ITALIA

Il (basso) costo della vita di un ciclofattorino

Quella di Marco, ciclofattorino di Deliveroo rimasto gravemente ferito durante l’orario di lavoro, è una storia purtroppo comune a molti lavoratori delle piattaforme. La moltiplicazione della solidarietà tra i lavoratori, è l’unico antidoto contro un modello di business che deprezza la vita.

Marco ha appena consegnato le ultime pizze della serata, sono le dieci di un giovedì sera. Come tanti altri suoi colleghi per fare il rider noleggia un motorino, mezzo che gli consente di fare qualche consegna in più rispetto alla bicicletta: più consegni e più guadagni. Lavora ogni giorno, sette giorni su sette, per poco meno di 1300 euro. Ogni consegna sono cinque euro. Ovviamente con quei soldi ci deve pagare anche il noleggio dello scooter e il carburante. Dopotutto Deliveroo, la piattaforma di food delivery per la quale lavora, lo considera contro a ogni evidenza un lavoratore autonomo, quindi gli scarica addosso tutti i costi.

Mentre torna a casa quella sera, Marco sente una spinta fortissima da dietro, pochi secondi e si accorge che una macchina lo sta tamponando. Sobbalza come un flipper sulle macchine parcheggiate, finché poco prima di riuscire a frenare non finisce a sbattere violentemente contro una vettura. Attualmente è in ospedale con diverse costole rotte e una cicatrice che gli attraversa l’intera pancia per via dell’operazione di rimozione della milza, esplosa nell’impatto.

Quella di Marco, purtroppo, è una storia che le cronache dei giornali locali ci hanno più volte raccontato. Ciclofattorini investiti, morti, feriti, amputati. Dopotutto se devi fare quattro consegne all’ora in una città come Roma devi pur sempre chiudere un occhio sulla tua sicurezza personale: passi con il rosso, in contromano, sui marciapiede. Ma più consegni, più guadagni.

Abbiamo letto la storia di Marco sul giornale, non lo conoscevamo ma siamo andati ad incontrarlo nella stanza di ospedale dove adesso è ricoverato. La sua storia è dolce e dolorosa: vive da pochissimo a Roma per inseguire il sogno di diventare un cantante, i genitori purtroppo non ci sono più ma viene circondato dalla comunità di amici, colleghi. Per pagarsi le lezioni di canto ha svolto moltissimi lavoretti affrontando la giungla del lavoro povero e precario. Prima di arrivare a Deliveroo ha lavorato come ciclofattorino in una pizzeria, ma la paga era misera e i datori di lavoro lo trattavano malissimo. Sempre rischiando la vita in motorino. Poi arriva il lavoro nella piattaforma che permette una “flessibilità” tale da poter scegliere (seppure parzialmente): comunque può gestire come vuole le lezioni di canto, la sua vita sociale ed amorosa.

Ma nuovamente la flessibilità si è trasformata nell’ennesimo atto di precarietà violenta: quasi ti ammazzano e loro spariscono. Non ti chiamano neanche per sapere come stai. Deliveroo, a differenza di altre piattaforme, vanta una assicurazione minimale. L’ennesimo modo per nascondere la natura subordinata del rapporto che intercorre tra ciclofattorini e piattaforma. La violenza aumenta quando si vedono i tabellari di questa assicurazione: il “discount del dolore” l’hanno definito in un comunicato le Camere del lavoro autonomo e precario. Un tabellario infamante, in cui se muori in un incidente o rimani tetraplegico l’assicurazione ti rimborsa cinquanta mila euro, più tremila euro per la sepoltura. Cinquantatremila euro se muori.

 

 

Davanti a queste verità che ti massacrano il cuore, pensiamo che ci sia l’esigenza e la necessità di uscire da questo incubo che il mondo del lavoro precario, sfruttato e povero ci costringe a vivere giorno e notte. Di fronte alla violenza che queste multinazionali pongono sulle vite di giovanissimi, e non solo, pensiamo esista una sola soluzione: una nuova ondata di solidarietà, umana e sindacale e la capacità di rilancio della mobilitazione dei e delle riders che, nei mesi passati, hanno costretto il Ministro del Lavoro ad incontrarli, nonostante le promesse nuovamente disattese.

Una prima forma di solidarietà è stata andare a trovare Marco, di conoscersi e raccontarsi. Ma non basta, non può essere sufficiente. Per questo come Camere del lavoro autonomo e precario, oltre alla disponibilità di un supporto legale, abbiamo aperto immediatamente una raccolta fondi a suo sostegno. L’unico modo per rispondere alla barbarie del mondo del lavoro attuale è far esplodere la solidarietà. Farla diventare uno degli strumenti fondamentali per ricostruire reti sociali massacrate da rapporti lavorativi sempre più competitivi e soffocanti, che permettano di costruire nuove forme di mutuo aiuto.

Agli inizi del Novecento il motto degli Industrial workers of the world era «ani injury to one is an injuty to all». Di fronte alla barbarie non se ne può fare a meno, il torto fatto a Marco è un torto fatto a tutte e tutti noi. Dopotutto sindacato significa farsi giustizia insieme.

 

 

Per contribuire alle spese per Marco si può fare un bonifico (presso Banca Etica, intestazione: ASSOCIAZIONE CLAP- Camere del Lavoro Autonomo e precario; IBAN: IT55Z0501803200000000174547) Specificando nella causale: “Donazione a sostegno di Marco La Corte”

 

L’autore dell’articolo è un attivista delle Camere del Lavoro Autonomo e Precario