ITALIA
Benedetto Vecchi, scendere negli atelier della produzione
Poco più di un mese fa ci ha lasciati Benedetto Vecchi. Alla sua ricerca, sempre curiosa del tempo a venire, dedicheremo una giornata di studi presso l’atelier autogestito Esc, il prossimo 29 febbraio
«Capitalismo delle piattaforme è una espressione generica per qualificare una realtà dai confini molto incerti» (Il capitalismo delle piattaforme, manifestolibri 2017, p. 23). Era scettico, Benedetto, nei confronti della definizione mainstream: è vero, le piattaforme digitali consentono una inedita organizzazione del lavoro e della distribuzione delle merci; ma come si forma il valore? Meglio ancora: cos’è il plusvalore, nell’epoca della produzione di merci a mezzo di linguaggio, codici, simboli, ecc.? La svolta 2.0 della Rete, le app e i Social Network, indubbiamente rendono possibile l’estrazione continua di dati (Big Data), utili per comprimere enormemente i tempi di circolazione del capitale, ma la profilazione dei clienti non assicura la vendita, e non basta la vendita ad accrescere i profitti.
«Parlare di capitalismo delle piattaforme significa dunque immaginare i bacini del lavoro vivo progettati per attingere, di volta in volta, le figure lavorative necessarie, sia che si tratti di bikers, di “turchi meccanici”, di virtuosi della programmazione informatica o di analisti finanziari» (Ivi, p. 52). Sì, lui che era stato tecnico informatico, prima di diventare giornalista, non si era mai fatto abbagliare: la “fatica” contemporanea non coincide con gli ingegneri o i designer della Silicon Valley. La discontinuità più rilevante imposta dalla Rete, oggi dalle piattaforme, è piuttosto la «composizione proteiforme del lavoro vivo». Ecco dunque l’indicazione costante di Benedetto: «scendere negli atelier della produzione». Postura operaista mai abbandonata, antidoto alle “buone novelle” di Jeremy Rifkin o di Paul Mason. Non solo non è vero che la «seconda età delle macchine» espellerà donne e uomini dalla produzione, non c’è diagnosi calzante del capitalismo contemporaneo senza individuare dove e come viene estorto plusvalore dalla cooperazione produttiva.
‘Bacino’ è un modo per dire metropoli produttiva, e sappiamo quanto il tema fosse caro a Benedetto. Ma è nozione decisiva per insistere su altre due questioni: la logistica, «fattore fondamentale dello sviluppo capitalistico»; la moltiplicazione delle figure contrattuali dell’impiego, nonché l’ibridazione tra lavoro formale e informale. Nel riflettere sul secondo problema, Benedetto non abbassava la guardia e ribadiva il paradosso: quanto più va in crisi la società salariale, le forme atipiche dell’occupazione a dimostrarlo, tanto più la schiavitù salariale si estende nel mondo tutto. Ancora: competenze e formazione continua non si traducono in stipendi d’oro; l’intellettualità di massa conosce, invece, la compressione del salario al di sotto dei costi di riproduzione della vita (pensiamo agli stage o al free job). Lo sguardo in avanti, senza nuotare con la corrente – come non smette di fare la socialdemocrazia di mezzo mondo, mentre affonda sotto i colpi del populismo autoritario.
Non stupisce, allora, se il rinnovato socialismo utopista lasciava Benedetto più che perplesso. E lo spingeva a tornare sul problema dell’organizzazione politica. Con una premessa metodologica, irrinunciabile: nel «pensiero critico non c’è spazio per una deriva apocalittica, da fine della storia», occorre invece «una perseverante, cocciuta prassi teorica che individui le fragilità e i punti di rottura» (Ivi, p. 70). Se il partito, nell’accezione leniniana ancora potente, è la «fabbrica rovesciata», cosa significa rovesciare la Rete e la metropoli produttiva? Non ci sono scappatoie: evitare di rispondere a questa domanda significa nascondere la testa sotto la sabbia, mentre la barbarie avanza senza sosta. «Dividere l’uno in due», per Benedetto, voleva dire oggi più che mai favorire processi di auto-valorizzazione capaci di «rompere l’alleanza stabile tra capitale e settori [importanti] del lavoro vivo» (Ivi, p. 85).
Brevi note, le nostre, per ricostruire i tratti salienti dell’ultimo saggio di Ben. Molto altro andrebbe letto e riletto, tra le centinaia di recensioni, gli speech nei dibattiti di decenni sempre spesi nella ricerca collettiva – quella testarda, inappariscente, decisiva. La stessa ricerca che, per continuare a pensare con Benedetto, proponiamo di rilanciare il prossimo 29 febbraio, a partire dalle ore 10 e per tutta la giornata presso Esc atelier autogestito.
Potete inviare le vostre proposte di intervento al seguente indirizzo mail: cercareancoraconben@gmail.com