ROMA
Blitz dellə precariə della ricerca a Palazzo Sapienza a Roma
Mercoledì mattina, un gruppo di ricercatrici e ricercatori degli atenei romani è entrato nella storica sede a corso Rinascimento. Al centro dell’azione la protesta contro il Ddl 1240 della ministra Bernini, che definanzia l’istruzione pubblica mettendo a rischio decine di migliaia di posti di lavoro
Al grido «Stiamo perdendo il lavoro» un gruppo di precarie e precari della ricerca delle università romane è entrato mercoledì mattina a Palazzo della Sapienza, l’edificio che dal 1660 fino al XIXesimo secolo ha ospitato il primo ateneo della capitale. Dai balconi che cingono il cortile interno sono stati calati due striscioni, di cui uno recitava lo slogan «Basta precarietà – No al Ddl 1240». L’occupazione, simbolica e temporanea, si è infatti svolta all’interno della settimana di mobilitazione indetta dagli Stati di agitazione dell’Università, per protestare contro il disegno di legge voluto dalla ministra Bernini.
Il provvedimento mira a riformare il preruolo universitario attraverso l’introduzione di nuovi contratti iperprecarizzati e a basso costo, concessi dai dipartimenti con un ampio margine di discrezionalità e al di fuori di procedure concorsuali.
Queste nuove tipologie contrattuali (contratti post-doc, borse di ricerca senior/junior, e contratti per “professori aggiunti”), non sono pensati come tappe per la stabilizzazione della ricerca precaria, anzi, al contrario. Proprio Bernini, come viene evidenziato dal comunicato diffuso durante la protesta, intende creare con questi contratti una “cassetta degli attrezzi” che i rettori potranno utilizzare per mandare avanti la didattica nei loro istituti nonostante i tagli drastici annunciati per i prossimi anni.
Il governo Meloni ha infatti dichiarato una guerra senza pietà all’università pubblica italiana. Già nella Legge di Bilancio dello scorso anno, il Fondo di finanziamento ordinario (Ffo), ovvero il budget che il ministero dell’Università e della ricerca alloca annualmente alle università statali per la copertura delle spese istituzionali, tra cui i costi di personale e di funzionamento, è stato tagliato di 500 milioni di euro. Nella finanziaria di quest’anno, i tagli sono addirittura aumentati: è previsto per il triennio 2025-2027 un decurtamento di 700 milioni di euro al Ffo, per un definanziamento complessivo di circa 1,3 miliardi di euro.
L’intento dell’esecutivo sembra quello di distruggere l’università e la ricerca pubblica, mantenendo lo scheletro di questa istituzione per poter mandare avanti solamente le “eccellenze”.
Per sopravvivere, gli altri atenei potranno contare solo sui finanziamenti privati, se sono abbastanza bravi a convincere le aziende. Questi tagli, viene evidenziato nel comunicato, sono paragonabili a quelli fatti del quarto governo Berlusconi, che nel 2008 tagliò 1,5 miliardi di euro a università e ricerca. La grande differenza è che, all’epoca, il personale precario che lavorava nelle università italiane era complessivamente di 12mila unità, mentre oggi sono almeno 40mila, a cui bisogna anche aggiungere 30mila docenti a contratto e decine di migliaia di dottorandi, la cui carriera universitaria è quasi completamente preclusa.
A pagare le conseguenze di questi tagli sarà il precariato storico, che dopo anni di contratti a termine dovrà scegliere se essere definitivamente espulso dall’università o diventare un “cervello in fuga”, ma anche il personale strutturato, che non potrà più contare sulla forza lavoro precaria per portare avanti gruppi di studio e progetti di ricerca. Ovviamente verrà penalizzato anche il corpo studentesco, che vedrà chiudere corsi di studio e ridursi il welfare universitario, nonché aumentare le tasse. Ma rischiano la serrata anche i piccoli e medi atenei, soprattutto del Sud e nelle isole, a causa nella competizione tra le università.
Si preannunciano tempi bui per l’istruzione universitaria pubblica, tempi bui quanto lo sono stati quelli della riforma Gelmini del 2011. Ma anche tempi di lotta. Il precariato accademico ha annunciato che la mobilitazione andrà avanti fino all’abbandono da parte della maggioranza del Ddl 1240 della ministra Bernini, con anche la possibilità che venga indetto uno sciopero dell’intero comparto della formazione.
tutte le immagini sono di Jacopo Clemenzi
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