MONDO
Si riempiono le piazze in Australia per chiedere al governo una climate action
In un’Australia lacerata dagli incendi che hanno provocato già quasi una trentina di morti, venerdì scorso migliaia di persone sono scese in piazza in tutte le maggiori città del continente. Nel mirino delle proteste è il primo ministro Scott Morrison, a causa della sua reticenza ad accostare gli incendi all’attuale crisi climatica dovuta al riscaldamento globale
Venerdì 10 gennaio 2020, in un’Australia lacerata dagli incendi e dai fumi tossici, migliaia di persone sono scese in piazza in tutte le maggiori città del continente, per protestare contro l’inefficiente gestione dell’emergenza incendi da parte del governo, contro i tagli economici ai vigili del fuoco e per chiedere al primo ministro una presa di posizione sulla crisi climatica.
A Sydney e a Melbourne, le città che hanno visto la partecipazione maggiore, circa 30.000-40.000 persone hanno sfilato per le vie del CBD (Central Business District), sotto la pioggia, gridando slogan contro il primo ministro Scott Morrison e chiedendo una climate action da parte del governo.
Scott Morrison, o meglio ScoMO, come egli stesso ama definirsi, si trova da settimane al centro di accesissime polemiche, a causa dell’inadeguatezza nella gestione dell’emergenza e della sua reticenza ad accostare l’attuale stagione degli incendi alla crisi climatica dovuta al riscaldamento globale.
Il 2 gennaio Scott Morrison, in visita a Cobargo, uno dei centri abitati devastati dagli incendi che hanno messo in ginocchio l’area costiera tra Sydney e Melbourne, è stato freddamente accolto con fischi da parte degli abitanti.
«Com’è possibile che ci fossero solo quattro autovetture a difendere la città?», gli hanno chiesto disperati i residenti della cittadina che hanno visto la propria abitazione bruciare. Altri, davanti alle telecamere, hanno specificato che non stringeranno la mano a Scott Morrison a meno che egli non decida di aumentare i finanziamenti al Rural Fire Service (RFS), il corpo di vigili del fuoco su base volontaria dello stato del Nuovo Galles del Sud.
La polemica, divenuta immediatamente virale e mediatica, si riferisce al fatto che negli anni dal 2016 al 2018 (precedenti perciò al governo di Scott Morrison, entrato in carica ad agosto 2018), la spesa per l’RFSè stata molto più bassa della media, in particolare per quanto riguarda il numero di macchinari, manichette antincendio e veicoli, il cui numero si è ridotto di circa due terzi rispetto ai cinque anni precedenti.
Una strategia economica particolarmente miope, in un momento storico in qui le predizione dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici, da anni mette in guardia contro l’aumento in frequenza e in intensità di fenomeni atmosferici estremi e incendi, specificamente nel continente australiano.
L’Australia è responsabile dell’1,3% delle emissioni globali di gas serra, è il quarto produttore al mondo di carbone, uno dei combustibili più inquinanti al mondo, dietro Cina, India e Stati Uniti. È anche il più grande esportatore di carbone del pianeta, un commercio dal valore di 46 miliardi di dollari nel 2018, di cui Scott Morrison è sempre stato un grande sostenitore.
Nel 2017, infatti, era entrato in parlamento con un pezzo di carbone, che aveva agitato durante un acceso intervento, durante il quale identificava il futuro e la prosperità del paese con l’esportazione di carbone e in cui aveva accusato l’opposizione di carbone-fobia. E nonostante Scott Morrison abbia minimizzato più volte la responsabilità e l’impatto delle emissioni e dell’economia australiane sul riscaldamento globale, l’Australia ha uno dei record di emissioni procapite più alti al mondo.
Una riorganizzazione dell’economia che non sia basata sull’estrazione e sull’esportazione di carbone è esattamente l’esempio di Climate Action richiesta a gran voce dai numerosi cortei che venerdì, come nei mesi passati, hanno sfilato in tutte le città australiane, vantando una partecipazione da record. Il 20 settembre 2019, infatti, circa 300.000 persone hanno riempito cortei in tutte le città, in una delle giornate di piazza più partecipate della storia in Australia, dal tempo delle proteste contro la guerra in Iraq nel 2003.
Molti credono che il momento tragico e apocalittico che l’Australia sta vivendo, in cui la crisi terribile degli incendi ha causato la morte di almeno 28 persone, il rogo di circa 2000 abitazioni e di circa 10 milioni di ettari di foreste, possa spingere il governo di Scott Morrison a un cambio di rotta sulle politiche in ambito climatico.
Nel frattempo, in tutta l’Australia sono stati convocati nuovi cortei per il prossimo weekend, per continuare a mantenere alta la pressione sul governo.
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