ITALIA
A Bari siamo tutti poveri, bianchi, neri, gialli e verdi
Nella narrazione di Bari a seguito dei fatti dell’aggressione di CasaPound al termine del corteo di protesta contro Matteo Salvini, c’è un attore che è stato tenuto fuori, la Sacra Corona Unita. Così come su tutto il territorio nazionale, anche qui Salvini vorrebbe convincerci che il vero problema siano gli immigrati, e non il progressivo impoverimento o l’imperversare della criminalità organizzata. Gli antifascisti baresi hanno convocato una nuova manifestazione il 29 settembre in Piazza Prefettura contro le politiche ormai apertamente razziste del Governo
Per capire davvero l’aggressione squadrista avvenuta a Bari la scorsa settimana al termine della manifestazione di protesta contro Matteo Salvini è necessaria una premessa: non si è tenuta in un quadrante qualsiasi, ma nel quartiere Libertà, le cui strade lambiscono il centro economico e commerciale del capoluogo pugliese. A pochi metri dalla vetrina della Città e dall’Ateneo, nel reticolo di strette strade e palazzetti costruiti di corsa per rispondere alle esigenze demografiche del secolo scorso, sorge il quartiere più meticcio di Bari, luogo d’intreccio di etnie e nazionalità stratificate a seconda delle ondate migratorie conseguenza dei fatti storici dal crollo del Muro di Berlino in poi, passando per le Torri Gemelle e il dissesto in Libia. Gruppi che trovano difficile l’integrazione fra loro e con i residenti “originari” del quartiere e dove le iniziative per favorirla sono inesistenti o operate con molta fatica solo nell’oratorio della Chiesa del Redentore, a cui per ovvi motivi religiosi molte persone non si avvicinano nemmeno.
Due i minimi comuni denominatori che valgono per tutti: il progressivo impoverimento e la presenza costante della Sacra Corona Unita, misteriosamente scomparsa dalle cronache giornalistiche o derubricata a generica “mafia”, ma molto attiva nella realtà e con un volume d’affari di più di due miliardi di euro nella sola Puglia.
I vuoti di potere non esistono, e laddove lo Stato abbandona, arriva la mafia a provvedere alle necessità dei cittadini. Un luogo dove vivere in cambio di una stanza dove stipare un droga/armi/sigarette di contrabbando, qualche spicciolo per in trasporto di queste cose in un mezzo insospettabile e via dicendo.
Un quartiere in cui i negozi storici provano a resistere ma spesso chiudono, schiacciati dalla crisi del commercio, affitti a prezzi stellari per la vicinanza al centro se raffrontati alla qualità della vita fra completa assenza di zone verdi, traffico continuamente congestionato e raccolta dei rifiuti insufficiente, con addirittura la sede del Tribunale Penale a rischio di crollo, sgomberata e con i processi celebrati in tende piantate per strada. Spaccio, prostituzione e vendita di armi sono le attività più redditizie svolte nel territorio, dove saltuariamente avvengono sparatorie e dove le mai sopite faide fra clan, sebbene lontane dai numeri sanguinari delle faide del foggiano, continuano a imperversare e a costringere tutti, baresi, italiani, migranti, stranieri a convivere con la paura.
Qui, il 13 settembre è arrivato Matteo Salvini, Ministro dell’Interno e Vicepresidente del Consiglio del Governo del Cambiamento. Leader antisistema che ha ricoperto incarichi politici ininterrottamente dal 1993 (se la prende comoda per abbatterlo questo sistema), europarlamentare antieuropeista assenteista e capo di un partito che, oltre ad aver frodato lo Stato che amministra per 49 milioni di euro, è già stato al Governo in tre diverse occasioni.
A ragione, qualcuno ingenuamente potrebbe credere che il Ministro dell’Interno arriva in un luogo fattivamente governato da una associazione mafiosa infiltrata ed abbarbicata come un cancro metastatico dentro il potere politico, economico e sociale di una città ricca ma complessa (oltre il Libertà anche i quartieri Madonnella, Carbonara, Catino San Pio sono teatro di spaccio, sparatorie e terreno di potere della malavita) in cui le divisioni economiche vanno inasprendosi, con un piano di contrasto della criminalità, o un piano per favorire l’integrazione a partire dalle scuole, creazione di luoghi di aggregazione per favorire il commercio di quartiere o anche di una semplice area verde dove incontrarsi, parlare, conoscersi, o ancora un piano per favorire l’inserimento nel mondo del lavoro o per dare una casa a chi non ne possiede una.
Invece no. Salvini arriva per prendere impegno con i cittadini baresi, sfiancati dalla situazione descritta, ma solo contro l’immigrazione. Circa due settimane prima del voto sul Decreto Salvini che apre un’autostrada verso l’apartheid, arriva nel luogo crocevia di millenari incontri di culture per rassicurare che a breve gli stranieri non saranno più un problema. Fra folle ad accoglierlo montate ad arte su FB, irruzioni della Digos in casa di una donna rea di aver affisso uno striscione “Salvini Bimbominkia” alludendo all’utilizzo poco istituzionale dei social operato dal nostro patriota, e teatrini con Michele Emiliano sul colore della pelle del Santo Patrono della Città, non una parola è stata spesa ad esempio sulle politiche giovanili di una regione che pur vantando una popolazione studentesca universitaria di quasi 100.000 studenti con tre Atenei ed un Politecnico vede ogni anno emigrare non meno di ventimila giovani.
Scontata la reazione dei cittadini Baresi. Un presidio convocato all’ultimo, appena appresa la notizia della “visita” la mattina del 13 settembre finito con un attivista portato in Questura e l’irruzione di cui dicevamo sopra, e soprattutto la splendida manifestazione del 21 settembre dove migliaia di persone di diversa provenienza geografica hanno scelto di scendere in piazza per mostrare il volto accogliente del capoluogo pugliese.
E per farlo hanno camminato proprio nelle strade del quartiere Libertà dove, da qualche anno, sotto una falsa “associazione culturale” esiste la sede dei fascisti di Casapound che, come noto, hanno aggredito brutalmente a colpi di mazze, tirapugni e cinghie chiodate un gruppo composto, fra gli altri, da mamme con passeggini, l’europarlamentare Eleonora Forenza, il suo assistente, l’esponente politico di Leu Claudio Riccio (qui la sua completa ricostruzione dei fatti) ed altri due manifestanti. I fascisti, prima lasciati liberi di agire da quelle stesse forze dell’ordine che non avevano mancato di presidiare massicciamente la manifestazione e poi portati in Questura (non prima di una carica di alleggerimento verso i manifestanti accorsi dalla cena conclusiva del corteo che si stava svolgendo poco lontano), hanno cercato di dichiarare di essere stati aggrediti da questo evidentemente temibile gruppo e di essersi difesi con strumenti atti ad offendere di cui casualmente ma fortunatamente erano provvisti. In sostanza, cercavano lo scontro perché la manifestazione era stata un successo e non potevano accettarlo. Meglio far uscire il titolone di una rissa a fine corteo, salvo imbattersi nel gruppo sbagliato.
Quello che spaventa non è certo un’aggressione di Casapound, né che il leghista ci si sia seduto convivialmente a tavola con tanto di selfie di rito o indossi vestiti Pivert, marchio legato alla tartaruga, ma che le grammatiche e i temi della Lega al Governo e del partito fascista si sovrappongano continuamente, con l’asticella della violenza verbale dei leghisti a cui segue quella fisica dei fascisti, legittimati dai primi, che continua ad alzarsi. Così come loro, Salvini è arrivato a Libertà per convincere tutti che il problema siano gli immigrati, la clandestinità (che lui stesso creerà con il decreto a suo nome), il degrado portato dalla povertà che risolverà con i “daspo urbano”, allontanando i poveri dalle città senza provare a migliorare le loro condizioni di vita. I poveri devono restare tali, solo esserlo un po’ più lontano dal centro cittadino, per non rovinarne l’estetica. Che lo scontro vero sia verso la Sacra Corona Unita o verso chi, in nome di un turismo di massa poco qualificato, o della TAP, o dell’ILVA (che prima si chiude poi forse si forse no ma alla fine meglio di no) sta scippando le risorse, distruggendo il paesaggio ed avvelenando il territorio e le persone che lo abitano, non è tema di dibattito politico, anzi il dibattito politico va affievolendosi in un panorama nazionale in cui la politica è diventata quasi fede calcistica con scarsità di contenuti e fazioni opposte che si scontrano su Facebook o Twitter dandosi del “pdiota” o del “grullino”.
Una guerra fra poveri, che senza accorgerci stiamo tutti perdendo, alimentata per la rincorsa al potere del leghista per il quale la campagna elettorale non è ancora finita.
Non è finita perché il lancio continuo di proclami che fagocitano il dibattito mediatico come il blocco delle navi in mare non è fatto per camuffare la mancanza di azione o progettualità di governo, ma perché Salvini ha capito che il ruolo in cui si trova è il trampolino di lancio perfetto per arrivare con le prossime elezioni ad un esecutivo se non completamente leghista, quantomeno a trazione verde. Tant’è che Di Maio, con il doppio dei voti e metà della linea politica del Carroccio, si è trovato a dover inseguire e poi ad annacquare le proposte pentastellate pur di non aprire crisi di Governo, ultimo esempio il Reddito di Cittadinanza esclusivamente per Italiani. Inoltre, le elezioni europee sono alle porte, con il progetto (per ora rimasto in cantiere) di riunire tutti i sovranisti, nazionalisti, estremisti di destra di Europa nella Lega delle Leghe e il progressivo avvicinamento al più sovranista dei leader europei, l’unghese Viktor Orbàn. In pratica, mentre si chiede all’Unione Europea di farsi carico della redistribuzione dei migranti, si stringe un saldo rapporto diplomatico con colui che per primo ha dichiarato che non ne prenderà nemmeno uno.
Ma, come dice un cartello affisso tempo a dietro dall’assemblea territoriale barese del movimento femminista Non Una di Meno, “a Bar simm tutt povridd, biangh, gnor, giall e verd”. In conseguenza dell’aggressione di venerdì Bari non ci sta: un percorso di due assemblee, una ieri presso l’Ex Caserma Liberata in via Rossani ed una oggi in Piazza Prefettura per confluire nel corteo di sabato 29 settembre convocato per riunire ancora una volta il fronte antirazzista ed antifascista pugliese contro il Decreto Salvini e le politiche securitarie dell’esecutivo gialloverde, per mostrare un Sud impoverito ma ancora accogliente, per puntare il faro sui veri problemi della città, della Nazione.