MONDO
Il FMI torna in Argentina: Macri annuncia l’austerità permanente
Quindici anni dopo il fallimento del Paese prodotto dalle politiche neoliberali, il Fondo Monetario Internazionale torna a fare da revisore dei conti. E le piazze iniziano a scaldarsi dopo l’annuncio delle riforme del fisco e del lavoro annunciate da Macri dopo la vittoria elettorale.
Forte di una vittoria elettorale che pur non avendogli garantito la maggioranza né al Senato né al Congresso ha segnato un passaggio di importante rafforzamento a livello nazionale della coalizione di destra Cambiemos, il presidente Macri ha annunciato le prossime riforme: quella fiscale, quella della previdenza sociale e quella del lavoro, annunciando che l’Argentina entrerà in uno Stato di riforma permanente basato sull’austerità.
In prima istanza Macri ha attaccato i sindacati affermando che in Argentina ve ne sono troppi e che occorre un dialogo serrato per far avanzare il Paese sulla strada della crescita economica: un monito a quei sindacati conflittuali accusati di non collaborare con un progetto di riforma del lavoro basato sul rilancio della competitività attraverso la flessibilità, che sarà annunciato nei suoi dettagli nelle prossime settimane. Per comprendere il clima politico, basta citare la frase con cui Macri ha aperto l’annuncio della riforma del lavoro: occorre farla finita con le “mafie dei processi sul lavoro” che rendono la vita difficile agli imprenditori e che impediscono la crescita e lo sviluppo del paese. Macri indica così chiaramente quali saranno i nodi della riforma dei contratti nazionali in nome della competitività sui mercati internazionali. “Non possiamo chiedere alle imprese di creare lavoro se non creiamo le condizioni affinchè queste possano garantirlo” dice testualmente il presidente “quindi occorre creare condizioni di contrattazione favorevoli a chi offre lavoro”. Con un discorso che non nasconde le difficoltà del presente, annuncia miglioramenti nel futuro e celebra il cambiamento, il presidente ha chiesto che i comparti della salute, scuola e università vengano incontro alle esigenze del governo di diminuire la spesa pubblica, un modo abbastanza esplicito di annunciare i tagli che verranno. Terza questione, le pensioni: in nome della lotta ai privilegi il governo Macri taglierà le pensioni, come richiesto dal Fondo Monetario Internazionale. Si proprio il FMI che dopo oltre dodici anni torna a definire i parametri della spesa e dell’inflazione: non casualmente proprio ieri in concomitanza con il discorso di Macri alla Nazione, di fronte ad una platea di sindacalisti compiacenti, governatori, ministri ed imprenditori, funzionari del FMI sono tornati in Argentina per dettare la linea delle politiche economiche e fare la revisione dei conti del Paese che ricordiamo, nel 2001 andò in default proprio per aver fedelmente applicato le politiche neoliberali imposte dallo stesso FMI e dalla Banca Mondiale.
Nel nome della lotta contro il populismo, la povertà, la corruzione, il malaffare e i privilegi il presidente milionario coinvolto nello scandalo dei Panama Papers, esponente di un governo che in soli due anni ha radicalmente e drammaticamente aumentato la povertà e il costo della vita in Argentina, ha annunciato in un discorso di poco più di venti minuti le mete che il governo si prefigge nei prossimi due anni, dimostrando fedeltà alle raccomandazioni che il Fondo Monetario Internazionale aveva reso pubbliche da mesi ma che solamente dopo il passaggio elettorale di due settimane fa ha deciso di portare in Parlamento. Tagli alle pensioni, riforma fiscale, aiuti alle imprese per combattere il lavoro informale ed illegale, tagli alla spesa pubblica. Come avvenuto durante questi primi due anni di governo Macri, la responsabilità di molte forze politiche (anche peroniste) e sindacali impegnate nella cogestione dell’austerità sarà decisiva per garantire la governabilità alla coalizione Cambiemos, tanto quanto sarà decisiva sul fronte dell’opposizione all’avanzata neoliberale la capacità di conflitto e lotta dei sindacati che non si arrendono al ruolo di cogestione aziendale e dei movimenti sociali, degli studenti, dei movimenti delle donne e dei lavoratori delle economie popolari, dei popoli indigeni e delle resistenze territoriali dei settori che saranno colpiti ancor più duramente dalle prossime riforme.
Di fronte all’offensiva neoliberale che ha l’obiettivo di concentrare la ricchezza del Paese nelle mani di pochi, indebitando l’Argentina per i prossimi decenni con tassi di interesse insostenibili (“non ci piace indebitarci, ma ancora meno mentire e generare inflazione” annuncia Macri, accusando i governi precedenti dell’attuale situazione economica) attaccando il sistema di welfare, quello delle pensioni e la spesa pubblica, dalle prossime settimane nuovi scioperi e nuove pratiche di resistenza saranno all’ordine del giorno. Gli studenti sono già in mobilitazione da mesi contro la riforma “Scuola del futuro” che prevede l’obbligatorietà dei tirocini nelle imprese, in consonanza con l’alternanza scuola lavoro proposta in Italia da Renzi. Sul fronte universitario poche ore dopo il disocrso di Macri dversi rettori hanno annunciato che non saranno disponibili ai tagli, mentre i primi scioperi nel comparto aereo e dei trasporti annunciano il clima che nelle prossime settimane e nei prossimi mesi accompagnerà le riforme annunciate dal governo.
Davanti al Centro Cultural Kichner, a poche centinaia di metri dalla Casa Rosada, dove Macri ha annunciato l’austerità permanente, decine di migliaia di manifestanti sono scesi in piazza con le organizzazione dell’economia popolare e movimenti sociali con lo slogan «Sin #TierraTechoTrabajo la reforma es contra los de abajo». Di fronte a ingenti schieramenti di polizia, reti e transenne con cui è stato blindato il centro della città, in migliaia hanno contestato il governo, annunciando nuove manifestazioni nelle prossime settimane, scioperi e mobilitazioni fino al vertice del WTO che si terrà a dicembre nella capitale argentina. Nel comunicato scritto dagli organizzatori della manifestazione si legge: «Sappiamo che dietro alle manovre di Macri ci sono politiche di aggiustamento strutturale decise dall’FMI e dall’establishment finanziario internazionale. Per questo ci opponiamo a una riforma che in nome del lavoro precarizza e distrugge i diritti dei lavoratori. Diciamo no a una riforma della sicurezza che criminalizza il dissenso, no ad una riforma educativa che regala mano d’opera alle multinazionali e alle imprese».
L’estate si avvicina e il clima comincia a incendiarsi. Nel frattempo, domani sono previste mobilitazioni in tutto il Paese per chiedere verità e giustizia per Santiago Maldonado a 3 mesi dalla sua desapariciòn, mentre la Commissione Interamericana dei Diritti Umani ha ricevuto a Montevideo la famiglia Maldonado e l’avvocata Heredia richiedendo al governo argentino verità e giustizia sulla desapariciòn e la morte di Santiago e l’intervento imprescindibile e necessario di una commissione indipendente a causa della lentezza e dell’assenza di imparzialità nell’azione dello Stato argentino. Le organizzazioni per i diritti umani e la famiglia si Santiago hanno lanciato per mercoledì 1 novembre piazze e cortei in tutto il paese.
Nelle piazze e nelle strade si giocherà ancora una volta la partita decisiva della resistenza a questo modello criminale che è oggi il neoliberalismo a livello globale e che particolarmente oggi in America Latina sta dispiegando livelli di violenza, devastazione ambientale e repressione statale estremamente preoccupanti. Ma le pratiche quotidiane di tanti e tante che nei territori urbani e rurali resistono allo sfruttamento, all’estrattivismo e alla devastazione ci dimostrano come le forze sociali e popolari in Argentina e in America Latina sono ancora vive e capaci di resistere alla violenza che il capitalismo dispiega contro la vita e la terra.
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Foto da twitter: in copertina Macri durante il discorso alla nazione, 2) il centro storico blindato da transenne per impdire ai manifestanti di arrivare al CCK 3) gli schieramenti di polizia davanti alla manifestazione 4) una immagine del corteo dei lavoratori dell’economia popolare contro Macri.