Questa situazione rende evidente le carenze, le debolezze del processo del “cambio” (espressione utilizzata per indicare la fase dei governi progressi in Latino America, ndt), è venuto meno il suo principale strumento politico, il legame tra movimenti e dirigenza.

L’assalto golpista ha colto di sorpresa un movimento politico che già da tempo veniva accumulando debolezze interne ed esterne. Le differenze si sono tradotte in divisioni organizzative come, ad esempio, l’esistenza di due Federazioni di Juntas Vecinales presenti nella città di El Alto, una che fa parte del processo del “cambio” e l’altra che vi si oppone.

I fattori esterni, che vanno oltre gli attori, i soggetti politici che conformano l’architettura del processo del “cambio”, sono stati principalmente due: il referendum del 2016 e i problemi avuti la notte del 20 ottobre con la trasmissione in diretta dei risultati provvisori delle elezioni. La strategia golpista, preparata e meditata da tempo, ha utilizzato questi due elementi come punti di appoggio per costruire e canalizzare una narrativa accusatoria contro il governo. Questa narrativa è stata assunta da ampi settori della popolazione, principalmente dalla classe media – con la particolarità che questa classe ha in Bolivia – e dalla classe alta boliviana.

Così la firma dell’accordo per le nuove elezioni è sembrata una strada inevitabile, a meno che il governo di fatto non avesse optato per la chiusura e scioglimento del potere legislativo, cosa su cui si è speculato per diversi giorni.

Di fronte a questo i movimenti hanno assunto posizionamenti differenti. Alcuni leader, come Andrónico Rodríguez, del Tropico, ha affermato che le mobilitazioni continueranno. Altri, come Segundina Flores, della Confederación de Mujeres Bartolina Sisa, si sono scusati per essersi seduti a dialogare con il governo di fatto. Per quanto riguarda la Central Obrera Boliviana (COB), la sua posizione di fronte al colpo di stato ha oscillato in diversi momenti, in particolare la domenica quando Evo Morales si è dimesso.

Nei prossimi giorni si cercherà di rendere evidente agli occhi della Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) i massacri perpetuati dal governo di fatto per placare le proteste, così come la volontà di salvaguardare e proteggere le Forze Armate che si avvalgono di un decreto ad hoc che gli garantisce loro l’impunità per i massacri commessi, nonché lo stanziamento straordinario di 5 milioni di dollari necessario per portare avanti quello che stanno facendo.

Al momento le domande aperte sono molte. Una di queste è se i diversi attori che partecipano al processo del cambiamento iniziato più di dieci anni fa, saranno in grado di costruire una piattaforma elettorale per le prossime elezioni, cosa che dipenderà sia dai leader e dai movimenti stessi quanto dalle condizioni materiali che dovranno affrontare in un contesto caratterizzato da repressione e persecuzione. Un’altra questione è se questa piattaforma sarà in grado di articolare una strategia di movimento capace di far sentire il fiato sul collo al governo di fatto.

Il colpo di stato in Bolivia mostra come si sono andati perfezionando i metodi di rovesciamento e auto-proclamazione per un colpo di stato ed evidenzia la centralità che sta assumendo la legittimità internazionale in questo meccanismo che, in questo caso, ha coinvolto gli Stati Uniti, l’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), l’Unione Europea (UE) e i governi di destra della regione.

In Bolivia, si sta giocando una partita chiave che riguarda tutto il continente. Nulla di ciò che accade è estraneo ad altri paesi: il colpo di stato dovrebbe servire da specchio per osservare il tempo in cui ci troviamo.

 

Articolo apparso sul sito La Tinta

Traduzione italiana di Matteo Codelupi per DINAMOpress