ITALIA
Autobiografia politica di una regione. La Puglia a 20 giorni dalle elezioni
Il ritorno dell’ex governatore, Raffaele Fitto, che sfida l’uscente Michele Emiliano in una battaglia che si gioca sulla spesa dei fondi europei per l’agricoltura, la gestione della sanità, l’energia e il governo del territorio, l’inquinamento causato dalle grandi fabbriche. Tra notabili, pacchetti di voti e trasformismi, ma anche dinamismo espresso da alcuni municipi e dal vasto mondo dell’associazionismo, viaggio in quello che resta della “Puglia migliore”.
Per capire il clima che si respira a poco meno di un mese dalle elezioni regionali, qui, in Puglia, c’è un’immagine che è un cartellone, unico, affisso davanti all’ospedale oncologico Moscati di Taranto, che ritrae l’ex ministro forzista, europarlamentare e già presidente della Regione Puglia dal 2000 al 2005, Raffaele Fitto. «Metto in campo la passione e l’esperienza», è il claim comunicativo. Già, perché come avevamo ipotizzato quasi un anno fa, sarà lui, Raffaele Fitto, il principale sfidante dell’ex magistrato Michele Emiliano (governatore uscente) nella corsa per le elezioni regionali che si terranno anche in Puglia il 20 e 21 settembre.
Al settimo piano dello stesso ospedale, Patrizio Mazza è il primario di ematologia. Una vita spesa a denunciare le conseguenze sanitarie dell’inquinamento dell’ex Ilva, oggi il dirigente sanitario del Moscati – dopo essere già diventato nel 2010 consigliere regionale all’interno della maggioranza che sosteneva la giunta Vendola – approda alla corte di Fitto, come candidato in quota al partito Fratelli d’Italia, Fdi. Mazza, allora, lasciò l’incarico in consiglio regionale dopo soli due anni di attività, sia per ragioni professionali, che per le posizioni della giunta Vendola giudicate timide nei confronti dei grandi colossi industriali, Ilva su tutti.
«Vendola ha trasformato in molte cose la Puglia, ma aveva il complesso del potere. Troppe volte ha ceduto ai padroni storici e anche a quelli nuovi, di questa terra, grandi capitali e potentati locali», mi dice un ex dirigente di quella stagione politica che preferisce rimanere anonimo. E come pensi, dunque, Patrizio Mazza di cambiare la politica ambientale regionale, candidandosi in una coalizione che ha posizioni fortemente industrialiste, questo rimane un mistero. Ma questo è soltanto un esempio. Del trasformismo politico che abita da queste parti. Sic.
Quando nella primavera del 2005 diventò governatore della regione Puglia l’esponente di un partito della così detta sinistra radicale, Rifondazione comunista, allora legato a doppio filo ai movimenti politici e sociali esistenti nel paese, con una biografia complessa come quella di Nichi Vendola (attivista gay, giornalista, filosofo, poeta, già senatore della commissione antimafia e legato anche lui all’universo culturale comunista internazionalista), quelli che per tutti gli anni ’80 e ’90 erano stati considerati i potentati pugliesi detentori dei “pacchetti di voti”, gli ex ministri Adriana Poli Bortone, Claudio Signorile, Massimo D’Alema e lo stesso Fitto, sottovalutarono la campagna elettorale condotta dall’avversario comunista. La sua comunicazione radicale e alternativa si fregiava di messaggi capaci di attivare una volontà di cambiamento e dell’entusiasmo di migliaia di universitari ed emigrati lavoratori fuorisede che allora si organizzavano nelle piazze e nei luoghi pubblici per spezzare dal basso e dall’alto una lunga catena di governi e amministrazioni di centrodestra nella regione. Da quando essa era stata istituita, infatti, dal 1970 al 2005 si erano susseguiti undici governi democristiani, due socialisti craxiani, altri due marchiati Forza Italia, l’ultimo dei quali guidato da Raffaele Fitto, appunto.
Così, quella di Vendola (la prima volta, poi sarà rieletto nel 2010) fu una vittoria storica prima alle primarie di coalizione nei confronti del candidato dell’establishment dei Democratici di Sinistra (Francesco Boccia, il candidato sconfitto, Massimo D’Alema e Piero Fassino, i suoi maggiori sponsor) poi nella tornata elettorale vera e propria contro Raffaele Fitto e Forza Italia, il partito di maggioranza relativa nel parlamento nazionale.
Ed è cosi che a “Nikita il rosso” non rimaneva che governare la Puglia per 10 anni. Quel che resta di positivo di quella stagione e di quella regione, governata dal «diverso, dall’estremista, dal sovversivo», è il definitivo abbandono del «folklore come segno del comando». Come ha scritto già qualche anno fa Nicola Lagioia: «la dittatura di quel tipo di folklore, a un certo punto, si affievolì. Diventò minoritaria, con gran dispetto di chi usava il vernacolo e le patate riso e cozze non tanto quali normali segni identitari, ma come strumenti di guida e di consenso». Tuttavia, accanto al tramonto di quel modello politico-sociale, emergeva senza dubbio il protagonismo di una generazione da sempre esclusa dal potere. E di quel laboratorio politico definito dal sociologo Franco Cassano “Primavera pugliese”, invece, oggi, resta il fatto, sempre secondo Nicola Lagioia: «che nessun governo regionale ha provato a fare altrettanto per la cultura. E nessun altro si è rivolto ai giovani allo stesso modo». È un altro fatto, però, che quel modello di governo sia poi crollato alla prova con le grandi vertenze, quella Ilva, su tutte, così come sulle grandi questioni: la sanità e i rifiuti, su cui si è ceduto troppo ai potentati privati.
Porte girevoli
Ad averne subito riconosciuto una dissennata gestione, fu il suo successore, l’ex magistrato Michele Emiliano, già dopo l’insediamento alla guida della regione. Oggi che l’uomo autodefinitosi populista istituzionale cerca la riconferma, la mappa dei potentati pugliesi si presenta, in potenza, quasi peggiore di quando fu eletto Vendola nel 2005. Basta dare uno sguardo ad alcune delle biografie dei candidati consiglieri. Tra notabili di vecchia data e trasformisti dell’ultima ora, in entrambe le coalizioni, seppur in diversa misura, sia in quella che sostiene Raffaele Fitto, che quella che sorregge la riconferma di Michele Emiliano, se ne trovano. Già, perché il primario Patrizio Mazza, di cui si diceva all’inizio, non è l’unico che ha cambiato casacca. C’è Leonardo Di Gioia, ad esempio, candidato nelle liste di Forza Italia. Assessore alle politiche agricole nella giunta Emiliano fino allo scorso anno, che quando si è dimesso dall’incarico, Coldiretti ha giudicato così: «è palese l’incapacità dimostrata dall’Assessore regionale all’Agricoltura nell’affrontare l’emergenza Xylella e nella disastrosa gestione delle risorse comunitarie di un Piano di sviluppo rurale ingessato che ha impedito gli investimenti delle aziende agricole». C’è Napoleone Cera, consigliere regionale uscente pure lui candidato tra le file di Forza Italia, che dopo aver sostenuto Michele Emiliano e la maggioranza di centro-sinistra, la scorsa legislatura l’ha finita male; indagato dalla Guardia di Finanza per tentata concussione e posto ai domiciliari insieme al padre Angelo, perché, secondo l’accusa, avrebbero preteso l’assunzione all’interno del Consorzio regionale di Bonifica di persone da loro indicate. Grane giudiziarie, le loro, tutte da dimostrare.
Ma resta il fatto che di nuovo, come cinque anni fa, le liste per le regionali, in Puglia, sono infarcite di “impresentabili”.
Alcuni notabili ritornano, come nella scorsa legislatura, nelle file del Partito Democratico. Altri tentano la scalata al “potere barese”. Come Mario Cito, figlio dell’ex sindaco neo-fascista e parlamentare di Taranto, Giancarlo, che nonostante la condanne scontate a diversi anni di carcere, alcuni dei quali per concorso esterno in associazione mafiosa, è tuttora sulla scena politica tarantina attraverso i figli Mario e Antonella, entrambi consiglieri comunali; quest’ultima è stata candidata pure alle ultime politiche con Forza Nuova. Mentre oggi “il figlio maschio” tenta il grande salto verso Bari, avendo trovato spazio nelle liste Udc-Psi a sostegno di Raffaele Fitto, forte delle 5.500 preferenze totalizzate alle scorse regionali, quando si candidò con Forza Italia.
Perché se Michele Emiliano ha imbarcato un po’ tutte le anime politiche: comunisti, democristiani, liberali, neoborbonici, verdi, altrettanto forte delle quindici liste che si presentano in suo sostegno, nella coalizione di Raffaele Fitto, invece, c’è sempre posto per i vecchi amici forzisti.
L’ex senatore di Forza Italia, Antonio Azzolini, è uno di questi. Sindaco di Molfetta per 6 anni e presidente della Commissione Bilancio del Senato per altri 13 anni, Azzolini si gode il buen ritiro pugliese dopo cinque legislature passate a Palazzo Madama. Ma a 73 anni, dopo essere uscito assolto da alcune vicende giudiziarie legate al e per cui i magistrati avevano chiesto (respinta dal Senato) l’autorizzazione a porlo agli arresti domiciliari, Azzolini ritorna sulla scena politica pugliese, lì a Molfetta da dove era partito, ora candidato nel collegio di Bari con Forza Italia, manco a dirlo. E ciò nonostante una condanna appena ricevuta (pena sospesa ad 1 anno) per concorso in bancarotta semplice al termine del processo sul crac da 500mila euro dell’ente ecclesiastico Casa della Divina Provvidenza di Bisceglie. Un premio alla buona amministrazione, insomma. Come quello ricevuto con la candidatura sempre da parte di Forza Italia, dagli ex amministratori del comune di Taranto al tempo del fallimento come Umberto Ingrosso e da Massimiliano Di Cuia (figlio dell’ ex assessore Antonio).
La mappa del potere
È questa, dunque, una cartografia, seppur parziale, del notabilato che ancora una volta si appresta a governare una regione del Sud. L’autobiografia politica di una regione, la Puglia, considerata la più dinamica culturalmente e socialmente, del Mezzogiorno. Che fatica ancora, però, a far emergere una generazione politica, nonostante ne abbia avuto le occasioni elettorali. E questo è anche quello che resta della Primavera Pugliese.
Perché se è vero che non sono tutti uguali e che la vittoria della coalizione di Raffaele Fitto farebbe regredire in un sol colpo la Puglia di 30 anni, è altrettanto vero, però, che restano le matasse, i legacci dei poteri che negli ultimi 15 anni il centro-sinistra non è stato in grado di sbrigliare.
Su quale modello di agricoltura puntare, che modello di sanità territoriale adottare, sulla visione di economia che si intende opporre ai potentati di questa terra come i signori privati dei rifiuti, le multinazionali dell’energia, i grandi inquinatori. Da questo punto di vista, il vasto mondo dell’associazionismo, le numerose esperienze municipaliste e della società civile che in massima parte sono sbocciate in Puglia negli ultimi 15 anni, hanno le idee chiare su quale modello di governo puntare. Resta da capire, invece, quale sarà, fino in fondo, la visione politica che vorrà portare avanti la coalizione che sosterrà l’ex magistrato e sindaco di Bari, Michele Emiliano, il quale gode dalla sua parte di vasto consenso personale, ma ha di fronte molti ostacoli alla rielezione e una grande responsabilità. L’accordo-mancato tra Pd e 5stelle – con quest’ultimo che presenta Antonella Laricchia per la presidenza – innanzitutto; intesa che invece avverrà in altre regioni al voto il 20 e 21 settembre (vedi Liguria).
È lo stesso schieramento “democratico” che si presenta spaccato, con la candidatura a governatore anche del renziano Ivan Scalfarotto, in quota Italia Viva. Ed è così che per Emiliano agli ostacoli si somma una responsabilità. Perché la sfida elettorale pugliese, come qualcuno ha già ipotizzato, rischia di condizionare le sorti del governo nazionale. Infatti, la regione Puglia oggi si presenta come l’ago della bilancia della tenuta del governo di Giuseppe Conte, il quale si è speso in prima persona, senza successo, per trovare un accordo tra i partiti di governo PD-M5S-IV. Ed è dunque concreto il rischio che alla scomparsa, in caso di sconfitta, di una parte del ceto progressista pugliese che è presente nella coalizione di Emiliano, la segua nella sparizione qualcuno che sul piano nazionale anche dice di esserlo, almeno a parole.