MONDO
Argentina: la vittoria dei ricercatori contro il governo Macri
Cinque giorni di occupazione del Ministero della Scienza e Tecnologia impediscono l’espulsione di 500 (su poco meno di mille posti annui) nuovi ricercatori dal Conicet. Cronaca di una vittoria parziale ma importantissima in questa calda estate argentina.
Lunedì 19 dicembre viene reso pubblico l’elenco degli esclusi, che il governo annuncia come conseguenza di una mancanza di fondi. Immediata è stata la reazione dei ricercatori che lanciano una assemblea di fronte al ministero e poche ore dopo decidono di occuparlo. “Resteremo qui fino alla reintegrazione dei 500 ricercatori” annunciano i manifestanti. Il Ministro Baranao li incontra e con arroganza annuncia che non ci saranno negoziazioni, così il presidio cresce e l’occupazione viene annunciata ad oltranza.
“Passo dopo passo cominciano ad aumentare tanto il sostegno come la partecipazione, si aggiungono all’occupazione molti gruppi di ricerca, centinaia di borsisti, è un qualcosa di inaudito, il mondo della ricerca è segnato pesantemente dall’individualismo, ognuno pensa a sè. E oltre a questo, un altro elemento che crea paura o reticenza a partecipare alla lotta è il fatto di esporsi, personalmente, in una lotta contro il governo, di prendere parola pubblicamente. E questa partecipazione è di fatto già una prima vittoria che rompe il muro dell’individualismo nella ricerca” dice Sandra Wolanski, dottoranda di antropologia.
Il Ministero della Scienza e della Tecnologia è stato fondato dal kirchnerismo per finanziare la ricerca, e fin dall’inizio Baranao è ha ricoperto il ruolo di ministro, mantenendo il posto nonostante il cambio di governo. Baranao è sempre stato un tecnico, ha sempre fatto riferimento alla meritocrazia ed ad una idea molto precisa di scienza, e con il nuovo governo si è immediatamente allineato alla nuova logica politica del governo.
Il Conicet diventa così un vero e proprio obiettivo politico da parte del governo Macri infatti “fino a ieri si diceva che non c’erano i fondi per finanziare nuovi ingressi di ricercatori al Conicet, ma poi il governo stesso ha affermato chiaramente che non si tratta di assenza di fondi, ma di una questione politica. I soldi ci sono, ha detto il Ministro, ma non intendiamo finanziare la ricerca “inutile” delle scienze sociali. Noi sapevamo già che il governo la pensa così, ma lo hanno detto loro chiaramente con queste parole. La nostra scienza non è neutrale nè piegata alle logiche del mercato, e l’obiettivo di questo governo è esattamente smantellare questo spazio che si era aperto in questi anni nel Conicet” racconta Florencia Trentini, dottoranda di antropologia.
Il quarto giorno il Ministero è gremito, la protesta sta crescendo in tutto il paese, sono le sei del pomeriggio e l’annunciato incontro con il ministro, rinviato per ben tre giorni dallo stesso governo, è fissato per le 14. L’assemblea moltitudinaria al Ministero cresce di ora in ora, così come il sostegno che arriva da sindacati, studenti, organizzazioni popolari.
A Buenos Aires si trova l’epicentro della protesta, nel quartiere di Palermo, ma da tutto il paese arrivano notizie di occupazioni di sedi del Conicet, di manifestazioni, cortei, assemblee a Cordoba, Mar del Plata, Rosario, La Plata e altre città del paese. In pochi giorni, diventa virale l’hashtag #NavidadEnConicet, un Natale di occupazione annunciato dagli occupanti che in pochi giorni hanno messo in grande difficoltà il governo Macri, aprendo una crisi all’interno del governo grazie all’ampio sostengo popolare che la lotta ha ricevuto in pochi giorni. Come segnalato da Notas, il 90 per cento degli argentini, secondo una inchiesta dello stesso Ministero, è a favore di un aumento di fondi per la ricerca e l’educazione.
Raggiungo il presidio al ministero occupato, ci sono centinaia di persone, e altre arrivano di momento in momento. L’attesa è grande, dopo tre giorni di arroganti rifiuti da parte del Ministro, che non aveva accettato di incontrare i manifestanti. La risposta da parte del ministro tarda una intera giornata, così l’assemblea decide di mantenere l’occupazione per un quinto giorno in attesa di una nuova proposta da parte del governo. “La ricerca è un lavoro” cantano i manifestanti, raccogliendo il sostegno di diversi sindacati del settore pubblico e dell’università. “Siamo lavoratori e non ci facciamo licenziare” è lo slogan che al ritmo dei tamburi si eleva dal presidio al Ministero, mentre in centinaia cantano “Basta ai tagli di Macri e Baranao, avanti con l’occupazione fino alla vittoria”.
“E’ sempre stato difficile entrare come ricercatori al Conicet, e sempre ci sono stati criteri meritocratici e discutibili, ma oggi diventa impossibile continuare a lavorare in questo ambito senza andarsene dal paese, se queste misure non vengono fermate” continua Sandra. “E’ molto importante aver segnalato che non si tratta solo dei 500 espulsi, ma del futuro della ricerca nel paese. E attorno a questa lotta si è data molta solidarietà e sostengo da parte di altri settori”.
“Oltre ai 500 ricercatori che saranno espulsi ad aprile, è grave quello che accade sul livello più complessivo: vogliono smantellare i gruppi di ricerca che si sono formati in questi ultimi dieci anni, io ne faccio parte, e senza dubbio questo attacco del governo mette seriamente a rischio la continuità di un tipo di lavoro di ricerca che non è conforme alle logiche del mercato e dell’impresa” racconta Maria Ines, “l’attacco è rivolto in particolare alle scienze sociali, e a tutto quel lavoro di ricerca che si porta avanti con le organizzazioni sociali, tutto quello che va al di là del paper accademico, strumenti e tipi di lavoro collettivi, di impegno sociale, quel lavoro fondamentale che dalle università si è sviluppato in questi anni e che questo governo ha l’obiettivo politico di smantellare perchè non crea profitti, non è funzionale al mercato. Siamo sotto attacco come scienziati sociali (più di due terzi degli espulsi fanno ricerca in questo ambito) perché sono ricerche che non sono immediatamente spendibili per le imprese, e la cultura politica del governo è finalizzata solo all’integrazione nel mercato”.
“Io ho fatto parte dei nuclei di valutazione, penso andrebbero messi in discussione questi criteri a livello complessivo. Ma oggi l’attacco mediatico contro la ricerca in generale è violentissimo, si cerca di imporre un discorso pubblico per giustificare questi licenziamenti: mi viene in mente quel che è avvenuto contro i lavoratori ambulanti un anno fa, mesi di articoli e notizie in tv per poi giusitificare gli sgomberi dei mercati popolari. La stessa dinamica avviene oggi contro la ricerca” continua Maria Ines.
“C’è un attacco mediatico molto violento, tutto politico, anche con violenti attacchi personali, contro l’uso dei fondi del Conicet” dice Florencia, “la logica è quella che tutto ciò che non è spendibile sul mercato è inutile. Di fatto, ciò che dice il governo è che le scienze sociali non sono utili, perchè troppo legate a dinamiche “militanti” e politiche, c’è una retorica e un discorso che vuole denigrare e smantellare la ricerca. C’è una precisa idea di scienza e di ricerca da parte di questo governo, ed a questo ci stiamo opponendo con questa mobilitazione. Io sono antropologa e lavoro da anni con le organizzazioni indigene Mapuche, con questi tagli resto fuori, così come per centinaia di altre persone si interrompe un lavoro di sostegno e collaborazione con popoli originari e organizzazioni sociali che è stata una conquista politica nelle scienze sociali e in generale nella ricerca in questi anni. Ci vogliono mandare all’estero, impedendo lo sviluppo di una ricerca nel paese”.
Al quinto giorno il governo cede: in una partecipatissima assemblea con migliaia di persone, si decide di emendare e, dopo aver ottenuto delle modifiche, accettare la proposta del governo. Una lunga discussione in cui emergono posizioni differenti, mentre in particolare dall’interno del paese e in altre città emerge una forte intransigenza a non accettare la proposta del governo. Di certo si tratta di una vittoria importante, seppur parziale rispetto alle questioni e alle politiche che questo governo mette in campo rispetto alla ricerca.
Con l’accordo si ottiene una proroga di borsa di ricerca per un anno a tutti gli espulsi, con l’impegno del governo di integrare i giovani ricercatori a tempo indeterminato dentro le università, ma non nel Conicet come richiesto dai manifestanti.
“Abbiamo ottenuto che 500 persone mantengano una continuità di reddito, grazie all’occupazione del Ministero e alla lotta che tutti quanti abbiamo portato avanti” scrivono dal Collettivo dei Giovani Ricercatori Precari “si tratta di un trionfo rispetto alle condizioni in cui è iniziata la lotta, ma tanto è ancora da fare”. La Corrente 12 de Mayo chiude dicendo che si tratta di un “trionfo, perchè abbiamo iniziato la lotta con c500 lricercatori espulsi e abbiamo ottenuto che mantengano il lavoro. Da qui si rilancia, ma nelle condizioni in cui ci troviamo è già un passaggio importante quesllo che abbiamo portato avanti tutti assieme”.
Il restringimento dell’accesso al Conicet per i prossimi anni resta il problema principale, che accompagnato alle logiche meritocratiche e mercantili del governo, disegna un quadro molto difficile per la ricerca in Argentina. “La lotta deve continuare dopo l’estate, questa è una prima ma importante vittoria” dice Sandra. “E’ stato anche importante riconoscerci e farci riconoscere dalla società come lavoratori, far capire a tutti che questa è una battaglia per la scienza e la ricerca, ma anche una battaglia per i diritti sul lavoro che questo governo sta smantellando”
“L’unità che si è raggiunta nella lotta è straordinaria, può essere un esempio importante per altre lotte e per la continuità di questa battaglia, questo mi sembra molto importante, è un aspetto decisivo che ci ha portato a ottenere questo accordo ma sia chiaro, la lotta non finisce qui” conclude Maria Ines.
Proprio mentre scrivo, viene annunciata l’occupazione del Ministero dell’educazione a causa dei 400 licenziamenti annunciati dal governo: non si ferma un attimo il conflitto in questa torrida estate argentina, e l’autunno si annuncia già caldissimo. Il debito estero cresce vertiginosamente, ma gli annunciati investimenti esteri non arrivano. Di fronte all’enorme trasferimento di ricchezza verso i settori concentrati dell’economia, l’aumento della povertà e della precarizzazione, le sfide del prossimo autunno si annunciano difficili e decisive per i movimenti sociali e i sindacati per fermare il violento attacco neoliberale.
Approfondimenti:
• Ciencia para que – da Revista Anfibia
• Lo que dejò el debate por el rol del Conicet: para que sirve financiar investigaciones en Ciencias Sociales? da Lavaca.org
Foto da Notas Periodismo Popular