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Archeologia come Rap-Game
Prendiamo lo spunto, lanciato dalla rivista EX-NOVO per provare ad articolare una riflessione sul
mondo della ricerca archeologica e del lavoro nel settore dei BBCC dal punto di vista di chi sta
provando a rimanere in questo gioco con tutte le proprie forze
Centrale è la descrizione delle tante precarietà con cui ci si trova a dover fare i conti durante il
percorso intrapreso e l’idea è quella di aggiungere alcuni spunti di riflessione al dibattito proposto,
sempre più impellente e necessario, essendo anche noi convinti che «Non prestare attenzione e
azione al contemporaneo rischia di relegare l’archeologia fra le scienze dell’antichità,
condannandola quindi all’irrilevanza sociale» (Cavazzuti 2018).
Vogliamo però portare all’estremo gli stimoli proposti dall’autore: in archeologia – come più in
generale nel mondo – più che costruire ponti tra i cosiddetti anywheres e i somewheres è
necessario distruggere tutte le frontiere.
Quella che segue è una riflessione militante, di chi vive questa disciplina sulla propria pelle, un po’
istintiva – di cuore e di pancia – proprio come può essere un freestyle in una Jam.
Poche cose come il rap-game sono, infatti, in grado di descrivere il mondo archeologico in maniera
immediata e comprensibile ai più. Sono molti i punti in comune tra questi due giochi e nelle righe
seguenti proveremo, grazie ad alcune “barre” dei nostri artisti preferiti, a descrivere da un lato la
vita quotidiana di chi vuole campare facendo l’archeologo, dall’altro ad indicare spunti di fuga per
provare a sovvertire il presente.
Perché come Randall McGuire (2008) pensiamo che l’archeologia sia azione politica.
Il paragone tra l’archeologia e musica rap, che ai più potrà far storcere il naso, ci sembra però
necessario – anche se un po’ canzonatorio – per mantenere un livello di discussione “non da
specialisti”, ampliando le possibilità di contaminazione anche con chi non vive di archeologia,
immergendo realmente la nostra disciplina nel contemporaneo, dominato dalle sonorità in
quattro quarti.
Soprattutto ci serve per non prendersi troppo sul serio.
Vogliamo provare a divertirci nello scrivere questo testo perché in fin dei conti, parlando della vita
di molti di noi, il rischio di cadere nell’autocommiserazione è elevato.
«Ragazzino impara da ‘sto regazzetto / queste fogne me le batto già da tempo» (Noyz Narcos – Matanza, 2018): l’archeologo-rapper e gli altri – ossia la precarietà relazionale
Iniziamo dalla caratteristica principale di entrambi i mondi: la tensione interna tra “addetti del
settore” e la solitudine che questo genera soprattutto nel mondo dei Beni Culturali.
Da sempre sia nel rap che nell’archeologia per emergere velocemente molti scelgono di
contrapporsi a qualcuno o a qualcosa. Si vedano i dissing tra gli artisti o la metà delle review e dei
commenti ai contributi scientifici di riviste e convegni per averne una prova
Questo perché, ci dicono, gli spazi sono pochi, la competizione è elevata e il merito non sempre
viene usato come unico criterio per giudicare un ricercatore o un cantante.
Major discografiche, come istituti di ricerca, hanno criteri di giudizio legati sempre più alle regole
del mercato che alla vera capacità dei singoli – o dei gruppi – o alla validità dei loro progetti.
Il che ci ha reso cattivi, pronti ad accettare ogni compromesso pur di mantenere un piede in
questo mondo e, piuttosto che collaborare, bruciamo con antipatia le tappe sgomitando per salire.
Siamo quindi costretti a vivere rapporti professionali che raramente possono arrivare a una
dimensione più intima.
Non conta quanto vali e in fin dei conti nemmeno chi sei davvero fuori dalla tua vita di ricerca,
molti dei rapporti che si vivono sono basati unicamente sul fatto di condividere il medesimo spazio
fisico senza la voglia di generare e costruire davvero un rapporto umano che vada oltre il proprio
ruolo o la propria funzione accademica di quel momento.
Questo genera solitudine sia nella ricerca – difficile è trovare un confronto o un aiuto – sia
appunto sul piano personale.
Come canta Claver Gold in Soffio di Lucidità (Mr. Nessuno, 2013) viviamo una precarietà
relazionare in cui: «non conta quanto vali / sono tutti buoni amici quando paghi e quando sali /
quando cadi poi diventano rapporti occasionali / e quelle pacche sulle spalle si trasformano in
pugnali»
«Sembra un libro bianco tutto da riempire…» (Noyz Narcos, INRI, 2018)
Pochi temi e tanti articoli – ossia la precarietà della ricerca
L’incipit INRI dell’ultimo disco di Noyz Narcos (Enemy – 2018) descrive perfettamente, seppure con
qualche parolaccia di troppo, il mondo della produzione (musicale e scientifica) contemporanea:
«Sembra un libro bianco tutto da riempire / sembra che ogni stronzo in questa merda non sa più
che dire / moh che gira tutto sotto la stessa bandiera / niente più mods, punk, graffitari / siete
tutti uguali».
Viviamo infatti dei tempi in cui nonostante ci sia ancora molto da dire e tante ricerche da fare (il
libro bianco di cui sopra) sembra che la ricerca archeologica si muova solo verso alcune tematiche,
interessanti per carità, però legate più alla capacità di generare profitto che alla loro centralità
nella ricostruzione storica. È vero che mode e trend di ricerca ci sono sempre stati – come nel rap
un tempo era tutto boombap e ora siamo passati a basi trappeggianti – ma adesso questa pluralità
di approcci – causa mancanza di fondi – appare impossibile.
Nell’articolo citato in apertura, a esempio, viene fatto notare come buona parte dei fondi europei
di borse di ricerca (Marie Curie Fellowship ERC starting, consolidator e advanced grant) siano oggi
appannaggio – quasi esclusivo – delle istituzioni inglesi, caratterizzate da determinati tipi di
ricerche e non da altre.
Questa sorta di monopolio fa sì che molti di noi vivano, quella che potremmo definire come
precarietà produttiva. Durante gli studi ci si ritrova, infatti, impegnati più che nella ricerca e
nell’apprendimento dei fondamenti della disciplina e dei suoi strumenti a eseguire studi
propedeutici funzionali all’avvicinamento a questi gruppi “ricchi e vincenti”.
I più temerari – o chi se lo può permettere – si lanciano nella ricerca di strumenti ancora non
utilizzati (possibili mode del futuro) sperando di fare centro.
Il che evidentemente altro non è se non un blocco alla ricerca.
Inoltre, come giustamente notato da Cavazzuti nel suo testo, non è solo a livello di temi che
questa impasse colpisce. «La “rivoluzione accademica” degli ultimi anni, come quella industriale
dell’800, ha trasformato il lavoro di ricerca in una catena di montaggio, con ricercatori spesso
alienati e precari, costretti a produrre articoli in quantità prima ancora che con qualità.» l’autore
sembra citare inconsciamente una vecchia rima di Gemitaiz, che parlando del mondo della musica
dice: «hanno sempre tutti paura dei fischi /ma quelli che so usciti n’so stati bei dischi /so stati un po’
tristi tutti pezzi già sentiti un po’ rifatti» (Gemitaiz, Basta ft. Etto, 2009)
Per produzione ed esclusività di temi… paura di sbagliare o di andare fuori dal seminato, insomma,
la ricerca archeologica è tutt’altro che libera.
«Anche stanotte dormo preoccupato … » (Sinnò Me Moro, Noyz Narcos. 2018).
Il peso del futuro e l’economia della promessa – ossia la precarietà della vita
C’è poi la precarietà esistenziale che colpisce una buona fetta di popolazione in questo mondo e
travalica la mera sfera del mondo dei BBCC.
Questa ansia che colpisce tutti, negli archeologi, si manifesta prevalentemente nella mancanza di
sonno. Sono poche, onestamente le persone che conosciamo che dormono bene. E
metaforicamente possiamo individuare nel momento notturno l’apice in cui tutte le nostre paure
sembrano prendere il sopravvento e nel futuro immaginato l’unico barlume di speranza.
Ancora una volta le rime che ci vengono in mente provengono dal disco Enemy di Noyz Narcos.
Nella seconda strofa del brano con Coez Sputappilne il rapper romano dice: «Che siamo pronti a
tutto fino all’ultimo respiro […] / che dormo quando muoio e vivo come un vampiro / grinda oggi,
brillerai domani». Sembra fargli eco un’altra traccia di Coez, un po’ più vecchia, in cui assieme a
Lucci, nel brano Cassaforte (Figlio di Nessuno, 2009) estremizza questo concetto col seguente
flow: «Vivo col fiato sopra al collo / il corpo che pompa adrenalina ed è normale sennò crollo/ e
c’ho le lancette che m’inseguono e se mollo / si rubano i miei sogni, il mio futuro e sono morto/ e
so che quel che vivo è un altro giorno dopo un altro/ e che, che la mia corsa non mi lascia spazio al
pianto/ e se, se mi fermo per riprendere il fiato/ ciò il futuro sulle spalle e pesa il triplo del
passato».
Questo peso triplo del futuro e dato prevalentemente da quella che anni fa, durante le lotte
interne al mondo dell’università (2008-2010) è stata definita “economia della promessa”. Ancora
oggi facciamo cose (grindiamo) per sperare di ottenere qualcosa il giorno seguente (brillare). Ma
come già detto gli spazi di manovra sono pochi, i fondi quasi assenti e le possibilità limitate.
Questa ennesima frustrazione, assieme a delle necessità di vita, spinge molti archeologi “a fare
altro”. Sono sempre di più i validi ricercatori che scelgono (a malincuore?) di uscire da questo
mondo.
Per quanto, infatti, possiamo vivere come vampiri e resistere al furto dei nostri Sogni?
«Parto domani ho il primo aereo a Fiumicino /mi esce l’ansia dal cuscino/ ho cancellato la
rubrica del telefonino» (R.A.K., Vattene, 2012)
La mobilità più o meno imposta – ossia quanto scegliamo di essere “anywheres!”
Una buona parte di noi, prima di gettare la spugna, però prova ad andare altrove perché facente
della categoria di David Goodhar degli “anywheres”, ossia persone in grado di svolgere il proprio
lavoro ovunque e non per forza in posti specifici.
Lungi dal non considerare la mobilità come parte fondamentale della ricerca, soprattutto per
evitare la creazione di enclave chiuse e non comunicative, anche il concetto di mobilità andrebbe
declinato meglio.
Quanto scegliamo liberamente di muoverci? Cosa questo realmente comporta? Cosa ci lasciamo
alle spalle?
Sembra dircelo sempre Noyz Narcos col brano Sinno Me Moro, in cui campionando Gabriella Ferri
dice: «Me manca zona mia / le cose che ho lasciato / un bacio a mamma mia / anche stanotte
dormo preoccupato!».
E quando non si può o anche non si vuole (legittimamente) partire dove si finisce? Qual è lo spazio
per chi viene espulso dal sistema accademico nazionale e non parte? Probabilmente la risposta è il
nowhere, un nulla geografico ma anche e soprattutto di possibilità in cui, improvvisamente adulti,
si è costretti a fare i conti con le impellenze del quotidiano e la tristezza delle occasioni svanite.
Nell’articolo di Ex Novo si parla di ponti tra gruppi per aumentare questo scambio di conoscenze e
questo meticciato, ma dal nostro punto di vista, anche per quanto detto prima, questi ponti più
che possibilità sembrano percorsi obbligati.
Provocatoriamente ripetiamo che non è tanto nella creazione di questi “corridoi” la soluzione,
bensì nella distruzione di tutte le frontiere e nella mobilità completa e possibile per tutti. Nella
ricerca come nel mondo.
«Noi giovani Said a scrivere sul muro che sto mondo è nostro» (Lucci & Ford78, Khan, –2018)
Le linee di fuga (o almeno di discussione) possibili
Dopo la sequela di doglianze dei paragrafi precedenti, eccoci arrivati alle possibili linee di fuga da
attuare per sovvertire lo status quo e rendere il mondo (archeologico e non) un posto migliore.
Tre parole (e altrettante barre) ci servono a esprimere la nostra idea: Libertà, Ridistribuzione della
Ricchezza, Solidarietà.
«In verità che nota ha la libertà / tanto viene come viene questa vita si sa» – cantano Rancore e Dj
Mike nel brano S.U.N.S.H.I.N.E (2015) e sembrano dirci proprio come la libertà sia l’unico modo
per provare a evitare la casualità dell’esistente.
Una libertà completa di movimento tanto a livello di ricerca, quanto di temi trattati è il
presupposto imprescindibile per affrontare le sfide che ci troviamo di fronte.
La soluzione per ottenerla è semplice, come questi versi degli Assalti Frontali del 2004: «Dovete
darci il denaro, il denaro / dovete darci il denaro e poi ne riparliamo» (Denaro Gratis, HSL).
Solo attraverso una ridistribuzione della ricchezza infatti sarà possibile scardinare i ponti imposti e
i gruppi monopolistici e rendere davvero una ricerca libera. Distribuire i fondi a tutti,
provocatoriamente, renderà tutti in grado “di fare”. Permettere a tutti di essere nella possibilità di
fare, essere tutti sulla stessa linea di partenza oltre che essere giusto è un modo per migliorare la
qualità della ricerca. Bloccando molti ancora prima dell’arrivo ai nastri di partenza come possiamo
pensare di generare nuove idee, di creare nuove possibilità?
Proprio perché the future is unwritten dobbiamo essere in tanti a poterlo scrivere.
È questa provocazione ci porta all’ultima via di fuga che proponiamo: sostituire la competizione
con la solidarietà. Se tutti abbiamo la possibilità di fare ciò che più amiamo, cosa ci cambia se altri
fanno altre cose? Pensiamo a quanto vivremmo meglio se smettessimo di roderci il fegato perché
finanziano ricerche che non riteniamo valide con ingenti risorse e altre validissime con poche.
Finanziare tutto e lasciare alle persone la possibilità di scegliere cosa leggere.
Anche perché alla fine stiamo parlando di archeologia, la cosa che amiamo di più al mondo, ma
che come ricorda Lucci, altro non che «un gioco semplice / è fatto cosi da sempre», in cui basta
«avere fiato / andare a tempo / essere pure convincente» (Lucci & Ford78, Flop ft. Whiteboy,
2018).
Bibliografia
Cavazzuti 2018 – C. Cavazzuti, Brexit, la “rivolta populista” e il futuro dell’archeologia, in ExNovo
(Journal of Archaeology) Blog: (http://archaeologiaexnovo.org/2016/brexit-la-rivolta-populista-e-
il-futuro-dellarcheologia/)
MCGuire 2008 – R. McGuire, Archaeology as Political Action (California Series in Public
Anthropology), 2008.
Discografia
Assalti Frontali – HSL (2004)
Claver Gold – Mr. Nessuno (2013)
Coez – Figlio di Nessuno (2009)
Gemitaiz – Quello che Vi Consiglio vol. 1 (2009)
Lucci & Ford78 – Shibumi (2018)
Noyz Narcos – Enemy (2018)
R.A.K – Rakpresento (2012)
Rancore & DJ Mike – Sunshine Ep (2015)