ROMA
Antonello Sotgia, sognatore della bella periferia
Non ce l’ha fatta Antonello, il suo cuore s’è fermato e non è più con noi. Purtroppo, come altri. C’eravamo incrociati in qualche assemblea e manifestazione e nonostante appartenessimo, seppure in epoche leggermente diverse, a una militanza dei Settanta, non c’eravamo conosciuti all’epoca dell’orda d’oro.
Era accaduto quest’anno, quando avevamo parlato, dopo che l’editore Luigi Lorusso con cui pubblicavo “Leggeri e pungenti” mi propose una postfazione a quei racconti, scritta da Antonello e dalla moglie Rossella Marchini. La lessi d’un fiato e mi piacque, mi piacque moltissimo. Aveva un titolo poetico: “Quando i nostri genitori erano giovani e belli. Roma ricostruisce la sua periferia”. Antonello e Rossella aprivano il pezzo parlando delle ‘marrane’, musica per le mie orecchie che hanno percepito i primi suoni e il vociare della gente a piazza della Marranella.
I due architetti spiegavano l’evoluzione della città che sotterrava, intubandole, le sue marrane, facendo sparire un contorno, nel secondo dopoguerra, ancora irto di miseria nella sua cintura estrema. In ogni punto cardinale della città. In questo scritto, che ha impreziosito i venti racconti dei ragazzi di periferia fra gli anni Cinquanta e Sessanta, Sotgia e Marchini ci spiegano le storture subìte dalla capitale che saccheggiava quell’agro romano esistente sino ai margini delle periferie Novecentesche, dove le tribù del proletariato rurale, provenienti da varie regioni, cercavano alloggio e fortuna. Com’era accaduto ai terroni della mia stirpe.
Poi Antonello e Rossella ci facevano comprendere i presupposti (degli antichi piani regolatori) e le conseguenze tutte asservite all’affarismo speculativo che, cavalcando l’obiettivo delle Olimpiadi nella città eterna, condussero lo sviluppo della metropoli verso Ovest. Un regalo al Vaticano, la cui Società Immobiliare controllava i terreni. Questa lucida disamina ci ha fatto discorrere, in privato e durante le presentazioni del libro: alla Biblioteca Europea, al Centro sociale Corto circuito, alla Casa della Memoria e della Storia. Qui ho apprezzato la passione di Antonello, l’intervenire a fiume, di cui si scusava, ma che c’incantava perché i discorsi suoi brillavano di conoscenza urbanistica, storica, politica e antropologica.
Conversare con lui era un piacere, gli stimoli e, anche le simpatiche battute, s’inseguivano e credo lo stesso pubblico ne abbia goduto. Mentre scorrono queste note, ancora non credo alle parole che poc’anzi mi ha riferito Luigi: “Enrico, non ce l’ha fatta”. Mentre da giorni, dopo il ricovero, colleghi, compagni, amici, familiari e chi ne conosceva la vivida e illuminata mente, ripetevamo: Forza Antonello. Daje!!
Non ce l’ha fatta. Siamo limitati nel fisico, non nel pensiero e nelle testimonianze lasciate, compreso un ultimo lavoro, di cui mi aveva parlato il 15 novembre, poco prima che cadesse nel ricovero terminato nel buio. Antonello grazie per quello che ci hai insegnato come intellettuale e attivista impegnato per una società migliore. La terra non pesa al tuo pensiero profondo.
Articolo pubblicato su contropiano