MONDO

Argentina, una analisi femminista del voto alle primarie

Dopo il boom dell’estrema destra alle primarie argentine, un contributo per comprendere le ragioni di questo voto a partire dalla vita quotidiana, ed elaborare un intervento politico efficace con l’obiettivo di evitare che le opzioni politiche di destra e di estrema destra arrivino al governo

Domenica scorsa si sono tenute in Argentina le PASO, elezioni primarie aperte simultanee e obbligatorie, stabilite dal 2009 come meccanismo di definizione delle candidature interne alle coalizioni verso le elezioni presidenziali, ma che segnano anche il termometro politico del paese, inaugurando gli ultimi due mesi di campagna elettorale con la definizione dei candidati alla presidenza e delle liste per Congresso e Senato per ogni coalizione. Domenica notte, il peggior incubo politico argentino è emerso con tutta la sua forza, una irruzione, non prevista da nessun sondaggio eppure nemmeno del tutto sorprendente viste le condizioni di profonda crisi sociale ed economica, e della rappresentanza politica, che attraversa il paese da ormai otto anni. Prima il governo di Macri, tagli, indebitamento e austerità poi, dopo un ciclo di lotte che ha avuto la capacità di sconfiggere il macrismo nella società e poi nelle urne, il governo di Alberto Fernández che tra debito ereditato e pandemia non ha saputo generare nessun significativo cambiamento, limitandosi a una gestione in accordo con il Fondo Monetario Internazionale del disastro economico argentino.

Così, come già in parte avvenuto con le amministrative e legislative di medio termine del 2021, le PASO hanno visto trionfare con il 30% dei voti il candidato di estrema destra Javier Milei, iper-neoliberista e con una retorica anti-casta, incendiaria e reazionaria, con la coalizione La libertad avanza, che ha superato la coalizione di destra Juntos por el Cambio (28,3 per cento), che ha fortemente deluso le aspettative e al cui interno Patrizia Bullrich (con il 21%, la figura più di destra della coalizione, ex-ministra degli Interni con Macri), ha superato di gran lunga l’attuale sindaco di Buenos Aires Horacio Larreta (11%). Terza posizione in ordine di voti di coalizione per Unione per la Patria, con il 27,3%, la coalizione pan-peronista guidata dall’attuale ministro dell’Economia del governo di Alberto Fernández, Sergio Massa (con il 21,3 %, l’altro contendente era il leader dei lavoratori delle economie popolari Juan Grabois, con Ana Paula Abal Medina come vice, che ha ottenuto il 5,9 %). Proprio Massa, in accordo con il FMI, ha svalutato del 20% in un solo giorno la moneta nazionale subito dopo le elezioni. Risultato sotto le apsettative anche per le sinistre del Frente de Izquierda, che dopo gli ottimi risultati ottenuti nel 2021, non raggiungono il 3%, attestandosi sul 2,7%. Tra due mesi le presidenziali, in un clima di frustrazione e risentimento che domina il paesaggio quotidiano di una crisi sistemica da cui non si intravedono vie di uscita.

Milei è diventato così il catalizzatore di un malcontento sociale profondo, che fa segnare il record di astensione (ha votato solo il 70 per cento degli aventi diritto, ed in Argentina il voto è obbligatorio) e il record di schede nulle, e che si esprime contro il bipolarismo storico del paese, dopo otto anni di continuo peggioramento delle condizioni di vita, di una inflazione galoppante (oltre il 100% in un anno) e una svalutazione record, con speculazioni finanziarie e il peso del debito con il FMI a strangolare l’economia nazionale. Non avere avuto la capacità di rappresentare una opzione di trasformazione sociale, diventando anno dopo anno il riferimento della gestione dell’esistente, quando questo è solo miseria e debito, è la colpa principale di questo governo: così il peronismo finisce per essere identificato come partito dell’ordine e dell’establishment e il governo del Frente de Todos come una coalizione che ha via via marginalizzato le spinte alla trasformazione dei movimenti e delle lotte sociali che sono stati fondamentali per la sua elezione. Un consenso trasversale di austerità ed estrattivismo attraversa oggi le principali coalizioni, con l’estremismo neoliberista e anti-casta che sbanca le primarie. Cosa avverrà da qui a due mesi è ancora da definire, ma lo scenario verso le elezioni presidenziali del 22 ottobre di certo non prospetta nulla di positivo per la fase politica argentina. (nota della redazione)

Foto di Valentina Fusco

Vogliamo provare a condividere alcuni elementi per una discussione, da una prospettiva femminista, sui risultati delle elezioni primarie argentine. Non si tratta, dal nostro punto di vista, di proporre letture chiuse, di prendere posizioni del tipo “ve lo avevo detto”, né di accusare i votanti di Milei di essere fascisti. Troppo facile e al tempo stesso inefficace. Piuttosto, sarebbe utile comprendere le ragioni di questo voto per poi elaborare un intervento politico efficace da parte delle militanze femministe, per dare il nostro contributo affinché le opzioni politiche di destra e di estrema destra non arrivino al governo del paese nei prossimi mesi.

Cerchiamo quindi di comprendere il voto per Milei a partire dall’economia della vita quotidiana. Si tratta di un ambito che sembra essere disprezzato di volta in volta per la sua inesorabile materialità e per questo, per la sua razionalità politica. Come movimento femminista, abbiamo messo al centro l’economia quotidiana come lente fondamentale per comprendere le violenze che soffrono giorno dopo giorno tutte quelle persone che sostengono le economie domestiche. Indebitarsi per vivere, calcolare momento dopo momento il cambiamento di valore del dollaro parallelo, vedere le proprie entrate economiche sparire nel nulla, non è una “narrazione” (con cui essere d’accordo o meno). Non si tratta di una specificità dell’economia femminista e nemmeno di un modo per spiegare in “piccolo” ciò che succede nelle alte sfere.

L’infantilizzazione come meccanismo che porta a credere che quelli che sono più colpiti dalle dinamiche economiche di impoverimento non comprendano la situazione, o che non la possano traslare sul piano elettorale, è un procedimento ricorrente. Suppone, inoltre, che ci sarebbe una ideologia o dei valori superiori che ridurrebbero l’importanza di quel che accade nei nostri portafogli. L’infantilizzazione, e come femministe lo sappiamo bene, è un modo per disprezzare ciò che riguarda la vita domestica e la vita quotidiana. Lo spazio domestico è ciò che nel discorso economico viene cancellato come luogo di produzione del valore, ma anche un ambito centrale in cui si sperimentano concretamente gli effetti della svalutazione, dove si organizza una economia di gesti che vanno dal cercare prezzi migliori instancabilmente a fronte di una inflazione che si alza continuamente fino a correre per prendere il trasporto pubblico sempre in ritardo o a convivere con la sensazione di poter essere costantemente vittima dell’insicurezza. L’idea che queste “sensazioni” possano non costituire una dinamica politica o che vengano risolte sul piano delle evocazioni storiche di tempi passati e migliori, si è dimostrata a tutti gli effetti insufficiente.

Foto di Valentina Fusco

Lo spazio domestico è il luogo dove il denaro si trasforma molto velocemente in debito, dove il valore della moneta sfuma, o dove si può subire la cancellazione arbitraria di un salario sociale complementare [il contributo statale di integrazione al salario delle economie popolari, ndt] solo per aver realizzato un acquisto in dollari. La sensazione di ingiustizia che si vive nella relazione tra sforzo e denaro è decisiva. La “casta” (qualsiasi essa sia) è quella che non deve affrontare questo calcolo quotidiano.

Come femministe, non possiamo contentarci di  facili etichette, o semplicemente condannare in astratto il fascismo o prendercela con un settore che esprime la critica della rappresentanza politica in modo diffuso e contraddittorio. Piuttosto, dobbiamo capire come Milei diventa espressione del fatto che tutti quelli che hanno la chiara percezione di come il denaro faccia ormai acqua da tutte le parti o che sentono la presenza permanente del debito nella propria casa, sognino di far saltare la Banca Centrale [frase detta in campagna elettorale dal candidato di estrema destra Milei, ndt]. Una fantasia radicale. Così come occorre comprendere una volontà di cambiamento radicalizzata che incontra un’espressione in chi promette quello che oggi tutti pensano: il dollaro è l’unica cosa stabile. In una economia che ha beni e servizi fondamentalmente dollarizzati (il prezzo delle case per esempio), la proposta di dollarizzazione di Milei sposta il negazionismo verso l’altra parte politica (mentre al tempo stesso fa passare in secondo piano il suo negazionismo rispetto al terrorismo di Stato durante l’ultima dittatura).

Assistiamo, quindi, al paradosso che a noi militanti fa mancare il respiro: un esponente del mondo della finanza con forti connessioni con i fondi di investimento, difensore dell’istituzionalità mondiale del capitale concentrato, che ha tra le sue fila candidati come Ramiro Marra, un broker della Borsa che specula sul prezzo del dollaro, è quello che si fa carico di dare parola a un mondo di esperienze quotidiane di tutti quelli che dal basso oscillano tra calcolo, frustrazione e speculazione.

La proposta di portare al massimo della radicalità il governo finanziario delle nostre vite (la speculazione a cui viene obbligato chiunque oggi si confronta con la precarietà) si combina con un discorso reazionario, misogino e patriarcale. L’insicurezza nella vita quotidiana contribuisce a un discorso sulla necessità di “armarsi”, di cercare una sicurezza a qualsiasi costo. È noto, ma poco discusso, che il voto a Milei ha una importante componente maschile. Giovani e maschi. In parte, una reazione all’avanzata femminista che abbiamo conquistato in questi anni. Che, senza dubbi, annoda la frustrazione di un settore sociale pieno di risentimento per l’assenza di possibilità future ed al tempo stesso umiliato nel presente, in relazione alle condizioni materiali della vita quotidiana.

Foto di Valentina Fusco

Non sembra essere la migliore ricetta “nascondere l’agenda del femminismo” (o banalizzarla) piuttosto bisognerebbe farsi carico di questa umiliazione quotidiana che si vive in relazione al salario, ai costi dei trasporti, al mercato immobiliare e che cerca figure di autorità (il ruggito del leone) in modo disperato. Milei porta con sé le vesti del machismo, di una autorità fatta di urla, ma nonostante questo non si tratta di qualcosa di tradizionale. Milei chiama «capa» sua sorella e parla dei suoi animali da compagnia come «figli a quattro zampe», mentre la sua candidata a vicepresidente rivendica i militari e i valori dell’esercito. Non è la stessa destra di sempre, ha saputo ricombinarsi.

Che fare quindi? Questo è quello che più ci interessa. Usciamo fuori, organizzandoci come sappiamo fare: assemblee, reti, azioni concrete. I femminismi hanno saputo tradurre il malessere in organizzazione, non c’è tempo per altro che non sia questo. I femminismi hanno saputo costruire mobilitazioni di massa e trasversali, per cui non rimaniamo a parlarci solo tra di noi che abbiamo già una visione condivisa. I femminismi hanno politicizzato la crisi dei mandati di mascolinità per invitare, soprattutto i giovani, a costruire altre relazioni e altri riferimenti. Trasformiamo queste settimane in uno stato di allerta collettiva, per tracciare alleanze ampie, come militanza continua nelle case, nelle strade e nelle piazze.

Articolo pubblicato su Tiempo Argentino. Traduzione in italiano di Alioscia Castronovo per DINAMOpress

Immagine di copertina e nell’articolo di Valentina Fusco, sciopero femminista 8 marzo 2023, Buenos Aires.