ITALIA
Autoreportage: Il virus di Schrödinger
Più di due mesi trascorsi tra quattro mura. Sentimenti, paure, affetto, lavoro, relazioni, rete. Una coppia di fotografi si racconta attraverso i suoi scatti e le proprie parole
In Italia è iniziata da pochi giorni la “fase 2” dell’emergenza per la pandemia di Covid-19. I numeri ci propongono un ottimismo parziale, facendoci vedere da un lato che la situazione va via via migliorando e dall’altro che le morti sono ancora tante. Troppe.
Eppure, nonostante questo “nuovo inizio”, ci sono ancora degli aspetti della vita nel “tempo sospeso” che andrebbero indagati. Questo auto-reportage è un primo tentativo per provare a rimetterne insieme alcuni, partendo da tutte le sfaccettature riguardanti la condizione di incertezza che continua a pervadere le nostre giornate.
In fisica esiste un esperimento mentale che prevede un gatto rinchiuso in una scatola d’acciaio e una macchina infernale composta da un contatore Geiger in cui si trova una minuscola porzione di sostanza radioattiva, un relais a cui è collegato un martelletto che rompe una fiala di cianuro nel momento in cui un atomo della sostanza radioattiva dovesse disintegrarsi. Fino a quando non si apre la scatola, il gatto è sia vivo che morto.
Paradossalmente, lo stato ibrido in cui si ritrova il felino utilizzato (solo mentalmente) dal fisico Erwin Schrödinger è forse quello più adeguato a descrivere come alcuni tra gli elementi con cui ci siamo confrontati durante “la fase 1” di questa crisi pandemica, all’interno di quel “tempo sospeso”, abbiano natura duplice e spesso sovrapponibile.
La stessa condizione di incertezza rispetto all’avvenimento di un ipotetico contagio ne è, seppur in forma più simbolica, un esempio. E nonostante questo richiamo praticamente immediato, per evitare di rimanere incastrati in un’iconografia fatta di mascherine, file per entrare nei supermercati e piazze vuote, abbiamo deciso di soffermarci su altri aspetti, a partire dalla percezione dello spazio che ci ha avvolto in questi due mesi e di quello a cui ambiamo per il futuro, fino ad arrivare all’utilità emotiva di determinate pratiche.
Ci siamo posti, dunque, una domanda.
All’interno dell’emergenza che stiamo affrontando può esistere una narrazione fotografica che non sia basata esclusivamente su meri elementi di cronaca e che sia capace di affrontare anche gli aspetti più intimi che la fase di isolamento ha portato a galla, in tutte le loro possibili sfaccettature?
Autovettura della Croce Rossa con personale in servizio
Dal principio
Abbiamo avuto giusto il tempo per salutare alcune persone con cui ci siamo ritrovati a cena presso una nota trattoria di San Lorenzo, a Roma. Tra lacrime, abbracci e fumogeni, il fine settimana era trascorso come se ci stessimo nutrendo freneticamente di quei momenti ed eravamo lì, in procinto di ripartire un’altra volta verso quella che ancora chiamavamo “casa”.
L’ultima immagine di quel fine settimana è quella di un moncone della tangenziale est che ancora resiste all’opera di abbattimento. Un trampolino di lancio per un’ipotetica DeLorean e allora stesso tempo il segno della fine di un’epoca della geografia metropolitana.
Lavori di abbattimento della tangenziale Est di fronte la stazione Tiburtina di Roma
Da quel 23 febbraio abbiamo deciso spontaneamente di limitare il più possibile il contatto con altre persone. Ovviamente, nei limiti del possibile. Il lavoro e altre attività ci hanno portato a vivere a singhiozzo il mondo esterno praticamente fino all’ultimo. Fino a quel 9 marzo. Giorno in cui Non Una Di Meno aveva lo sciopero globale transfemminista e che, invece, ha visto calare il lockdown su tutto il Paese.
9 marzo, sciopero globale transfemminista: autoritratto scattato per la campagna social lanciata da Non Una Di Meno
Una misura che ci ha tolto tanto, ma mai la voglia di raccontare la realtà che ci circonda. Anche quando la nostra quotidianità ha iniziato a svolgersi all’interno della sceneggiatura del Casotto di Sergio Citti.
Vivere questo periodo di isolamento ha comportato per ognuno di noi fare i conti con delle limitazioni sia fisiche che emotive. Rinunciare a un certo tipo di socialità a cui eravamo abituati è stato, e molto probabilmente sarà, necessario ma faticoso. Da un certo punto di vista, potrebbe anche portarci a elaborare diverse riflessioni rispetto alle forme su cui abbiamo basato finora certi aspetti delle nostre relazioni.
La distanza ci ha fatto riscoprire la necessità dell’altro come soggetto necessario a creare la dimensione di un “noi” capace a sua volta di proiettarci fuori dai nostri “io”.
La rete
In questo senso, non solo la ridefinizione dei momenti di socialità attraverso le connessioni telematiche di cui per fortuna siamo dotati, ma anche la riscoperta – al di là delle performance di carattere nazional-popolare – di terrazzi e balconi come strumenti attraverso cui interfacciarsi con l’altro, hanno creato un’interlocuzione tra interno ed esterno che non è basata solo sulla dimensione fisica.
Abbiamo vissuto praticamente 24 ore su 24, 7 giorni su 7, le quattro mura domestiche ma, allo stesso tempo, abbiamo fatto un dj set online che è arrivato nelle abitazioni dei nostri “affetti stabili” sparpagliati in giro per il mondo.
Abitazioni da cui, magari, sfruttando una finestra aperta, questa modalità di connessione virtuale si è trasformata nuovamente, tornando a una dimensione materiale basata sul vicinato.
Preparazione di un dj set in diretta su un social network
Gli schermi di computer, tablet e smartphone. L’affaccio su un cortile condominiale. I corpi che si dispongono all’interno della texture creata dai terrazzi della palazzina di fronte. Sono tutti elementi della nuova forma di rapporto di cui abbiamo scoperto la necessità.
O di forme di interazione dimenticate a causa della vita frenetica a cui ognuno di noi è obbligato all’interno di una società basata sul modello neoliberista di produzione e riproduzione.
Una ragazza sfrutta il terrazzo della camera per stare all’aria aperta durante una videochat
Videochat e lettura dei dati aggiornati sull’andamento della pandemia
Il privilegio di avere un terrazzo o una finestra attraverso cui comunicare con i vicini
Rapporto tra interno ed esterno, reale e virtuale
Frammenti visivi del palazzo di fronte
Un uomo affacciato alla finestra attende che avvenga qualcosa all’esterno
Questa rete, all’interno della quale abbiamo ricostruito tutta quella serie di rapporti fisiologicamente necessari, è un dispositivo formato da elementi che sono sia materiali che virtuali. In essa le due dimensioni convivono nutrendosi l’una dell’altra, rendendo difficile ogni tentativo di scissione tra esse.
Ovviamente, questo rapporto di rapporti cela al suo interno diverse criticità che, nel caso della didattica a distanza o di come si sono rimodulate alcune forme di eventi, sono autoevidenti. Mentre per altre dovremo aspettare che emergano e si manifestino attraverso quello che potrebbe essere definito come uno sciame sismico post-lockdown.
Presentazione online del libro “Pyongyang Blues” di Carla Vitantonio
Il tempo, le mani, le mura
Il senso di possibilità nel trovare nuovamente il tempo da dedicare a tutta quella sfera di attività che ci sembrava impossibile realizzare perché sempre affannati nell’attesa che il sipario calasse sull’ennesima giornata è stato sicuramente uno degli aspetti più controversi da analizzare. Anche a livello fotografico.
Tempi paralleli
Riappropriazione del tempo in cucina
Per le migliaia di persone in regime di smart working questo “tempo possibile” si è tradotto in un aumento delle prestazioni lavorative richieste. Per le donne, invece, ha significato l’aumento esponenziale del lavoro di cura svolto dentro e fuori casa.
Smart working?
Comunque sia, il rischio di una positivizzazione assoluta del “tempo sospeso” sarebbe stato, evidentemente, di poter incappare in un’apologia del virus o, ancor peggio, in una romanticizzazione della quarantena basata su una condizione privilegiata.
Noia e privilegio felino
Proprio per evitare questa criticità abbiamo deciso, quindi, di soffermarci su alcuni fattori riguardanti il rapporto tra tempo e sfera emotiva emersi in questo periodo di isolamento.
Sostenersi a vicenda: l’importanza della rete di amicizie
Seduta psicoterapeutica in videochat durante il lockdown
È stato per certi versi un duplice lavoro di analisi. Soprattutto quando si è trattato di fare i conti con le proprie fragilità e riuscire a condividerle senza il timore del giudizio altrui, sabotando l’idea di una performatività emotiva continua impostaci come unica modalità possibile per stare all’interno della società, accettando le nostre debolezze e tutto il pacchetto composto dalle nostre paure, per cercare di far emergere l’importanza che hanno avuto durante questa prima fase – e avranno in quelle successive – l’ascolto e il sostegno reciproco.
Anche se praticati attraverso un monitor.
Mettere in campo queste forme di cura reciproca ci ha fatto sentire più vicini e meno isolati. Ci ha permesso di trovare nuova aria da respirare all’interno delle nostre quattro mura domestiche.
Anche quando ciò contro cui si è combattuto in passato si è trasformato in un’arma a doppio taglio. Come nel caso del rapporto con le proprie mani che, dopo anni passati a contrastare un disturbo ossessivo compulsivo, è tornato a essere minato dall’esigenza di limitare la possibilità di contagio.
Lavare le mani seguendo le indicazioni
Macro di una ragade provocata dall’eccessivo lavaggio delle mani
Impastare il pane per recuperare il rapporto con le proprie mani
O nel ritrovarsi costretti dentro quelle quattro mura in affitto, come fossero uno scudo e, ancora una volta, usarle in sostituzione delle proprie difese immunitarie. In un’alleanza tra corpo e mattone che ricorda quella che si dà implicitamente tra i coccodrilli e gli occhioni. Senza che nessuno abbia mai firmato un accordo, né tanto meno stabilito il limite tra benefici e costrizioni.
Secondo periodo di isolamento nell’arco di due anni: ciò che ci tutela sa anche far male
Fino a qui tutto…
Perché si sa che alla vita è concesso il beneficio del sarcasmo a ogni occasione possibile.
La fase 2
Ora. Non sappiamo come andrà a finire questa emergenza.
Non abbiamo una sfera di cristallo, né le competenze per poter immaginare come si darà questa nuova fase.
E ci chiediamo se sarà un po’ come aprire la scatola con dentro il gatto.
Ci ritroviamo così, come nel finale di Fight Club, con la città che si sgretola davanti ai nostri occhi e dalle cui macerie, allo stesso tempo, potrebbe nascere il mondo che verrà.
Riproduzione della scena finale del film “Fight Club”
Tutte le foto di Valeria Altavilla e Vittorio Giannitelli